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Io non mi chiamo Miriam

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«Io non mi chiamo Miriam», dice di colpo un’elegante signora svedese il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, di fronte al bracciale con il nome inciso che le regala la famiglia. Quella che le sfugge è una verità tenuta nascosta per settant’anni, ma che ora sente il bisogno e il dovere di confessare alla sua giovane nipote: la storia di una ragazzina rom di nome Malika che sopravvisse ai campi di concentramento fingendosi ebrea, infilando i vestiti di una coetanea morta durante il viaggio da Auschwitz a Ravensbrück. Così Malika diventò Miriam, e per paura di essere esclusa, abbandonata a se stessa, o per un disperato desiderio di appartenenza continuò sempre a mentire, anche quando fu accolta calorosamente nella Svezia del dopoguerra, dove i rom, malgrado tutto, erano ancora perseguitati. Dando voce e corpo a una donna non ebrea che ha vissuto sulla propria pelle l’Olocausto, Majgull Axelsson affronta con rara delicatezza e profonda empatia uno dei capitoli più dolorosi della storia d’Europa e il destino poco noto del fiero popolo rom, che osò ribellarsi con ogni mezzo alle SS di Auschwitz. Io non mi chiamo Miriam parla ai nostri giorni di crescente sospetto verso l’«altro» interrogandosi sull’identità – etnica, culturale, ma soprattutto personale – e riuscendo a trasmettere la paura e la forza di una persona sola al mondo, costretta nel lager come per il resto della vita a tacere, fingere e stare all’erta, a soppesare ogni sguardo senza mai potersi fidare di nessuno, a soffocare i ricordi, i rimorsi, il dolore per gli affetti perduti: «Non si può dire tutto! Non se si è della razza sbagliata e si ha vissuto sulla propria pelle l’intero secolo.»

488 pages, Kindle Edition

First published March 1, 2014

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About the author

Majgull Axelsson

34 books245 followers
Majgull Axelsson (b. 1947) is a famous Swedish journalist and writer. She grew up in Nässjö and had education in journalism.

Her first book was non-fiction, and focused on the problems of child prostitution and street children in third world, and poverty in Sweden. April witch is her second novel, and one that was well received in Sweden. With over 400,000 copies sold in hardcover, It landed on several bestsellers lists for months and received important Swedish literature awards including the Moa Martinsson Prize Jörgen Eriksson's Prize and Augustpriset. It addresses themes of mother-daughter relationships, competition between women, and the failures of Sweden's postwar welfare state.

Axelsson lives with her husband on Lidingö.
(From wikipedia.org.)

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95 (2%)
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12 (<1%)
Displaying 1 - 30 of 389 reviews
Profile Image for Emilie.
552 reviews17 followers
November 12, 2014
Om jag ska vara ärlig så var det ingen tvekan redan från första kapitlet att denna bok förtjänade fem stjärnor. Den är helt... har inga ord.

Vi sätter tipslappar på böcker vi gillar på jobbet (akademibokhandeln) och jag tänkte sätta upp en för denna bok. Kom dock inte på något att säga. Tillslut fick det bli i stora bokstäver "HELT FANTASTISK!!"

Följande citat är enligt mig inte en spoiler men det förekommer ganska sent i boken så, läs eller ignorera.

"Och Miriam gjorde som han ville. Hon kan alltså gömma sig bakom honom, men sanningen är att hon inte gjorde det för att vara en lydig hustru. Hon gjorde det inte ens av rädsla för att hennes lögner skulle avslöjas. Hon gjorde det i något slags bakvänd lojalitet med sitt folk. Romerna erbjöds ju ingen kompensation. De utrotades ju inte av rasmässiga skäl, förklarade tyska myndigheter efter kriget. De utrotades ju för att de var kriminella. Varenda en. Också fjortonåriga flickor som Anuscha och små pojkar som Didi. Och hederliga silversmeder som Malikas far. Och det var för deras skull som Malika rev sönder brevet från Tyskland" sid 427


Det var några veckor sedan nu som jag läste ut boken och min book hangover går inte över. Finns det något bättre än när författare total f-ar upp folks världsbild? Don't think so. Det finns många trångsynta människor, speciellt dem som lider av alla romer på gatan som tigger (det är säääkert jäääääättteeee jobbbbbiiigt för er att behöva se folk som tigger och förstör bilden av ert vackra underbara allt är perfekt-Sverige. Stackare. Buhu) skulle behöva läsa denna bok. Kanske kommer som en överraskning, men alla människor på jorden har känslor. Och förtjänar ett liv i trygghet. Man kan inte hjälpa alla men man kan ta mig tusan minska på fördomarna.

Anyhow, jag rekommenderar verkligen boken. Vackert språk, gripande historia, men samtidigt måste jag säga spännande. Årets, om inte överhuvudtaget bästa bok för mig.
Profile Image for Mariaelena Di Gennaro .
403 reviews123 followers
June 12, 2018
"D'un tratto si fermò e si girò a guardare le tracce nella neve, battendo le ciglia un po' stupita. Aveva lasciato delle tracce. In qualche modo doveva aver pensato di essere così irrilevante che il suo passaggio sulla neve morbida non potesse vedersi. Avvertì un formicolio allo stomaco. Io esisto, pensò. Mi chiamo Miriam ed esisto..."

Non è facile parlare di questo romanzo. Ho aspettato settimane per trovare il coraggio di buttare giù qualche riga ma sento che non sarà mai abbastanza, che non riuscirò a rendergli giustizia e a trasferire sulla pagina bianca tutto il dolore, la sofferenza, il disgusto e la rabbia che mi ha fatto provare. Mi limiterò a condividere giusto qualche pensiero...

Che dire, questo libro mi ha fatto molto male, a tratti è straziante e racconta una delle pagine più vergognose della storia dell'umanità, cioè l'Olocausto, ma lo fa in modo originale prendendo come spunto il punto di vista di una donna rom. Miriam infatti è una rispettabile signora svedese che nel giorno del suo ottantacinquesimo compleanno confessa per la prima volta a sua nipote Camilla un segreto che si è tenuta dentro per decenni: il suo nome non è Miriam. Il suo vero nome è Malika ed è una rom, una zingara. Poco si sa dei rom internati nei campi di sterminio, quasi nulla conosciamo di quella che fu anche la loro sofferenza e questo libro ci fornisce degli indizi e delle riflessioni. Appunto perchè la loro voce non fu mai troppo alta, anche l'autrice stessa ci dice di aver fatto fatica ad approfondire l'argomento, ma ho apprezzato ogni singolo riferimento alla loro sorte, al loro modo di vivere, a come erano visti dalla gente, umiliati, disprezzati anche dagli altri prigionieri. Sono tante le cose che colpiscono di questa storia, in primis la sofferenza angosciante della protagonista che è anche la nostra narratrice e che vive un dolore legato non solo al ricordo dell'inferno vissuto nei campi di sterminio,ma anche quello legato all'aver rinnegato il suo popolo, il suo nome, la sua famiglia, alla costante sensazione di aver vissuto una vita di bugie e inganni anche verso chi, dopo la guerra, l'ha accolta nella propria casa ridonandole quella felicità che per troppo tempo aveva dimenticato. Malika riaffiora continuamente nella vita di Miriam ed ecco che lei la scaccia perchè fa troppo male ripensare a lei, alla vita con suo padre e l'amato fratellino Didi, perfino a quella lingua, il romanès, che ormai vive solo nei suoi ricordi e che per troppo tempo ha dovuto confinare nell'angolo più remoto della sua mente. Eppure scacciandola Miriam si sente in colpa, quasi una "traditrice", si porta dietro il peso di chi è sopravvissuto, di chi è sceso all'inferno e incredibilmente ce l'ha fatta anche grazie a persone che l'hanno protetta come la dolce Else e l'amica Lykke per le quali ho tanto sofferto e sperato.
La Axelsson decide di rispondere anche a quella domanda che io stessa mi sono fatta ogni volta che mi sono avvicinata a questo genere di lettura: come si fa a ricominciare a vivere? Che succede dopo? Ecco, questo libro racconta anche la nuova vita di Miriam, ci fa vedere una Svezia che accolse moltissimi sopravvissuti ai campi nazisti, ma che allo stesso tempo non voleva parlare di quello che era successo, voleva che rimanesse una macchia confinata in un passato che era meglio per tutti dimenticare. Peccato che chi, come la nostra protagonista, ha sperimentato sulla propria pelle la follia e la crudeltà umana non può certo dimenticare. Questo passo che ho scelto di riportare lo spiega molto bene:

