Sulla libertà di parola

Dopo anni in cui non era propriamente semplice poter esprimere la propria opinione, la nostra Costituzione ha previsto all’articolo 21 la libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero con ogni possibile mezzo di diffusione. Una conquista di civiltà che gli Stati Uniti avevano già inserito addirittura nel primo emendamento della loro ancor giovane Costituzione nel 1791 e, più esattamente, nel Bill of Rights. Dopo anni di regime in cui vigeva una rigida censura, finalmente nel 1948 viene sancita e tutelata la fondamentale libertà di esprimere le proprie opinioni con ogni mezzo a disposizione, pur con determinati limiti, quali la commissione di reati e sempre si presume, il buonsenso.

Oggi però sembra sia diventato difficile parlarne o, forse, più ancora definirla. Siamo probabilmente nel momento in cui ha raggiunto la sua estensione massima a causa delle forme in cui può essere manifestata: grazie anche ai social network, aggiuntisi alla classica stampa, sono ormai infinite le possibilità, per chiunque, di poter dire la sua opinione in qualsiasi momento con un post su Facebook, un tweet o addirittura un blog. Chiunque potrà allo stesso modo rispondere alle opinioni altrui, commentare, reagire, dibattere e così via. Assumendosene ovviamente la propria responsabilità. Allo stesso modo, specialmente in tempi recenti, questa libertà sembra trovare limiti, e non correttivi, nel politically correct che, ovviamente, è concetto decisamente fumoso, vago e, più che altro, estremamente personale e soggettivo. Ciononostante, chiunque si sente di opporre il proprio pensiero politically correct alle opinioni altrui.

Ecco quindi che ci troviamo di fronte a non conversazioni e non scambi di pensiero quando una delle due parti, più o meno nello stile del grido “capra” lanciato da Vittorio Sgarbi, taccia l’altra parte di assoluta ignoranza o di indicibili misfatti, arroccandosi su posizioni che ritiene assolutamente certe, pure, intoccabili che rendono impossibile qualsiasi confronto. Sintesi: hai torto a prescindere,

Inoltre, nel reale e nel virtuale, è sempre più uso celarsi dietro il più totale anonimato. Che ciò avvenga mediante profili falsi o mail di comodo, ovvero con l’uso di cappucci e passamontagna, chiunque può tranquillamente passare sopra il più logico dovere di metterci la propria faccia e ascoltare allo stesso modo le voci altrui, ed essere degno delle troppo citate e poco applicate parole attribuite (erroneamente) a Voltaire, “Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”.

Sono fin troppo frequenti episodi in cui il primo a parlare lancia una pietra e nasconde la mano, ma ancora più numerosi i casi in cui chi risponde lo fa semplicemente insultando senza quel confronto che sarebbe il giusto corollario al diritto di esprimere il proprio pensiero. E ciò avviene anche confidando nell’omertà dei più, in episodi che hanno molte analogie con il bullismo che, ricordiamo, è frutto quasi sempre di ignoranza.

Esattamente ciò che è accaduto alla manifestazione di Macerata. Durante il corteo si è probabilmente toccato il limite all’uso del diritto di libertà di parola inneggiando a gravi crimini proprio nei giorni in cui se ne celebrava il ricordo. Sembra che, oltre a canti sulle foibe siano stati scanditi slogan contro le vittime di Nassiriya.

I cori di alcuni, pochi o molti, hanno in questo casa annullato e svilito il valore di quelle che probabilmente erano le intenzioni dei più. In un corteo dedicato a una legittima protesta, le voci che si sono levate a esaltare un eccidio di massa, sempre troppo poco conosciuto, hanno delegittimato l’intera iniziativa. E la mancata dissociazione da parte degli organizzatori e dei leader che di questa protesta facevano un cavallo di battaglia, rende ancora più grave l’episodio. Oltretutto non risulta che vi siano stati tentativi da altri partecipanti al corteo di zittire quei cori. Avere tollerato e non denunciato la presenza di quella che è e resta una pericolosa frangia, offre non solo una pessima immagine complessiva della manifestazione: la delegittima in toto.

Probabilmente, però, la vicenda è solo la punta dell’iceberg di un contesto in cui della libertà di parola ne viene fatto pessimo uso e costante abuso. Chi scende in una piazza per un’idea, ne ha la responsabilità e deve essere conscio che dovrà farsi carico delle voci estremiste del proprio coro, non limitandosi a minimizzare episodi o cercando semplicemente di non vederli, ma deve essere pronto a prenderne doverosamente le distanze. Pena non solo la perdita di credibilità non solo di immagine, ma anche delle proprie idee.

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