EN
Ricerca libera
Cerca nelle pubblicazioni scientifiche
per professionisti
Vai alla ricerca scientifica
Cerca nelle pubblicazioni divulgative
per pazienti
Vai alla ricerca divulgativa

Il respiro, la vita che ci abita dalla nascita alla morte

  • Condividi su
  • Condividi su Facebook
  • Condividi su Whatsapp
  • Condividi su Twitter
  • Condividi su Linkedin
Il respiro, la vita che ci abita dalla nascita alla morte
29/09/2021

Pino Pignatta

I brani

Essere consapevoli della propria respirazione dona un senso di pace e aiuta a prendere le distanze dalle preoccupazioni della vita. Alla radici di una prassi fondamentale nella meditazione orientale.
L’esperienza contemplativa della meditazione diviene terapeutica perché pone l’uomo di fronte al mistero, disarmandolo delle sue armi intellettuali. Lo pone di fronte alla domanda fondamentale: chi sei tu, spogliato del tuo essere ingegnere, avvocato, muratore, marito, padre, figlio... Chi sei tu? Spogliato di tutto e ricondotto all’essenziale: al tuo corpo, al tuo respiro?
Kodo Sawaki

Se riesci, anche solo per un momento, a lasciar cadere il chiacchiericcio interiore e tornare all’assenza di preoccupazioni, è ciò che chiamiamo, alla maniera del Buddha, la “sublime solitudine”: esistere, semplicemente esistere, accontentarsi di essere piuttosto che di avere punti di vista, strategie in mente. Presente solo a te stesso, presente alla postura del tuo corpo, presente a ciò che appare e scompare, senza muoverti, senza inseguire nulla, senza fuggire, senza commentare, senza giudicare. Presente solo al tuo respiro, che entra e esce.
Jean-Pierre Taiun