"Si voleva dimenticare e andare avanti,guardando al futuro.
Ma alcuni non potevano,non volevano,non dovevano dimenticare.
Erano le decine di migliaia di prigionieri inaspettatamente ancora in vita quando i russi e gli americani liberarono i campi di concentramento.
Erano gli ebrei e i rom che ogni giorno,senza requie,avevano sentito il tanfo dei forni crematori.
Che ogni mattina si erano schierati davanti alle baracche per essere contati e selezionati per continuare a vivere o morire.
Che avevano rinunciato a ogni speranza,perchè sperare non serviva a niente.
Quelli che i nazisti avevano trasformato in "non uomini" ridotti a numeri,derubandoli della loro umanità,il cui unico istinto rimasto era sopravvivere da un giorno all'altro e spesso nemmeno questo."

Tutte queste sensazioni, in primis l'annullamento totale che i prigionieri dei campi di sterminio erano costretti a subire, a cominciare da quel numero marchiato sulle loro braccia che aveva il compito di assorbire la loro identità, sono resi benissimo dall'autrice e dalla sua scrittura scorrevole e incisiva. Il suo modo di scrivere scava nelle emozioni dei personaggi ed è capace di far sentire sulla pelle del lettore la paura, il disgusto, il dolore, il senso di pericolo, di ingiustizia, la paura della morte, la rassegnazione e, nonostante tutto, la voglia di farcela e di tornare a vivere e sognare. Confesso che non riuscivo a leggerlo di sera, una notte ho avuto degli incubi perchè ci sono pagine davvero durissime, in particolare quelle dedicate al triste destino del piccolo Didi, fratello di Miriam, finito nelle grinfie del tremendo dottor Mengele e che mi hanno straziato il cuore, così come questo passo che illustra perfettamente l'atrocità e le torture subite da questi innocenti:

"Erano arrivate al lavandino.
Sopra c'era un piccolo specchio.
Miriam battè le palpebre e si preparò a vedere il riflesso del proprio viso per la prima volta da molti anni.
Ma era davvero lei?
Quello scheletrino?
Senza capelli.
Il cranio completamente calvo,così pelato che luccicava.
E i denti? Perchè aveva tutti quei denti?
E quelle guance così incavate?
E perchè dove avrebbero dovuto esserci gli occhi c'erano solo 2 buchi neri?
Tirò su col naso e vide con orrore che lo spettro nello specchio faceva la stessa cosa.
Senza pensarci si girò di fianco e gettò le braccia al collo dell'infermiera,nascondendo gli occhi contro la sua spalla.
Per poco non cedette alle lacrime,ma nello stesso istante le si aprì dentro il buco gelido,
quello che ricordava così bene dal giorno in cui il mondo si era capovolto,e che ora le permise di osservarsi sprezzante dall'esterno.
Quanto era stupida?
Pensava davvero che quella creatura inamidata le avrebbe permesso di insudiciarla con le sue lacrime e il suo moccio?
Credeva sul serio che l'infermiera non l'avrebbe spinta via trasformandosi in una nuova Irma Lunz,se non peggio?
La cosa strana fu che non accadde.
L'infermiera le passò soltanto una mano sulla schiena in un gesto muto di consolazione.
Rimasero immobili per qualche attimo,ciascuna immersa nei propri pensieri.
Alla fine Miriam si raddrizzò e si schiarì la voce.
"Perchè?Perchè l'hanno fatto?"
La donna si morse il labbro inferiore e poi scosse la testa.
"Non lo so.Non lo capisco nemmeno io"

Sono passati decenni, si è scritto e letto di tutto su questa pagina nera della storia umana eppure a questa domanda non saremo mai in grado si rispondere.

Insomma, come avrete capito per me è stato un libro indimenticabile, doloroso, ricco di spunti di riflessione e tragico proprio perchè purtroppo, anche se romanzato, racconta un orrore reale.
Sarà difficile scrollarmi di dosso questa storia e anche a distanza di settimane continuo a pensarci e per me questo riesce a farlo solo un gran bel libro.
Lo consiglio a tutti.

Profile Image for Gattalucy.
336 reviews136 followers
January 6, 2019
"Un romanzo valido offre più domande che risposte
E' un romanzo, e non una testimonianza, in un genere in cui scrivere una storia inventata possa sembrare una bestemmia.
La Majgull Axelsson mi ha costretto ad interrogarmi su uno dei pregiudizi più facili e diffusi nelle nostre società opulente: quello contro i Rom, gli zingari, a cui nessuno sfugge. Contro quel fastidio innato a cui non riusciamo a sottrarci se non con voluti distinguo logici e razionali, che comunque non riescono fino in fondo a mascherare il nostro disagio, la diffidenza e il sospetto.
Dei Rom vittime dell'Olocausto non ha parlato nessuno. Non hanno nemmeno avuto quel riconoscimento alle vittime toccato in seguito ai sopravvissuti Ebrei. Così questa storia, sebbene inventata, ha il coraggio di parlare di loro, di dare anche a questo popolo un giusto riconoscimento per le sofferenze subite.
"...Un popolo, secondo me, che meriterebbe - per il fatto, appunto, che gira il mondo da più di 2000 anni senza armi - meriterebbe il premio per la pace in quanto popolo... Gli zingari rubano, è vero, però io non ho mai sentito dire - non l’ho mai visto scritto da nessuna parte - che gli zingari abbiano rubato tramite banca. Questo è un dato di fatto" - Fabrizio De André
Profile Image for Rowizyx.
351 reviews157 followers
February 27, 2019
Lettura molto complessa. Ho apprezzato molto la postfazione che riflette sulle difficoltà di scrivere della narrativa seria e autorevole sul tema dei campi di concentramento, argomento spinosissimo e che negli ultimi anni sta subendo una vera e propria squalifica, a mio avviso, per tutti quei romanzetti di consumo dove però il tema, l'orrore sono soffusi, sono usati per fare ambiente. Brrrrr.

L'autrice di questo libro invece prende il problema di petto in modo coraggioso e complesso, e decidendo di parlare della vergogna nella vergogna, il genocidio silenzioso e dimenticato dei rom e dei sinti, schiacciati dalla tragedia del popolo ebraico e dall'indifferenza, se non proprio odio, che queste etnie subiscono da secoli.

