METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA
Dalle conoscenze alle competenze, passando per le opzioni


STATICA E DINAMICA DELLA STORIA

Adriano Torricelli

Come ogni realtà evolutiva, anche la storia umana è caratterizzata dal conflitto tra due tendenze opposte e complementari: quella alla stabilità e quella al divenire. Essa è cioè caratterizzata da un equilibrio instabile ed è perciò una realtà in continua trasformazione. Ovviamente queste due tendenze coesistono in ogni periodo storico, anche se in alcuni momenti (almeno apparentemente) l’una delle due prevale sull’altra, ragion per cui si parla di periodi di relativa stabilità contro periodi caratterizzati da trasformazioni più evidenti e radicali.

Vogliamo qui affrontare la storia umana sociale da entrambi questi punti di vista: quello della stabilità, cioè della tendenza verso un ordine immobile e cristallizzato; e quello dinamico, che tende viceversa alla trasformazione interna di tale ordine, nonché al passaggio da una fase storico-produttiva a quella successiva. Parliamo quindi di una Statica della storia, che studia i caratteri delle società umane dal punto di vista della stabilità; e di una Dinamica, che ne studia i caratteri in quanto appunto realtà dinamiche, che si vanno continuamente trasformando.

(a) Statica

L’uomo è un animale sociale, che vive in comunità da lui stesso create al fine di favorire la riproduzione della propria esistenza sia a livello individuale che di specie. Egli vive dunque in un ambiente antropico, riproducendo il quale riproduce la sua stessa vita. In questo senso, egli è anche un animale economico, nella misura in cui le sue attività sociali sono tutte – seppure alcune più, altre meno direttamente – finalizzate a tale riproduzione.

Anche se le attività sociali sono tutte in qualche modo economiche, non tutte sono però produttive. Ciò non toglie tuttavia, che la produzione sia la base stessa della vita associata, avendo quest’ultima come scopo primario quello di fornire i mezzi alla base dell’esistenza materiale ai propri membri.

→ La produzione può essere primaria, laddove sia finalizzata a creare beni di consumo diretti (alimenti, vestiti, medicinali…) o secondaria, laddove sia finalizzata a creare beni strumentali (il cui scopo è cioè la produzione di altri beni, primari o non). Ovviamente la produzione primaria è in ultima analisi quella che orienta tutta la vita economica, dal momento che costituisce il fondamento stesso della vita umana.

→ Vi sono poi attività non direttamente produttive: le une più peculiarmente economiche, le altre più indirettamente tali. Sono attività del primo tipo quelle legate all’amministrazione e alla gestione delle attività produttive (ad esempio, la contabilità e la pianificazione delle attività di un’azienda, o di uno Stato) o quelle inerenti alla distribuzione dei beni prodotti (ad esempio i mercati, e in genere tutte le attività istituzionali di scambio, tra cui il dono, il tributo…)

Sono invece attività del secondo tipo quelle legate alla gestione della vita comunitaria in genere, in particolare se non peculiarmente legate alla gestione delle attività produttive (le attività politiche e giuridiche), e quelle più prettamente spirituali (arte, cultura, conoscenza…).

Le attività non direttamente produttive si possono definire terziarie mentre le attività sociali nel loro complesso si possono a loro volta dividere in due settori. Possiamo infatti dire che la sfera economica o strutturale della società comprenda innanzitutto la produzione, e in secondo luogo il terziario più direttamente legato a essa. Mentre possiamo definire sfera sovrastrutturale quella inerente le attività terziarie più indirettamente legate alle attività produttive.

La forze produttive sono costituite dall’insieme dei fattori che rendono concretamente possibile e operante una determinata organizzazione economica. Tra esse, individuiamo prima di tutto le tecniche produttive ovvero i modi della produzione, in secondo luogo i mezzi concreti alla base di essa (risorse umane, ambientali, animali…).

Si può peraltro dire che la società, dal punto di vista strettamente economico, sia l’organizzazione sociale delle tecniche produttive: il modo cioè, in cui le forze produttive concrete vengono organizzate per porre in atto tali tecniche, facendole passare dalla sfera astratta a quella operativa.

