Conoscenza. All’inizio era solo un fenomeno “strano”: polmoniti anomale con alti tassi di mortalità. Qualcosa che strideva con il già conosciuto. Noi impariamo in questo modo: incaselliamo la conoscenza acquisita in schemi mentali ben definiti. Quando ci troviamo di fronte a dati e accadimenti che non riusciamo a giustificare con detti schemi ci rendiamo conto che qualcosa sfugge alla nostra conoscenza. E così, ponendo le domande giuste, i ricercatori hanno scoperto l’esistenza di un nuovo virus: un risultato importante perché, oltre a spiegare quello che era solo un fenomeno strano, si è individuato il nemico da battere. Con il passare dei giorni la ricerca ha accumulato ulteriori conoscenze, ancorché embrionali, su possibili cure e, soprattutto, ha iniziato a studiare un possibile vaccino.

Decisione. Le conoscenze pregresse, che ci dicono come comportarci di fronte ad una minaccia di questo tipo, unitamente alle prime conoscenze delle caratteristiche di Covid-19, ovvero l’altissimo tasso di contagiosità, hanno portato a concludere che il distanziamento sociale era, in mancanza di meglio, l’arma migliore a disposizione per fronteggiare il virus, ovvero per contenere il numero di morti. Di qui la necessità di assumere una decisione grave: “chiudere” tutto (cosiddetto “lockdown”). Chi deve prendere una decisione di questo tipo (e poi quelle successive: quando riaprire, come riaprire, a quali attività dare la precedenza, e così via)? Gli stessi scienziati? In realtà essi non sono i soggetti più indicati, per molte ragioni. Perché anche tra gli scienziati esistono opinioni diverse, ma soprattutto perché sono tanti gli esperti da prendere in considerazione: certamente virologi ed epidemiologi, ma anche clinici (che osservano il decorso della malattia), psichiatri (che conoscono gli effetti della clausura prolungata) e poi economisti, sociologi, giuristi per tutte le ricadute sociali che una decisione di questo tipo comporta. In una parola: occorre ricondurre le diverse conoscenze a sintesi. La decisione spetta al decisore politico che dovrebbe avere questa capacità. Ma c’è anche un’altra ragione che milita a favore di questa soluzione. Dietro ogni decisione c’è una scelta di valore e, quindi, una scelta politica, appunto. L’Italia ha contenuto l’epidemia imponendo il lockdown. La Svezia ha fatto la scelta opposta e ora quel paese ha il più alto tasso di mortalità in Europa (sorvolo sulle scelte di Bolsonaro in Brasile e sulle esternazioni di Trump negli Stati Uniti). Modi diversi di “pesare” il valore delle vite umane. O modi diversi di giudicare le priorità sociali. Scelte politiche, appunto.

Rischio. Nessuna decisione è totalmente positiva ovvero totalmente negativa. C’è sempre la possibilità che una certa scelta o una determinata azione (che comprende anche il decidere di non agire) provochi danno o eventi non desiderati. Di qui anche la nostra “ansia” di sicurezza ovvero l’aspirazione a trovarci in quella condizione che ci fa sentire di essere esenti da pericoli, o che dà la possibilità di prevenire, eliminare o rendere meno gravi danni, rischi, difficoltà, evenienze spiacevoli, e simili. Lo constatiamo in questi giorni. L’andamento della epidemia è in miglioramento. Ecco la scelta di riaprire pur consapevoli della possibilità di una recrudescenza dei contagi. Sappiamo un po’ di più del virus e le conoscenze ci consentono di fare analisi del rischio. Ancora una volta la valutazione finale sul rischio spetta al decisore politico. D’altronde ritrovarsi con un numero insufficiente di posti di terapia intensiva (come abbiamo scoperto in queste settimane) è solo il frutto della valutazione dei rischi e delle scelte compiute dal decisore politico negli ultimi vent’anni.

Errore. Nel processo che porta dalla conoscenza alla decisione occorre considerare anche un altro elemento ineliminabile dalle vicende umane: l’errore. Le conoscenze possono essere sbagliate, incomplete, inaccurate. Ed anche le decisioni possono essere errate: vuoi perché frutto di conoscenze sbagliate vuoi perché maldestre nonostante l’esistenza di conoscenze che non sono state tenute in debita considerazione. Il possibile errore deve essere, se possibile, prevenuto e tenuto in conto in ogni caso per poter minimizzare i danni.

Ho scritto queste righe per descrivere una delle cose che l’emergenza Covid-19 ci imposto di esplorare: il rapporto tra conoscenze e decisioni e gli ingredienti che lo caratterizzano. È uno degli aspetti della “competenza in politica”. Il decisore politico è competente se è in grado di prendere la decisione migliore prima comprendendo e poi facendo sintesi delle conoscenze disponibili alla luce di una chiara gerarchia di valori (la visione politica).

Se questa competenza non c’è o non la pretendiamo il prezzo lo paghiamo tutti.

l’Adige 11 giugno 2020

 

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