La scelta di Malika, che decide di reinventarsi e di approfittare di una fortunata, tragica coincidenza nel trasferimento da un campo di concentramento all'altro, mozza il fiato. Spoglia il cadavere di una ragazza sua coetanea per sostituire la sua divisa ormai distrutta (dalle altre deportate che l'hanno aggredita per un pezzo di pane) e, rendendosi conto che il numero di matricola suo e della ragazza morta sono molto simili, decide di spacciarsi ebrea. Perché gli ebrei sono trattati peggio dai sorveglianti, ma i rom sono i più emarginati e i più maltrattati dagli stessi deportati, in una spirale di violenza e odio che non sembra si possa spezzare. Malika non può contare sulla proverbiale solidarietà del suo popolo - non è imparentata con nessuno, non conosce nessuno, è un'emarginata tra gli emarginati negli emarginati - e così compie una scelta radicale: diventa Miriam.

E questa decisione le salverà la vita, perché le permetterà di accedere agli aiuti umanitari della Croce Rossa, di essere accolta come profuga in Svezia - mentre i rom vengono rispediti al mittente - avrebbe anche diritto al risarcimento per ciò che ha subito, anche se lo rifiuta. I rom no, perché si sa che gli zingari sono tutti criminali. Perfino nel dopoguerra e dovendo confrontarsi con l'orrore dei campi, delle camere a gas e dei forni, degli esperimenti di Mengele, i rom, perfino i bambini torturati per studiare una forma di cancrena del viso, la noma (tra gli sfortunati anche il fratello di Malika, Didi), e poi assassinati, perfino di fronte a tutto questo l'opinione pubblica mentre si indigna per l'ingiustizia subita dagli ebrei... sembra ritenere che in fondo comunque i rom si meritassero una simile fine. Come la "notte degli zingari", un episodio poco conosciuto ma terrificante: a seguito di una rivolta ad Auschwitz, più di 3.000 zingari vennero rastrellati dalle baracche, gasati e bruciati. In una sola notte.

È la cosa forse più sconcertante, vedere che anche chi sta subendo la più atroce delle ingiustizie e delle infamie umane, chi è vittima di un pregiudizio razziale insensato, non riesce a emergere dallo stesso path culturale e trova comunque un'altra minoranza con cui prendersela, da avversare e trattare da "sub-umano".

Miriam serba il suo segreto per quasi settant'anni, nel terrore di perdere tutto quello che la vita le ha dato come risarcimento. Un marito e un figlio, una vita tranquilla e al sicuro. Settant'anni di rimozione, di impegnativo controllo per soffocare sia la se stessa di prima, la zingara Malika, sia la Miriam sopravvissuta ai campi di concentramento, argomento tabù. Finché davanti a un regalo di compleanno, ormai ottantacinquenne, si lascia sfuggire la confessione: io non mi chiamo Miriam.

Ed è alla incasinata nipote Camilla che rivela la sua storia. Il fratellino Didi morto tra le sue braccia col viso mangiato fino all'osso dalla malattia, la violenza, le percosse, l'orrore. Rivelazioni dure, senza fare sconti: "hai chiesto, e a me rispondere costa fatica, ora ascolti", quando Camilla cerca di interromperla, sopraffatta dalle rivelazioni che non era pronta ad ascoltare. In un percorso che sembra molto comune, quello dei sopravvissuti che non parlano con i figli, per proteggerli dall'orrore troppo vicino (scottati anche da un mondo che non vuole sentire le loro storie), ma che si confidano con i nipoti, sentendo di dover passare il testimone prima della morte.

È un romanzo molto intenso e tosto, e sono molto contenta di averlo letto.
Profile Image for Patryx.
459 reviews143 followers
July 12, 2018
La sinossi spoilera davvero tutto (il mio consiglio è di non leggerla) e la post-fazione di Björn Larsson esprime molto meglio di me (ovviamente) quanto avrei voluto scrivere.
Mi limito a sottolineare che il libro riesce a intrecciare in maniera equilibrata la riflessione sull’Olocausto e l’impossibilità per la protagonista di vivere la sua identità di Rom; senza voler fare delle graduatorie sulla base della sofferenza e dei crimini perpetrati, l’autrice racconta di come, alla fine della guerra, gli ebrei ottennero la solidarietà internazionale, invece coloro che furono internati nei campi di concentramento per motivi differenti (almeno ufficialmente) dall’odio razziale non ebbero né comprensione né risarcimenti: è il caso dei Rom (di cui si parla in questo libro) ma anche, per esempio, dei soldati italiani che all’indomani dell’8 settembre non accettarono l’autorità degli ufficiali tedeschi (come ben descritto da Guareschi in Ritorno alla base).


Alcuni dei colori utilizzati per identificare gli internati nei campi di concentramento nazisti.

Il trattamento dei deportati era uguale per tutti: gli ebrei, però, avevano una maggiore probabilità di essere uccisi con il gas, d’altro canto i Rom erano la categoria che maggiormente veniva disprezzata da tutti gli altri internati; quindi la protagonista si trova a decidere se essere maggiormente integrata tra le prigioniere del campo, fingendo di essere ebrea, oppure avere il disprezzo di tutti ma vivere con gli altri Rom (di cui comunque non conosceva nessuno). La scelta, che ovviamente la condizionerà anche in seguito, non era così semplice come l’ho posta perché molti dei paesi (tra questi anche la Svezia) che accolsero gli ebrei alla fine della guerra non permettevano l’immigrazione di persone appartenenti all’etnia Rom.
Altro aspetto che mi ha colpito è la volontà del personale sanitario responsabile dell’accoglienza di evitare sempre qualsiasi riferimento all’esperienza vissuta dalle donne liberate: questo non le aiutò a elaborare il loro vissuto e a superare lo stress post-traumatico con effetti anche sulle generazioni successive (La seconda generazione. Quello che non ho detto a mio padre); si trattò di una sorta di rimozione sociale che fu superata solo negli anni ’60 durante il processo a Eichmann, perché tutti i mezzi di comunicazione ne parlarono con abbondanza di dettagli facendo cadere la cortina di irrealtà che era stata stesa sulla tragedia dei campi di concentramento.
Profile Image for Antonella Imperiali.
1,188 reviews125 followers
January 26, 2019
Difficile trovare le parole giuste per recensire questo romanzo.
Mi ha affascinata, mi ha inorridita, mi ha emozionata fino alle lacrime. Difficile parlare di Olocausto attraverso le parole di un romanzo, attraverso il vissuto di un personaggio inventato, ma la Axelsson vi è riuscita benissimo.

La storia di Miriam, di questa donna ormai ottantacinquenne, è una storia di bugie, di segreti, di vita, di morte, di ricordi, di dolore, di salvezza, di rinascita.

Rom, viene rastrellata con la famiglia, separata da alcuni di loro, e condotta ad Auschwitz insieme a migliaia di altre donne e bambini. Qui perde prima la cugina poi il fratello, e rimane sola a vivere l’orrore.
Poi un altro treno e il trasferimento a Ravensbrück.