Le attività non strettamente economiche o sovrastrutturali infine, hanno la caratteristica – più o meno consapevole – di riflettere e consolidare l’organizzazione economica della società, a loro volta magari influenzandola. Esse sono cioè causate da tale organizzazione e ne rispecchiano il funzionamento, per propria intrinseca natura favorendolo e giungendo alle volte (anche se mai oltre un certo grado) anche a modificarlo.

→ Infine, ma non in ultimo, si deve notare come una tale organizzazione economica e produttiva implichi una distribuzione di competenze e di ruoli a livello sociale. Essa implica cioè l’esistenza di diverse classi o categorie sociali, alcune delle quali situate a livelli più di comando e altre a livelli più operativi.

In genere, per non dire sempre, le attività dirigistiche e di comando (attività terziarie) godono di maggiore prestigio e retribuzione rispetto alle altre, il lavoro alla base delle quali è avvertito di solito come meno qualificato. Le attività terziarie sono perciò in linea di massima meglio retribuite di quelle produttive e manuali, solitamente meno specializzate e più generiche delle prime.

In ogni caso, ogni organizzazione sociale (economica) implica l’esistenza di classi accomunate da un medesimo fine, la riproduzione della vita sociale, ma al tempo stesso in conflitto tra loro per il miglioramento della propria condizione, ciascuna a spese delle altre. Si parla a tale proposito di lotta di classe, un fattore strutturale all’interno di ogni società basata sulla divisione di classe (solo le società estremamente primitive, pressoché prive di divisione del lavoro, sono prive al proprio interno di tale lotta).

La Statica è quindi composta dai principi sopra descritti: l’idea che la società umana abbia nei suoi aspetti più profondi una natura economica, e quella (a essa conseguente) della primarietà delle forze produttive (e tra esse, di quelle tecniche) rispetto a quelle non direttamente produttive. Essa si basa inoltre sull’idea della divisione della società in due sfere tra loro complementari: una peculiarmente economica (strutturale) e una non economica (sovrastrutturale). Infine, secondo tale teoria, ogni contesto organizzativo e sociale può esistere in virtù di una divisione sociale del lavoro che si esplica nell’esistenza di diverse classi, alcune delle quali svolgono ruoli più di comando (ciò che implica per esse maggiore ricchezza e prestigio), altre invece ruoli più operativi (caratterizzate da maggiore povertà e fondamentale subalternità). Una tale condizione sfocia inevitabilmente, seppure in forme diverse a seconda dei contesti, nella lotta tra tali classi, ovvero nel fenomeno definito lotta di classe.

SOCIETÀ = RIPRODUZIONE DELLA VITA O ECONOMIA

- Tecniche produttive + forze produttive concrete = organizzazione economica o modo di produzione sociale

- Attività sociali: 1) attività direttamente economiche (produttive o strettamente legate alla produzione) → Struttura ; 2) attività indirettamente economiche → Sovrastruttura

- Classi sociali e lotta di classe

Esistono infinite declinazioni della società umana, ovvero infinite organizzazioni possibili a livello economico e sociale. Marx ne individua però alcune, da lui ritenute essenziali:

a) organizzazione primitiva tribale;

b) … dispotica;

c) … schiavile;

d) … feudale;

e) … borghese;

f) … socialista/comunista.

Qui avanti non ci interesserà approfondire i caratteri specifici di queste forme di organizzazione, da Marx chiamate “modi di produzione sociale”. Piuttosto, nella Dinamica, ci occuperemo di riassumere i fattori generali alla base della trasformazione dell’organizzazione economica delle società umane (il che significa, almeno in prima istanza, delle tecniche produttive che vi sono a base) cercando di delineare le possibili modalità di tale trasformazione.

(b) Dinamica

Dal momento che la riproduzione della vita è lo scopo più profondo della società, il fondamento ultimo di quest’ultima sarà per forza di cose costituito dalle tecniche alla base della produzione dei propri beni: diretti o primari; strumentali o secondari.