L'approfondimento

Abbiamo visto, in questo breve viaggio nella meditazione orientale e nelle sue varie tecniche, quanto il controllo della respirazione, il fatto stesso di respirare, di inspirare e di espirare, sia al centro di ogni pratica meditativa, cioè della capacità di essere totalmente presenti a noi stessi, nell’istante, nel qui-e-ora, l’unico attimo che è la vita reale, perché ciò che è avvenuto nel passato non esiste più, e ciò che avverrà nel futuro non esiste ancora. Ed è precisamente questo aspetto della meditazione di tipo orientale che significa benessere e che, in alcuni casi, si spinge sino all’attenuazione della sofferenza.
Ma di questo respiro sembra non ci accorgiamo mai. Certo, fisiologicamente, non serve che ce ne accorgiamo: respirare è un atto spontaneo, indipendente dal nostro controllo: non “pensiamo” di respirare o di non respirare. Accade, anche quando dormiamo.
Tuttavia, non ne abbiamo mai consapevolezza. Non ci fermiamo mai a riflettere se il nostro respiro è lungo, è corto, è affannoso, è inquieto, è sereno, è dolce, è amaro. Eppure basta un piccolo test, alla portata di tutti, per capire come cambia, istantaneamente, la nostra vita, non appena poniamo attenzione consapevole al respiro. Possiamo provare anche adesso, mentre stiamo leggendo questo articolo: se siamo stanchi, preoccupati, ansiosi, delusi, eccitati, sofferenti, malinconici, euforici, sediamoci su una sedia, con la schiena dritta, le braccia distese, i palmi delle mani appoggiati sulle gambe, e respiriamo un respiro consapevole, non un respiro come viene viene, fisiologicamente automatico, ma una ispirazione profonda, con la bocca chiusa, ispirando solo dal naso, lentamente, sino a riempire completamente l’addome, sino a che tutta l’aria che entra dentro di voi si appoggia al diaframma.
E poi, sempre lentamente, espirate, fate uscire l’aria, sempre a bocca chiusa, solo con il naso, sino a quando l’addome, completamente vuoto si contrae, ed è come si appoggiasse al vuoto, perché dentro non c’è più nulla, non c’è più aria. E a quel punto, spontaneamente, vi accorgerete che, senza che voi facciate nulla, l’addome si apre di nuovo per accogliere una nuova ispirazione e nuova aria. In pratica, non siete voi che respirate, ma è tutto il vostro corpo che “respira”. Inspirate, entra l’aria, voi l’accogliete, e con l’aria accogliete tutto, senza escludere nulla: contrasti, rabbia, livore, amarezza, frustrazioni, nostalgie, aspettative, delusioni. Poi espirate, l’aria esce, voi la lasciate andare, e con l’aria lasciate andare tutto, senza trattenere nulla. Bene: in quegli stessi istanti, in un frammento di tempo, avvertite un senso vero di pace. Una sensazione di benessere concreta, tangibile, la sentite proprio, e per qualche istante spariscono ansia, angoscia, preoccupazione, dolore. Non siete negativi né positivi. Non siete depressi né euforici. Non siete tristi né felici. Soltanto, siete.
Perché con questo tipo di lavoro su sé stessi, sulla consapevolezza del respiro, il frutto più dolce della meditazione, si avverte immediatamente un senso di pace? Perché avete riportato la mente “a casa”, corpo e mente sono insieme; ma è quando il corpo è in un luogo, cioè dove siete voi, e la mente da un’altra parte, ossia fuori di voi, lontano da voi, che si innesca la sofferenza. Non c’è niente di difficile. Non avete altro che da provare: seduti su una sedia, nella vostra stanza, nel silenzio, e già al primo giro di inspirazione ed espirazione profonda non potrete fare altro che verificare che è così. Qualsiasi sia il vostro stato in quel momento, toccherete con mano che è così.
In fondo, la nostra vita è questo. Il primo atto della nostra esistenza è stato una inspirazione violenta e forte, la prima cosa che facciamo quando veniamo al mondo: i polmoni si aprono in un colpo solo ed è impressionante al punto da farci piangere. E l’ultimo atto della nostra vita sarà un’ultima, inesorabile, espirazione: l’ultima cosa che facciamo prima di andarcene, di lasciare questa vita. Ciò che accade in mezzo a questi due estremi – e cioè l’automatico e inconscio ripetersi di inspirazioni ed espirazioni – non è altro che l’alternanza di tante piccole “nascite” e di tante piccole anticipazioni della “morte”. Ed è per questo che nella visione filosofica orientale (in particolare quella buddista) vita e morte non sono in antitesi, non sono una in contrasto con l’altra, non sono una amica e l’altra nemica, non sono una meglio e l’altra peggio, non si tratta di due forze che lottano per cui una prevale, ma si tratta di un unico percorso, di un unico cammino in armonia con il Tutto: la vita è, insieme, la vita e la morte. La prima inspirazione e l’ultima espirazione, dunque, sono la stessa cosa, perché ognuna di esse, da sole, non potrebbero essere.
Nelle meditazioni orientali, proprio attraverso un’attenzione consapevole al ritmo e alla profondità della respirazione, si fa esperienza di tutto questo. Ed è, appunto, nel non abbandonarsi, nel non rassegnarsi a una respirazione distratta, automatica, inconscia, ponendovi invece attenzione e cura, che si avverte immediatamente quel senso di pace, di benessere. Perché ponendo consapevolezza sul respiro c’è armonia riguardo al nostro esistere in quanto tale, come insieme di vita e morte. Non c’è contrasto, non c’è opposizione, non c’è tensione.
Il respiro è il fulcro della nostra vita. Spetta a noi garantire – e la meditazione di tipo orientale è una possibile via per riuscirci, certo non l’unica – che questo ritmo vivente sia consapevole. La parola che sta al cuore di tutto è questa: “consapevole”, in modo che ci insegni, che ci apra, che ci abiti. Non c’è nulla di esoterico, è molto tangibile e tutta la nostra storia è una storia di respiro. C’è qualcosa di profondamente reale, biologicamente esplicabile e, allo stesso tempo – inutile negarlo – molto misterioso.
Spiega il fondatore della comunità Zen di Parigi “La montagne sans sommet”, Federico Dainin Jôkô: «Se avete accompagnato una persona in fin di vita, fino al suo ultimo respiro, inevitabilmente siete stati accanto a lui o a lei, e in questo ultimo momento avrete sentito che non cede una semplice espirazione, ma cede qualcosa di molto più profondo. Così come un neonato che ispira la prima volta, non respira solo aria, ma vita. E’ intuitivo e sappiamo che è qualcosa di più grande di una semplice attività meccanica. So che quando sono davvero consapevole del mio respiro, quando mi capita, mentre medito, di essere davvero consapevole di ciò che osservo, come se fossi davvero un tutt’uno con ciò che mi attraversa, e consapevole di avere questo potere di lasciare andare tutto nel respiro, ne sono incredibilmente scosso. E’ qualcosa che mi nutre. Questa consapevolezza che la vita è in me, mi rende sensibile, mi rende disponibile a tutto e allo stesso tempo mi libera da tutto. E’ meraviglioso, miracoloso. E’ questo il risveglio. Questa vita che mi abita, che dà il ritmo alla mia esistenza, che sia stato buono o cattivo. Quindi, facciamo insieme l’esperienza di questa vita che va e viene in noi attraverso il respiro».
Sullo stesso argomento per pazienti

Vuoi far parte della nostra community e non perderti gli aggiornamenti?

Iscriviti alla newsletter