Dunc... il martellante e cadenzato rumore dei giunti delle rotaie spezza i pensieri, li regola, li indirizza altrove evitando l’esistenza in quel vagone colmo di donne. Concentrarsi su quel rumore era l’unica via d’uscita per sopravvivere. Dunc

Durante il viaggio le strappano il vestito e in fretta ne indossa un altro, quello di una donna ebrea morta sul suo stesso vagone. Questo le cambia il destino, la salva, ma il desiderio di sopravvivenza la sottopone ad un silenzio straziante, quasi a rinnegare la propria appartenenza al gruppo di origine.

Zingari. Si sa come sono fatti, quelli...

Viene insperatamente inserita, date le sue capacità, nella fabbrica delle SS, a cucire giacche, divise... ci si può riposare un po’ a lavorare sedute... altra strada per la salvezza.

Ben presto anche a Ravensbrück si instaurò la quotidianità. La fame quotidiana. La stanchezza quotidiana. Le risse quotidiane. Appello. Decotto di barbabietole. Pane secco. Marcia fino alla fabbrica. Battere le ciglia per scacciare la stanchezza. Chinare la testa. Cucire. Cucire. Cucire. Per undici ore. Marcia dalla fabbrica. Zuppa. Pane secco. Cuccetta. Appello. Sonno. Sveglia! Appello. Decotto di barbabietole. Pane secco. Marcia fino alla fabbrica. Cucire. Cucire. Cucire. Per undici ore. Marcia dalla fabbrica. Zuppa. Pane secco. Cuccetta. Appello. Sonno. Giorno dopo giorno.

Fino alla tanto sognata fine, fino ad assaporare - quasi con timore - il gusto della parola “libertà”.
Il campo viene liberato, apre finalmente i cancelli, la Croce Rossa raduna i sopravvissuti e li convoglia verso centri di raccolta attrezzati per le cure, la riabilitazione, il rientro in patria o la collocazione presso famiglie pronte ad accoglierli. In questo caso a Jönköping, in Svezia.

Mitt navn er Miriam... io mi chiamo Miriam ... e sono ebrea... sono sola... non ho più nessuno...
La sua bugia... la sua salvezza. E desidera rimanere in Svezia... sa già un po’ lo svedese...

Viene affidata ad Hanna; è l’inizio di una nuova vita. Le si aprono strade insperate: riceverà educazione e rispetto, conoscerà l’amore, la felicità di avere una famiglia, un figlio (non suo, ma lo crescerà come solo una madre può fare), ricchezza e sicurezza.
Al modico prezzo di una bugia.

Ma oggi... Oggi è il giorno del suo compleanno, Miriam compie 85 anni. E improvvisamente rivela di non chiamarsi così: perché lei è, era, Malika, ragazzina Rom, sfuggita alle camere a gas, ai forni, alla morte.
Sente il bisogno di aprire finalmente il suo cuore a qualcuno e di far venir fuori tutto l’orrore vissuto.

Solo Camilla, la nipote, sarà la depositaria della sua storia, del suo segreto. Basta chiudere gli occhi, scavare, ricordare, vestire ancora una volta i panni del dolore per poi toglierseli e continuare ad andare avanti.
Ma mai, MAI, dimenticare.

Non solo Ebrei. Molti altri...

No, impossibile dimenticare; impossibile far finta di niente.

Credo si possa dire che in effetti mi chiamo Miriam. Anche Miriam.

🌷Giornata della memoria 2019
🔠 RC 2019 - Alphabet Autori -> A
📚 RC 2019 - Lo scaffale traboccante
📚 RC 2019 - Abbatti la TBR -> 43
🤔 RC 2019 - Esimio sconosciuto
🌍 Europa
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Profile Image for Anna Ricco.
180 reviews24 followers
October 7, 2023
Un libro che mi riecheggia dentro l'animo da settimane,nonostante io lo abbia terminato da un bel po' di giorni,mi accompagna ancora il suo ricordo,il suo senso profondo,la sua umanità. Avevo desiderio di approcciarmi a questa storia da anni,ma non mi sentivo mai pronta di riaffrontare il tema dell' Olocausto dopo il mio viaggio ad Auschwitz-Birkenau che ho compiuto appena maggiorenne e dopo aver divorato tanti romanzi e alcuni saggi che mi preparassero consciamente a quel viaggio della memoria. Rimasi talmente segnata da tutto quello che vidi,sentii e immaginai che raramente ho sentito il bisogno di leggere altro della vita nel lager,ma alla fine grazie ad un gruppo di lettura,mi sono buttata su questa storia senza pensarci troppo. Ed ho fatto la cosa giusta: io non mi chiamo Miriam non è solo la storia di Miriam,ma quella di un popolo ,cioè i rom, a cui non viene mai riconosciuta nessuna forma di oppressione,di cui ancora oggi si parla con disprezzo e paura. Mi sono ritrovata a trascorrere molte notti insonni dopo questa lettura serale a causa dei macabri ma reali dettagli della quotidianità nei campi di concentramento,un pugno dritto allo stomaco in ogni capitolo,ma una maestria nel raccontarli davvero straordinaria. Un libro che ti lascia un leggero senso di colpa e non ne capisci il perché. Un libro a mio avviso necessario,che si è pronti oppure no.
Profile Image for Dolceluna ♡.
1,146 reviews66 followers
January 9, 2019
Altolà. E’ il “solito” romanzo sulla Shoah? Nì. O meglio, non dovrebbe essere solo questo.
La protagonista, Malika, è una ragazza Rom. Internata ad Auschwitz insieme alla famiglia viene poi trasferita a Ravensbruck, e qui, in un momento di confusione, riesce a infilarsi i vestiti di una ragazza ebrea morta da poco e avente un numero di prigionia molto simile al suo, pensando di cavarsela meglio. E così prende l’identità di Miriam e tale resterà pe tutto il resto della sua vita. Perde la famiglia (terribile il racconto della morte del fratello per la malattia del noma, di cui ignoravo l’esistenza nonostante la mie numerose letture sul tema Olocausto), vive l’inferno del lager, sopravvive, e poi si trasferisce in Svezia, vivendo prima da “profuga” sopravvissuta, e poi costruendosi una nuova famiglia. E tenendosi per sempre dentro il segreto della sua vera identità, che ogni tanto però emerge, quasi richiedesse di riscattarne la memoria. Nel giorno del suo 85esimo compleanno, Miriam riceve in regalo dal figlio e dalla nuora un braccialetto con inciso il suo nome, e le scappa un “Io non mi chiamo Miriam”. Una rivelazione vacillante e improvvisa, che apre la porta a un fiume di ricordi strazianti su quello che è stato il suo passato, fino ad allora sempre taciuto. Testimone principale sarà la nipote Camilla, una ragazza di oggi, che accoglierà con incredulità e fatica il faticoso fardello che è questa eredità.
Insomma, un dramma nel dramma.
La protagonista vive non solo la tragedia dell’Olocausto ma anche quella della perdita della sua vera identità, del taglio con le sue vere radici, col suo popolo. Non dimentichiamo che non solo ebrei, ma anche Rom, omosessuali e individui accusati di comportamenti ritenuti asociali o devianti sono stati vittime della furia e della follia nazista, nei modi più terribili e più incredibili.
Quindi, questo romanzo di Majgull Axelsson, pubblicato dalla casa editrice Iperborea (un bijoux da avere in mano) non è “solo” il classico romanzo sull’Olocausto. E’ anche un romanzo che si interroga sul tema dell’identità, etnica, culturale e personale, dell’individuo attraverso la vicenda di una persona costretta a fuggire dagli altri, e anche da se stessa. A dire il vero, non so quale fosse lo scopo preciso dell’autrice…la parte più riuscita e secondo me meglio scritta e costruita, è quella che va dalla liberazione di Malika/Miriam alla sua prima vita di profuga, in Svezia. Racconta con profondità il suo senso di solitudine e smarrimento, le sue difficoltà del tutto credibili con la lingua, la sua povertà interiore. E’ la parte migliore del romanzo, vi scorgo una penna più abile rispetto alle altre parti. La parte inziale, e quella in cui la Miriam ottantenne interagisce con la nipote nel presente, invece, risultano a tratti un po’ superficiali, e il ritratto che ne esce è quello di una donna anziana che balbetta frasi confuse, senza grande presa sul lettore. Forse sono le parti più difficili, in cui la protagonista sente il passato riaffiorare e cozzare col presente, e a sua volta è divisa fra il desiderio di sfogarsi e quello invece di tenersi ancora tutto dentro. E infatti molto spesso si ferma, tace, racconta bugie o comunque non racconta mai la verità del tutto e fino in fondo. La nipote ne è la sola depositaria (e nemmeno del tutto), il figlio invece, cresciuto a sua volta con un lieve e senso di vuoto e smarrimento (tipico dei testimoni di “seconda generazione”), resta fino alla fine con questa sensazione di “non detto, non svelato” da parte della madre, e può solo intuire quello che è stato veramente.
Mi rendo conto che questo è un romanzo più complesso e ambizioso di quello che immaginassi. Forse l’autrice voleva inizialmente scrivere un romanzo sulla Shoah ma poi ha voluto aggiungere qualcosa di nuovo e ha inserito la questione dell’identità Rom/Ebrea, senza sapere bene a quali temia impegnativi sarebbe andata incontro.
In ogni caso, posso dire che è stata una buona lettura.
Profile Image for Georgiana 1792.
2,047 reviews140 followers
November 3, 2020
Un romanzo che parla di campi di concentramento, ma con un tale realismo da lasciare senza fiato, sebbene l'autrice non abbia fatto l'esperienza di persona (ma abbia condotto studi accuratissimi sull'argomento). E parla non soltanto del terribile trattamento che subirono gli ebrei, ma anche quello che dovettero sopportare gli zingari, disprezzati da tutti, persino dagli ebrei («Bah», disse. «Zingari. Si sa come sono fatti, quelli…»), e che non ricevettero un risarcimento dai tedeschi alla fine della guerra, come invece accadde agli ebrei.
Ai rom non era stato offerto nessun risarcimento. Non erano stati sterminati per ragioni razziali, avevano spiegato le autorità tedesche dopo la guerra, ma perché erano criminali. Fino all'ultimo. Anche le quattordicenni come Anuscha e i bambini come Didi. E gli onesti argentieri come il padre di Malika.
Oltre a essere un romanzo sui campi di concentramento, Io non mi chiamo Miriam è anche la storia di una donna che ha vissuto per tutta la vitta con il terrore di rivelare chi era in realtà, perché ogni volta che è pronta a tornare a essere Malika, testimonia qualche violenza o qualche commento dipregiativo delle persone a cui è arrivata ad affezionarsi verso i Rom o i tattare, i vagabondi, come vengono chiamati in Svezia, il paese paradisiaco in cui è approdata dopo gli orrori di Auschwitz e Ravensbrück.
E, finalmente, Miriam trova il coraggio di rivelare tutto alla nipote Camilla, fidandosi dell'apertura delle nuove generazioni (e in particolare di Camilla); anche perché fu molto difficile per i reduci dei campi di concentramento riuscire a parlare di ciò che accadde, ma soprattutto trovare delle orecchie disposte ad ascoltare gli orrori.