Cambiando tali tecniche, cambia inevitabilmente (quantomeno qualora tale mutamento entri in contrasto con la vecchia organizzazione economica) anche la base strutturale o economica della società. Ad esempio, l’antica organizzazione feudale, basata su una produzione pressoché esclusivamente agricola e su un basso livello di specializzazione del lavoro, non poteva per una lunga serie di motivi sostenere l’espletamento delle tecniche produttive delle nascenti città-stato, caratterizzate da una produzione altamente specializzata. A partire dallo sviluppo e dall’affermazione di tali tecniche dunque, si ebbe l’affermarsi di una nuova organizzazione economica del lavoro, al cui centro vi era la borghesia capitalistica, ovvero la classe detentrice dei capitali finanziari necessari per lo sviluppo di quella nuova forma di produzione.

Se ciò è vero, se cioè l’evoluzione tecnica è la molla più profonda dell’evoluzione storica, dobbiamo innanzitutto chiederci, quali siano i fattori alla base della trasformazione delle tecniche produttive di ogni società.

Risponderemo con una modellizzazione che divide l’argomento in tre diversi aspetti: a) l’esistenza di una tendenza innata nell’uomo, in quanto animale razionale, verso il miglioramento delle proprie conoscenze e delle proprie tecniche produttive; b) la presenza, all‘interno di ogni modo produttivo (si ricordino a tale proposito i principali modi di produzione marxiani), di fattori frenanti o al contrario favorevoli all’innovazione tecnologica e tecnica; c) la presenza, in ogni contesto storico particolare, di fattori contingenti (cioè non definibili a priori, se non attraverso categorie molto generali) capaci di frenare o di accelerare l’evoluzione delle tecniche produttive quale è stata definita attraverso i punti precedenti (a e b).

Un secondo aspetto del problema è costituito dal rapporto tra strutture e sovrastrutture (in particolare politiche). Cambiando la struttura economica della società, e con essa la sua struttura di classe, cambia infatti necessariamente anche il complesso delle sue sovrastrutture. Tale cambiamento però non è mai un fatto immediato, dal momento che non da subito i cambiamenti economici sono così evidenti e radicali da rendere necessario un aggiornamento della sfera sovrastrutturale. E del resto, esiste nell’uomo una naturale resistenza ad abbandonare ciò che è dato e tradizionalmente consolidato per ciò che invece è ancora ignoto e non sperimentato. Tutto ciò determina una sfasatura temporale (a volte più, altre volte meno marcata) tra le trasformazioni tecnico-economiche e quelle politiche e ideologiche della società.

È un fatto però, che un’altra certezza assoluta nella nostra conoscenza della dinamica storica risieda nel fatto che, cambiando l’organizzazione produttiva, dovranno (prima o poi) necessariamente cambiare anche le sovrastrutture a essa legate e intrinsecamente funzionali.

(a) Evoluzione tecnico-economica

→ Il primo aspetto della questione è già stato in sostanza definito: l’uomo difatti, data la propria natura razionale, tende a progredire nella conoscenza del mondo che lo circonda e quindi nella propria capacità di dominarlo e piegarlo alle proprie esigenze. Tutte le società umane, per quanto diversi possano essere stati i loro sviluppi, hanno conosciuto nel corso del tempo un avanzamento delle proprie tecniche produttive, interrotto magari (come vedremo meglio avanti) da periodi di vero e proprio regresso legati a fattori accidentali che hanno inibito un tale avanzamento naturale.

→ È un fatto tuttavia, che non tutti i modi di organizzazione economica favoriscano nella stessa misura il progresso conoscitivo e tecnico. Senza entrare nel dettaglio dei singoli modi produttivi e del loro intrinseco “coefficiente evolutivo”, possiamo però dire in linea generale che il fattore concorrenziale o competitivo (ad esempio l’esigenza del singolo produttore di competere con altri produttori, o della singola comunità con altre a essa ostili… o al limite il bisogno di contrastare gli effetti di fattori ambientali avversi) costituisca una molla molto forte all’avanzamento delle tecniche produttive. Diversamente, laddove prevalga la stasi di un’organizzazione economica chiusa e strutturalmente diffidente verso il cambiamento, l’innovazione tecnologica tende a essere sfavorita, e con essa inevitabilmente è sfavorito anche il cambiamento delle strutture economico-sociali. Un esempio in questo senso ci è fornito dai grandi imperi asiatici (ad esempio quello cinese), le cui strutture economico-politiche sono rimaste pressoché invariate per millenni.

