Entrare nel lavoro di Plinio Martelli è come calarsi in una grotta in cui ci si può aspettare un’esperienza estrema, un viaggio intriso di colto esoterismo, magari anche inquietante, ma in cui non si smette di sentire aleggiare sopra di sé uno spirito decisamente goliardico, senza dubbio vera manifestazione del dionisiaco, uno spirito che vuol correre dei rischi, vedere in faccia il limite dell’umano svelandone la bellezza profonda passando dai suoi angoli più grotteschi.

l'estro corrusco di Plinio Martelli

Per questo visitare la mostra a lui dedicata a Torino presso Phos – Centro Polifunzionale per la Fotografia e le Arti Visive in collaborazione con la galleria d’arte torinese Dr Fake Cabinet, consente di avvicinarsi a quel limite tanto caro alla ricerca artistica compresa nei decenni tra il 1960 e il 1980 – si ricordi che Martelli prese parte al movimento Fluxus nel 1967- sentendosi però come in qualche modo presi per mano da qualcuno che continuamente ci ripete che attraverso tutto il proprio sbizzarrito immaginario altro non ha voluto dimostrare che l’esistenza del sublime incastonato nell’istinto animale e nel reietto.

l'estro corrusco di Plinio Martelli

Torna in mente la Madama Edwarda di George Bataille, la scoperta del sacro nell’amore fedifrago e impuro trasformato appunto nell’accesso diretto alla contemplazione estetica. Il lavoro maggiormente approfondito dalla mostra è quello noto dei “Tatuati”, a cui Martelli dedicò studi e saggi teorici precorritori sull’argomento. Nel tatuaggio, infatti, l’artista ha identificato un’espressione individuale pura del mondo privato d’ognuno e degli elementi che lo costellano, superando l’idea di radice lombrosiana che vedeva in tali segni l’espressione invece di una propensione psichica al crimine o alla malattia mentale.

l’estro corrusco di Plinio Martelli

Nelle opere dedicate ai “Tatuati” Plinio fonde pittura e fotografia, dipingendo a colori i tatuaggi sul corpo lasciato monocromatico del soggetto e stampando il risultato su tela, tanto da trasportare il visitatore in quella terra di mezzo finalmente liberata da definizioni e gabbie tassonomiche. Alcune volte i soggetti, rappresentati a figura intera con la seria inespressività dell’uomo tradotto in idea e inquadrati e incorniciati con quel poco di margine, paiono salme deposte nel proprio sarcofago aperto, manifestandosi come quanto mai efficace moderno memento mori, unito a un’esperienza rischiosamente voyeuristica.

l'estro corrusco di Plinio Martelli

 

Leggendo di Martelli sul web, inoltre, lo si vede associato a Von Masoch, l’autore che coniò il termine masochismo, ed è facile ravvisare questo collegamento nelle sue opere: visto attraverso anche uno sterile e incompiuto onanismo, come ne “La Commedia dell’Arte – ovvero il Castello della Voluttà” del 1978 o ne “La Partita” del 1984, il rapporto con se stessi pare tradotto nell’eterna e illogica sfida di vincersi, di superarsi per abbandonarsi, in senso fisico e morale.

Tutto il patrimonio filmico di Plinio Martelli – settore artistico che gli valse l’invito alla Biennale di Venezia nel 1978 – è ora conservato alla GAM di Torino. In occasione della mostra, visitabile fino al 15 settembre, sono proposte in copia numerosi esemplari della produzione dell’artista, coprendo il periodo dal 1968 al 1984.

Il magma immaginifico di Martelli gioca decisamente col fruitore, non lo accontenta mai del tutto: vede nella ripetizione della stessa scena e nel lasciarla irrisolta fino alla fine l’espediente più ricorrente – tornando all’irraggiungibilità del piacere totale e della vittoria definitiva – privando chi guarda di un pieno coinvolgimento narrativo in favore della suggestione spesso ipnotica, monocorde e anti-argomentativa.

l'estro corrusco di Plinio Martelli

Plinio Martelli

Né vuol nascondere i propri artifici creativi: in qualche modo Plinio appare sempre, ingannando e giocando nelle sue opere. Dal dipingere sulle gambe di un “tatuato” le proprie iniziali, P M, fino agli errori di ripresa nei film, la firma di Plinio Martelli pare voler essere tangibile nel suo manifestarsi sotto forme molteplici. Il viaggio della mostra, per quanto breve, conduce perfettamente alla scoperta di un autore tra i più eclettici e significativi della scena torinese, rimasto attivo fino all’anno della morte avvenuta nel 2016.

 

Dalla grotta non si esce rassicurati, forse, come da nessun percorso che inviti a guardare in faccia gli estremi della natura umana, se non direttamente la propria: se di messaggio – o di consolazione – si vuol parlare, la voce di Martelli ci indica una via tra i frammenti che rimangono di quell’“infinita vanità del tutto”.

Carola Allemandi