Profile Image for Мария.
112 reviews55 followers
September 27, 2023
Много ме докосна тази книга.
Поплаках си и за Малика и за Мириам.
Profile Image for cristina.
46 reviews1 follower
May 25, 2017
Banale. Prosa elementare e piatta, noiosissima. Pessimi e quasi incomprensibili i salti temporali, che denotano una costruzione slegata e mal riuscita. Non serve aggiungere altro.
Profile Image for Saturn.
459 reviews62 followers
December 24, 2020
Le letture che ci avvicinano alle vicende più tremende della nostra storia sono sempre difficili da commentare. In questo libro un'anziana signora ripercorre la sua vita durante una lunga passeggiata con la nipote, nel giorno del suo compleanno. Miriam non è solo una sopravvissuta ai campi di concentramento, è anche una donna che ha dovuto serbare un segreto per tutta la vita e rinunciare alla sua identità, ai suoi ricordi, al suo passato per conservare un posto dignitoso nella società.
La storia che il libro mette in luce però non è solo quella dei campi e delle atrocità subite dalla protagonista. Ciò che è doloroso è anche il ritorno alla società: in un mondo che vuole andare avanti e dimenticare il passato, i sopravvissuti si ritrovano soli con i loro ricordi dove il filo che ti tiene lontano dall'impazzire è davvero sottile.
Oltre a gettare luce sui tanti perseguitati dal regime nazista (rom, omosessuali, ebrei, politici, testimoni di Geova, ecc...), Majgull Axelsson sottolinea come il seme dell'odio sia presente in tutti noi e in tutte le società, anche in un paese apparentemente paradisiaco come la Svezia. La discriminazione subita porta Miriam in un loop di diffidenza e paura da cui non riesce a uscire, diventando praticamente impossibile per Miriam lasciarsi andare, affidarsi a qualcuno, anche a chi le è più vicino. Questo genera una distanza che non può essere accorciata se non spezzando quel cerchio di paura e sospetto nei confronti di chi appartiene a un'altra cultura, a un altro popolo, a differenti tradizioni.
Profile Image for frachampionesse.
159 reviews
February 5, 2019
Qualcosa in questo libro non mi ha convinto fino in fondo. Come recita anche bene la post-fazione è molto importante considerare che questo è totalmente un libro di fiction (chiaramente ispirato a fatti e personaggi reali). E di fiction sull'Olocausto non ne esiste quasi. Il mio dubbio resta proprio questo: era un libro necessario? Da un lato sì, perché la storia è unica e narrata con espedienti interessantissimi. Dall'altro mi sembra di non riuscire a non notare una punta di ingenuità nel personaggio di Miriam, che non me la rende credibile sempre e del tutto. Ma forse questo è anche il bello di un personaggio che di fatto è inventato.
Profile Image for Cristina - Athenae Noctua.
416 reviews49 followers
February 6, 2017
Io non mi chiamo Miriam è un romanzo sull'Olocausto, visto attraverso gli occhi di una ragazza che rappresenta una parte dimenticata di quel dramma storico e umano. Ma è anche un romanzo sulla paura, sul bisogno di sopravvivere, sull'intolleranza, sull'importanza dell'identità e sul rapporto di ciascun individuo con il sé passato, presente e futuro. Inoltre per me è stato una rivelazione, un libro carico di sofferenza ma anche di poesia, scritto e tradotto con grande raffinatezza e delicatezza.
http://athenaenoctua2013.blogspot.it/...
Profile Image for flaminia.
389 reviews120 followers
February 19, 2018
per salvarsi la vita, a volte è necessario vivere la vita di un'altra e affogare nelle bugie. avrei preferito che fosse dato più spazio a questo aspetto, invece di dover leggere in stradiagonale pagine e pagine ambientate nei campi di concentramento.
Profile Image for Marina.
845 reviews173 followers
January 9, 2024
In postfazione c'è un'interessante riflessione sulla "letteratura dell'Olocausto" e sul fatto che secondo molti grandi autori sopravvissuti ai Lager (per esempio Elie Wiesel) non sia possibile scrivere narrativa su questo tema. So che è anche opinione di molti lettori. Eppure questo libro è proprio un romanzo, andando contro a questo sentire comune (sebbene oggi ci siano molti più romanzi sull'Olocausto rispetto a un tempo).