→ Fin qui ci siamo occupati di fattori strutturali, legati cioè all’uomo e alla tecnologia come tali da una parte (alla loro naturale tendenza ad avanzare) e ai vari tipi di organizzazione economica (la loro particolare struttura) dall’altra. Vi sono però anche altri fattori, di natura decisamente più contingente e non astrattamente prevedibili, capaci influenzare l’evoluzione tecnica della società.

Tali fattori, pur non avendo di per sé una natura tecnologica, possono influenzare in modo anche profondissimo l’evoluzione tecnico-economica della società. Possono cioè scardinare o comunque alterare la naturale tendenza di essa verso il progresso tecnico, accelerandolo, rallentandolo, frenandolo, o addirittura determinandone un vero e proprio arretramento.

È come dire che, in assenza di tali fattori, che tuttavia sempre si presentano (anche se non sempre con la stessa virulenza), il progresso umano conoscerebbe un avanzamento tutto sommato lineare. La loro intromissione però, in virtù della loro capacità di influenzare il livello tecnico-produttivo della società su cui impattano, porta il progresso tecnologico delle varie civiltà umane a conoscere pressoché sempre percorsi tortuosi e non lineari, caratterizzati da interruzioni, arretramenti e balzi in avanti. Quello che altrimenti sarebbe dunque un percorso abbastanza lineare, diventa grazie ad essi un percorso zigzagante. Nonostante l’incidenza di tali fattori, tuttavia, possiamo senza dubbio individuare nella storia umana una tendenza di fondo verso una sempre maggiore efficienza tecnico-economica.

Questo secondo tipo di fattori, estrinseci al progresso tecnico e produttivo ma capaci di influenzarlo, può rientrare in qualsiasi categoria di fattori storici che non sia appunto quella tecnica: da quelli più accidentali (catastrofi naturali, spostamenti di popoli…) a quelli più intrinsecamente legati al modo di produzione su cui vanno a impattare (un esempio in tal senso, ce lo possono fornire dei cambiamenti ambientali conseguenza dello stesso modo produttivo su cui incidono, così come fattori politici e ideologici, cioè sovrastrutturali, prodotto del modo di produzione sociale che vanno poi a influenzare…).

Tali fattori possono, in altri termini, essere fondamentalmente estrinseci al modo di produzione su cui agiscono e che modificano, oppure avere con esso un legame causale e retroattivo.

In ogni caso non è quasi mai possibile capire l’evoluzione di una società sulla base di un’astratta autogenerazione della sua sfera tecnico-produttiva. Quasi sempre difatti, una tale evoluzione è influenzata (anche) da fattori estrinseci.

Ad esempio, per tornare al passaggio dal feudalesimo all’organizzazione capitalistico-borghese, se da un lato possiamo dire che lo sviluppo delle tecniche specialistiche urbane sia stata la causa ultima della nascita di tale organizzazione economica, dall’altra dobbiamo anche notare che lo sviluppo di tali tecniche (o meglio, la loro rinascita dopo i secoli oscuri del medioevo) sia stato dovuto in gran parte alla fuga di servi della gleba dalle campagne feudali e al conseguente ripopolamento dei centri urbani (la cui economia non poteva basarsi che su attività specialistiche), fatto questo a sua volta causato dalle condizioni di vita sempre più insostenibili all’interno delle antiche strutture feudali (dovute a loro volta a ragioni contingenti, quali la crescita della popolazione, alcune carestie…).

L’evoluzione tecnica è quindi, in questo come in moltissimi altri casi, il prodotto involontario di trasformazioni di altra natura (in questo caso, direi, di carattere sociale, le quali a loro volta avevano origine in fattori di altro tipo…).

Se è quindi vero che la tecnica determina l’economia e l’economia l’organizzazione sociale, è anche vero però che la tecnica non sempre è causa di se stessa, ma che essa al contrario è di solito profondamente influenzata nei propri sviluppi da fattori causali di natura a sé estrinseca (ambientali, ideologici, ecc.).