Protagonista è una donna che il giorno del suo ottanticinquesimo compleanno dice "Io non mi chiamo Miriam". Ma Miriam è il nome con cui si è sempre fatta chiamare. Sopravvissuta ad Auschwitz e a Ravensbrück, arriva in Svezia subito dopo la guerra e lì si stabilisce. Ma in effetti Miriam non è il suo nome. Il suo vero nome è Malika ed è una rom (anzi una Mischling, dato che sua madre non era rom). Per una serie di circostanze fortuite decide di farsi passare per una ragazza ebrea e assume il nome di Miriam Goldberg, quando viene trasportata da Auschwitz a Ravensbrück.

Questo è un romanzo molto interessante che soprattutto sottolinea l'ipocrisia della Svezia e degli svedesi, che vorrebbero mettere l'Olocausto sotto il tappeto e che, nonostante la facciata di grande apertura e inclusività, hanno sempre avuto in odio gli zingari, tanto che fino a un certo punto (mi pare gli anni Sessanta, se non ricordo male) era loro vietato entrare in Svezia. Perciò Miriam/Malika non ha potuto che continuare a fingere di essere ebrea, se voleva restare in Svezia.

Inoltre è un romanzo importante perché parla di come venivano trattati i rom nei campi di concentramento, perseguitati non solo dai nazisti che li volevano annientare al pari degli ebrei, ma anche dagli altri prigionieri che li odiavano e li credevano tutti dei criminali. E addirittura, alla fine della guerra il governo tedesco non istituì alcuna ricompensa per i rom deportati (contrariamente a quanto fece per gli ebrei), in quanto non si trattava nel loro caso di pulizia etnica o di genocidio, ma di semplici criminali, questa fu la giustificazione.

Secondo me è un libro che tutti dovrebbero leggere, perché del genocidio degli "zingari" si parla ancora troppo poco e questo può essere un buon punto di partenza per poi proseguire leggendo qualcuno dei pochi saggi sull'argomento. Sicuramente dovrò cercarli.
Profile Image for Valentina.
149 reviews20 followers
August 10, 2018
Per ognuno di noi il giudizio nei confronti di un libro si basa su caratteristiche differenti.
Questo libro in particolare è lento, complesso, pesante, ma più di tutto mira a distruggere dei pregiudizi e degli stereotipi talmente radicati nell'essere umano che difficilmente si riesce a non sentirsi mai e poi mai in colpa durante la lettura. Ed è forse quest'ultimo punto a rendere la lettura stessa così difficile.

Per quanto i personaggi siano completamente inventati (tranne tre, come sottolinea l'autrice), i riferimenti storici sono estremamente accurati e riscontrabili attraverso la bibliografia che trovate alla fine del libro.
Questo punto per me è stato estremamente importante, perché sono fermamente convinta che, per quanto sia giusto continuare a scrivere di certi eventi anche se non può più farlo la generazione che li ha vissuti, modificare eventi storici di questa portata per piegarli alla propria volontà narrativa lo trovo una scorrettezza intellettuale che non tollero.

Lettura strettamente consigliata, ma attenzione ad avere la giusta attenzione mentale da dedicargli!

Profile Image for Massimo.
268 reviews
May 17, 2019
Un bel libro, denso di contenuti, che ruota intorno alla vita di Miriam/Malika con continui salti presente-passato.
E' l'unico libro che conosco in cui gli orrori dei campi di concentramento sono narrati come romanzo e non raccontati
da un vero testimone che li ha vissuti.
Tutta la storia ruota intorno a due aspetti: il ricordo di quanto subito nei campi e i sessanta e più anni vissuti dopo sotto
mentite spoglie, quasi a difendere la falsa identità ebrea assunta all'arrivo al campo in luogo della sua vera origine rom.
E' scritto con uno stile preciso e delicato, nonostante i temi trattati, che ti accompagna nella lettura con abbondanza di particolari,
ma senza mai stancarti.
E' un libro abbastanza lungo ed una lettura impegnata, ma ne vale la pena!
Profile Image for Jonas.
105 reviews5 followers
March 16, 2016
En berättelse om något så fruktansvärt och ofattbart att man nog inte riktigt kan förstå det. Jag vet inte, men kanske är det anledningen till att man ofta bara känner sig som en betraktare som står vid sidan om. Man blir liksom inte en del av berättelsen.Kanske beror det på hur den är skriven.
Hur som helst är den ändå väl värd att läsa. Om inte annat så för att försöka förstå.
Profile Image for Fede La Lettrice.
669 reviews61 followers
January 31, 2019
Un romanzo basato su fatti realmente accaduti. Siamo durante la Seconda Guerra Mondiale in quel periodo oscuro, terribile e mostruoso fatto di lager, di camere a gas e forni crematori, di esperimenti disumani su esseri viventi totalmente inermi, di selezioni razziali...quando la giovanissima Malika si ritrova un po' per caso e un po' per forza di cose a rinnegare le sue origini zingare e a assumere l'identità di una ragazza ormai morta, ritrovandosi così a vivere la vita di Miriam e trasformandosi da Rom in Ebrea. Manterrà questo fatto e tutte le conseguenze assolutamente segreti non solo durante gli anni di prigionia in Germania, ma anche dopo, durante l'intera, lunga sua vita. Le ripercussioni sulla sua emotività, i sensi di colpa, le enormi paure mineranno tutta la sua esistenza.
Nonostante non mi abbia convinta la scrittura che ho trovato spesso ripetitiva e inutilmente prolissa, lenta e poco incisiva, mi sento di dare un giudizio pienamente positivo a questo libro perché prende in considerazione e decide di raccontare fatti non universalmente noti come, all'interno dello sterminio degli zingari, la coraggiosa ribellione di massa dei Rom alle SS a Auschwitz piuttosto che la tragica e terribile 'gerarchia degli ultimi'.
Un romanzo che mi ha spinta a fare ricerche e approfondimenti è senz'altro un ottimo romanzo.

Io non mi chiamo Miriam
Majgull Axelsson
Traduzione: L. Cangemi
Editore: Iperborea
Pag: 562
Voto: 4/5
Profile Image for MsElisaB.
143 reviews18 followers
February 7, 2023
Non mi era mai capitato di leggere fiction sull'argomento campi di concentramento, perché nel proliferare di questo genere vedo tanta morbosità e mi disgusta un certo voyeurismo: personalmente, credo non si dovrebbe scrivere un'opera di fantasia basata sulle atrocità dei lager. A 17 anni sono stata qualche giorno ad Auschwitz, per la ricorrenza della Giornata della Memoria, e sono rimasta molto sensibile al rispetto (doveroso, a mio parere) nel trattare certe immagini, soprattutto perché abbiamo la "fortuna" di poter accedere facilmente a fonti dirette. Tuttavia, ho fatto un'eccezione per questo romanzo, perché focalizzato su un aspetto generalmente ignorato e per il quale è molto complesso trovare testimonianze complete in prima persona; la popolazione Rom ha subito una feroce discriminazione che è andata avanti anche dopo la persecuzione nazista e che ha causato, tra le innumerevoli altre conseguenze, anche l'oblio per la loro memoria della deportazione. Mi sono fidata, quindi, del lavoro di ricerca dell'autrice nel portare alla luce una sfaccettatura molto lontana dai casi esemplari, diventati tragicamente noti: per non dimenticare, è necessario anche custodire voci meno emblematiche. Malika è resa con realtà e la vicenda è arricchita dal filtro dei suoi pensieri, che si declinano, attraverso dei ricordi che non riescono ad abbandonarla, in continui salti temporali lungo l'intero l'arco della sua vita: ho trovato questa scelta narrativa molto funzionale ed estremamente espressiva, così come quella di dare rilievo anche alla vita che deve andare avanti anche dopo la liberazione dal campo di prigionia, nonostante il trauma non si esaurisca mai.

Scelgo di non commentare stile e scrittura del romanzo, perché non è per la qualità della prosa che mi sono approcciata a questa storia, ma voglio fare un plauso al tono, sempre misurato e concreto: sarebbe stato facile cedere alla retorica o gonfiare la narrazione con enfasi melodrammatica, ma l'autrice mantiene, anche nei momenti di maggiore disperazione, una discrezione che, invece di rendere la vicende distaccate, facilita l'empatia.
Profile Image for Гери.
Author 5 books29 followers
February 23, 2021
Някои раси за "неправилни", но други са по-неправилни (макар според науката евреите и циганите да принадлежат към бялата раса). Или още по-изтърканото: може да извадиш човека от концлагера, но не и концлагера от човека. Всъщност, рядко чета по тази тема и не мога да си обясня бума на книги с подобна тематика, последната беше "Моята Ане Франк", защото рядко изпитвам удоволствие да чета за реални страдания. Но има, мисля, две книги поне на български за циганите (използвам думата, тъй като тя е използвана в романа и в нея няма нищо обидно) в лагерите на смъртта и пълното им изтребление.
Разбира се, ако си от разбрана и подредена нация не само ще искаш да избиеш всички неудобни хора, които могат да накарат косите на всички да са по-тъмни или хора от друга религия или онези ужасни хора, които нямат твоите политически предпочитания да избиваш вече споменатите. Но няма да ги избиеш бързо, не! Ще си правиш експерименти с тях(най-вече с дечицата!), ще ги убиваш бавно от глад, работа и мъчения. Ще изстискаш душата им до края и дори да искат да си отидат, няма да им го позволиш. Все пак си практичен.
А и знам дори да не си циганин, имаш ли по-тъмна кожа, те наричат така. Няма нищо че има много други националности с тази черта. Но Мариам е късметлийка, нейната кожа не е толкова тъмна, защото майка й не е циганка и тя може да мине и за еврейско момиче, дори за норвежка стига да не се вглеждаш по-надълбоко. И тя оцелява благодарение на много случайности, в които крие произхода си.
Не очаквах толкова подробно описание на зверствата в лагерите, на експериментите на Менгеле, мислех си, че ще е просто роман за различните, за признанието й, но се оказа най-вече за лагерите. Все пак се радвам,че няма някаква неосъзната романтика по циганския начин на живот, защото и той не е особено ласкав за жените, но като знам как хората навсякъде пренаписват историята нищо чудно след 50 години години и Аушвиц да е представен като забавачка. Най-жестокото за мен, че там са хвърляли деца, неосъзнати, някои от които няма да познаят друго и ще срещнат края си там по мъчителен начин.
Не познавам авторката и не знаех, че така хубаво може да показва психологическия портрет на едно нито момиче, нито жена, както е изпяла Бритни, което преживява неща, които никой не бива да преживява без да полудее и това я белязва със страх да се представя за друга и все пак за себе си. А и има ли "себе си" едно почти дете, което е подхвърляно напред-назад като добитък от властите? А и всеки преживял това запри��ичва на другия, независимо дали е пратен в лагерите, заради вярата си, заради начина си на живот или защото е политически затворник. Иска ми се историята на Мириам да се е сбъднала (и знам, че е), да са я изкарали от Ада, да е получила своя малък "Рай" и обкръжена от хора, които я обичат, да достигне своя 85-ти рожден ден.
Profile Image for Pino Sabatelli.
528 reviews63 followers
January 29, 2018
Quando si scrive un libro, soprattutto quando si aspiri a scriverne uno “bello”, non penso sia sufficiente avere un’idea originale o scegliere un tema “importante”. Quell’idea e quel tema, infatti, devono poi essere adeguatamente sviluppati tramite una scrittura di buona qualità e, soprattutto, prestando grande attenzione all’equilibrio strutturale. Questo romanzo, se pure riesce a rispettare il primo requisito (idea/tema), mi sembra inizi ad arrancare già sul secondo (qualità della scrittura), per poi franare miseramente sul terzo (equilibrio strutturale).
La recensione completa su http://www.ifioridelpeggio.com/io-non...
Profile Image for Bookmaniac70.
541 reviews102 followers
October 8, 2021
Романът засяга интересна и важна тема, за която по-малко се говори - изтребването на ромите в концентрационни лагери по време на Втората световна война. Дори в ужаса на пълната човешка деградация ромите са поставени на най-ниското стъпало и шансовете им за оцеляване са по-малки в сравнение с тези на други групи. Поради това героинята на романа приема самоличност на еврейка, с която продължава да живее и след освобождаването от лагера. Авторката се вълнува не само от преследванията на ромите от страна на нацистите, но и от ксенофобските настроения срещу бежанците от определени етнически групи в Швеция след войната - т.нар. размирици срещу "арапите".

За съжаление избраната тема сама по себе си не е достатъчна за един добър роман. Ретроспективният план, в който ни се разкриват подробности от живота на Малика-Мириам, ми се стори доста клиширан. Премеждията й определено предизвикват емпатия у читателя, но въпреки това образът й си остава схематичен. Освен огромната воля за оцеляване и любовта към малкото й братче не разпознах други добродетели или недостатъци, които да формират по-сложен характер. За да се подсили контрастът с предполагаемата й съдба, ако бе разкрила самоличността си, Мириам получава един много добре подреден в материално отношение живот, който обаче до голяма степен е резултат на случайност, съчетана с инстинкта й да "мимикрира" в обществото. Посланието е ясно - тя заплаща висока цена за благополучието си, а именно невъзможност да преработи травмата от преживяното заради тайната, която трябва да продължи да пази цял живот.

Въпреки някои чисто художествени грапавини, сюжетът ми беше интересен. Предполагам, че книгата "стои" различно пред шведските читатели, тъй като засяга една по-нелицеприятна част от тяхната история. Не знам доколко тази тема е разработена в съвременното шведско общество, но със сигурност не е лесна.
Profile Image for Annika Kronberg.
277 reviews71 followers
April 20, 2017
Jag kan inte låta bli att tänka att det vore osympatiskt att inte tycka om en krigsskildring. Dock vill jag påstå att denna är en av de bättre i sin genre.