La storia è quindi sempre, in ultima analisi, storia dell’evoluzione tecnica e (quindi) sociale della produzione e del lavoro. Ma una tale evoluzione può avere origine da cause di diverso tipo: sia cioè da cause immanenti alla stessa logica tecnico-produttiva, sia da cause estrinseche a essa ma in grado ugualmente di influenzarla, anche profondamente.

(b) Evoluzione delle sovrastrutture

Un altro aspetto essenziale della dinamica storica è senza dubbio quello riguardante l’evoluzione delle sovrastrutture sociali. Esse, come già si è detto, sono il prodotto delle struttura economico-produttiva della società, di cui costituiscono in qualche modo un riflesso, una rappresentazione astratta e immobile (soprattutto nel caso delle leggi) il cui fine ultimo è appunto quello di consolidarla.

Ovviamente, sarebbe semplicistico affermare che il rapporto tra struttura e sovrastruttura sia del tutto unidirezionale: anche le sovrastrutture difatti, data la propria intrinseca capacità di orientare l’agire umano in una direzione piuttosto che in un’altra, finiscono per avere un peso sull’evoluzione della struttura tecnico-economica della società. Esse cioè, sono uno dei tanti fattori extraeconomici in grado di determinare l’economia nella sua evoluzione. E tuttavia, come appena detto, il livello economico-produttivo è sempre in ultima analisi il perno attorno a cui ruota la società nei suoi aspetti fondamentali.

Anche le sovrastrutture quindi, nonostante la loro indiscutibile capacità di influenzare il piano tecnico-produttivo dell’organizzazione sociale, sono in ultima analisi dipendenti da quest’ultimo: una volta avvenuta una trasformazione a livello strutturale infatti, a esse non sono date che due possibilità: o adattarsi a tale trasformazione, o esserne spazzate via.

Nel primo caso si ha quella che possiamo definire una rivoluzione (o forse sarebbe meglio dire un rivoluzionamento) graduale e poco appariscente di tali sovratrutture, ovvero una trasformazione dell’organizzazione politica e culturale della società priva o quasi di scosse. Può essere presa ad esempio di questo tipo di sviluppo la trasformazione della società inglese in seguito all’affermazione dei ceti imprenditoriali e borghesi. In Inghilterra difatti, l’antica nobiltà terriera d’origine medievale seppe assorbire nelle proprie fila i membri della nascente classe borghese e capitalistica, condividendo con essa i propri privilegi e aggiornando almeno in parte le proprie concezioni alle esigenze del tipo di società che stava sorgendo.

Nel secondo caso invece, quello cioè di una strenua (e infruttuosa) opposizione delle precedenti sovrastrutture a una trasformazione economico-strutturale oramai in corso, si ha col tempo lo sfociare delle tensioni dovute a tale opposizione in una rivoluzione violenta. Un celebre esempio di questo tipo di trasformazione è costituito dalla Rivoluzione francese, l’evento sanguinoso attraverso il quale la borghesia francese si appropriò, contro le resistenze plurisecolari dell’antica nobiltà feudale, dei diritti politici a essa spettanti per il fatto di essere oramai la classe economicamente trainante della società.

In sintesi, le sovrastrutture possono influenzare l’evoluzione economico-produttiva della società, al pari di molti altri fattori extra-economici, ma una volta che tale evoluzione sia avvenuta, esse sono per forza di cose costrette a rinnovarsi e ad adeguarvisi. Se ciò non avviene, esse vengono spazzate via dalla stessa base economica in funzione della quale, in ultima analisi, esistono.

In conclusione del nostro discorso, quindi, possiamo dire che la Dinamica della storia contempla due aspetti fissi e intrascendibili:

1) l’inevitabilità nel corso del tempo della trasformazione delle tecniche a base della produzione sociale e, almeno in certi casidella stessa organizzazione economica e di classe;

2) l’inevitabilità dell’aggiornamento delle sovrastrutture rispetto alle strutture economiche, qualora questi due aspetti della vita sociale finiscano col tempo per collidere tra loro.

Fonte: http://adrianotorricelli.wordpress.com


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Metodologia della ricerca storica
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Aggiornamento: 01/05/2015