Berättelsen är trovärdig och (förstås) väldigt hemsk. Att det inte bara blir en snyfthistoria beror på att författaren blandar två parallella historier, som gör att det blir enklare för läsaren att relatera och förstå. Jag heter inte Miriam lämnar absolut ett bestående avtryck, men mest på grund av dess känslomässiga innehåll och inte tack vare några litterära stordåd.
Profile Image for Esther.
Author 3 books43 followers
September 28, 2016
Am Tag des Mittsommernachtfestes wacht die 85-jährige Miriam in ihrem Haus in Nassjö, einem kleinen Ort in Schweden auf.
Von der ersten Seite an ist dem Leser klar, dass sie von Erinnerungen geplagt wird, die ihr Leben seit jeher beeinflussen. Sie war noch ein Kind, eine Jugendliche, als der zweite Weltkrieg ausbrach und sie von den Nazis in ein Konzentrationslager verfrachtet wurde, wo ihr Entsetzliches zugestoßen ist. Nach dem Krieg ist sie als Überlebende von Schweden aufgenommen worden, hat dort geheiratet und den Sohn ihres Mannes und seiner verstorbenen ersten Frau aufgezogen. Ihr Leben hat sich zum Guten gewendet.

Ihre Familie, d.h. ihr Stiefsohn Thomas mit Frau Katarina und Tochter Camilla und deren Sohn Sixten betreten das Schlafzimmer der 85-jährigen und überreichen ihr ein Geburtstagsgeschenk: ein Armband mit ihrem Namen, gefertigt in der Kunst der Zigeuner. Andere Erinnerungen überschwemmen Miriam, an ihren Bruder Didi, den sie ihrer schwedischen Familie gegenüber nie erwähnt hat, und es platzt aus ihr heraus: „Ich heiße nicht Miriam.“

Zwar wird ihr Geheimnis vor ihrer Familie noch eine längere Zeit gehütet, nur ihrer Enkelin Camilla gegenüber erzählt Miriam während einem Spaziergang Eckpunkte ihres Lebens. Das meiste, was der Leser über ihr Leben erfährt, spielt sich ausschließlich in Miriams Erinnerung ab.
Dabei wird eine unglaubliche und doch sicher nicht unmögliche Lebensgeschichte aufgerollt.

Das Buch hat die ein oder andere Länge. Auch fand ich die Familienprobleme von Thomas und seiner Frau nur marginal wichtig und kaum notwendig, obwohl sie natürlich aufzeigen sollen, dass Miriams Lebenslüge Auswirkungen auch auf die nachfolgenden Generationen hatte.
Alles in allem ist dies aber ein äußerst wichtiges, schockierendes und aufrüttelndes Buch, das auf mehreren Ebenen einerseits die Situation der Zigeuner im Europa des Dritten Reiches und danach auf erschreckende und intensive Weise beleuchtet, andererseits die ganz elementaren aber persönlichen Fragen nach Identität und Persönlichkeit in und nach Situationen des Überlebenskampfes und der notwendigen Selbstverleugnung aufwirft.
Ich habe in diesem Buch noch einmal neue furchtbare Details über die Konzentrationslager gelernt, obwohl ich ziemlich viel Literatur über dieses dunkle Kapitel deutscher Geschichte bereits intus habe.
Profile Image for Nazzarena.
212 reviews145 followers
Shelved as 'abandoned'
November 25, 2020
Abbandonato al 12% solo per evitare di dargli 1* (e perdere un mese dietro un libro scritto ignorando lo show don't tell e la necessità di una tensione narrativa lungo tutto l'arco del testo).
Profile Image for Librielibri.
268 reviews68 followers
October 22, 2020
Lettura che in alcuni punti mette in seria difficoltà per il tema trattato, i campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale.

Sono rimasta incantata dalla protagonista, Miriam.
Nonostante l'orrore degli avvenimenti, c'è una grande delicatezza nella scrittura.
Profile Image for Robert Jonsson.
Author 12 books4 followers
August 4, 2016
Historien om Miriam tar läsaren genom deportationstågen till Auschwitz. Barackerna i Ravensbruck, vidare till Sverige och tattarkravallerna i Jönköping och slutligen Nässjö.

Där en sensommardag på sin åttiofemårsdag med tårta, kaffe och sin familj sjungande ”ja må hon leva”, hör hon sig själv säga meningen: ”Jag heter inte Miriam.” En mening som hon aldrig trott hon skulle få höra sig själv säga. En mening som förvånar och chokar henne.En mening som om uttalad en annan tid skulle ha fått henne tillbakaskickad från Sverige -då Sverige hade invandringsförbud för Zigenare ända fram till 1954.

Och ännu längre tillbaka. Något som om uttalad, skulle resulterat i en ögonblicklig död. Det förflutna som hon tryckt undan under så många år påtvingar nu med all dess skit och vidrigheter hennes uppmärksamhet som avlagringar i ett vitt badkar efter åren runnit undan. Och nu när hon börjar berätta det hon tryckt undan så länge. Att hennes namn egentligen är Malika och är Rom så växer behovet att gnugga bort det som varit. Hon som tidigare så ovilligt pratat om sitt förflutna berättar nu historien om hur hon överlevde Auschwitz, Ravensburg och sedan kom till Sverige och fick uppleva tattarkravallerna i Jönköping och slutligen istället för Ravensburg som ändstation hamnade i Nässjö.

Hon berättar hur hon som ung flicka fråntogs sin barndom, sin familj och senare i deportationstågen tvingades till att bli till Miriam Goldberg.Detta på grund av fruktan. Inte för att dö, för det skrämde henne inte längre. Inte med Anuschas och med Didi - hennes brors nyliga död. Nej, det som Malika fruktade var att hennes eländiga uppsyn. Blodig och med klänningen i trasor skulle få SS att avrätta eller misshandla henne till döds direkt vid avstigningen. Och fanns det något hon verkligen inte ville, så var det att bli en av de där sönderslagna, uppsvullna kropparna. Att sargad dras av de grå hålögda medfångarna mot likhögen. Nej Malika ägde en enda önskan och den var att få bli ett helt lik.

Så i den sammanpackade, syrefattiga vagnen som stank fruktan och avföring påfinner hon en ung judinna död. Och hennes på armen intatuerade tre sista siffror stämmer som ett under med hennes egna. Hon klär sig i hennes klänning. Blir till Miriam. Blir en Davidsstjärna istället för en gul triangel och ansluter sig till judarnas grupp vid slutstationen.

Historien om Malika berättar om hur det egentligen aldrig går att undfly sitt förflutna. Detta från en generation som fått lära sig att glömma och inte prata om det som varit.

Något som vi och senare generationer har en skyldighet till.
Att prata om det som varit och att aldrig, aldrig glömma.


Slumpstycket: Hon slängde en hastig blick åt höger och såg plötsligt Lykke och Marie. De släpade Bentes kropp ur baracken. Lykke höll i Bentes vänstra arm, Marie i den högra. Ingen av dem grät, men de grimaserade båda två och Miriam funderade på om det berodde på sorg eller på att Bente var för tung. Så försvann de in i massan av kvinnor. Miriam visste vart de var på väg. Till likhögen. Den som hon själv så omsorgsfullt undvek att se varje morgon. Hon tänkte inte titta på den idag heller.
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