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La ‘Vera Fotografia' di Gianni Berengo Gardin. Al Palazzo delle Esposizioni la retrospettiva dedicata al fotografo

Gianni Berengo Gardin/Fondazione Forma
Gianni Berengo Gardin/Fondazione Forma 

“Quando fotografo amo spostarmi, muovermi. Non dico danzare come faceva Cartier-Bresson, ma insomma cerco anch’io di non essere molto visibile. Quando devo raccontare una storia, cerco sempre di partire dall’esterno: mostrare dov’è e com’è fatto un paese, entrare nelle strade, poi nei negozi, nelle case e fotografare gli oggetti. Il filo è quello; si tratta di un percorso logico, normale, buono per scoprire un villaggio ma anche, una città, una nazione. Buono per conoscere l’uomo” - Gianni Berengo Gardin

Gianni Berengo Gardin ama il verde, ma per le sue fotografie ha da sempre scelto il bianco e il nero. Quel colore così amato lo utilizza solo per ‘marchiare’ i suoi capolavori con un timbro che ha una scritta, ‘Vera Fotografia’, necessaria per autenticare il retro di quelle stampe che interpretano “un frammento di realtà” con uno sguardo attento e partecipe. Da oggi fino al 28 agosto prossimo, la città di Roma gli rende omaggio con ‘Vera Fotografia: reportage, immagini e incontri’, una grande retrospettiva ospitata al Palazzo delle Esposizioni e che ripercorre la vita artistica di un grande fotografo che più di ogni altro è riuscito a raccontare al meglio il nostro tempo e il nostro Paese.

Sei sono le sezioni di questa mostra (Venezia; Milano e il lavoro; Manicomi, zingari e foto di protesta; Italia e ritratti; Le donne; Visioni del mondo: paesaggi e Grandi Navi"), prodotta e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con Contrasto e Fondazione Forma per la Fotografia. Sei i momenti che vanno ad intrecciarsi tra loro in un unico percorso di 250 fotografie, per la maggior parte stampe da pellicola alcune delle quali inedite, datate tra il 1954 e il 2015.

“La sua vita e il suo lavoro si concentrano su una scelta di campo, sulla documentazione resa a tutto tondo, così come prima di lui avevano fatto grandi maestri fotografi del Novecento”, hanno spiegato le due curatrici, Alessandra Mammì e Alessandra Mauro. “Gardin e la sua macchina hanno scrutato soprattutto l’Italia e il mondo del lavoro, la sua fisionomia e le sue trasformazioni e lui ha registrato tutto come farebbe un sismografo”, hanno aggiunto. “Lo stesso ha fatto con la condizione della donna, al Nord come al Sud, intercettando le rinunce, le aspettative e il processo di emancipazione, raggiungendo anche il mondo a parte degli emarginati, degli zingari, dei malati di mente, a cui ha dedicato molto tempo, molto amore e molti libri”.

Sono, infatti, più di duecentocinquanta i libri realizzati fino ad oggi dal grande fotografo, ligure di nascita (è nato nel 1930 a Santa Margherita Ligure), ma milanese d’adozione che da sempre ha sostenuto che essere un fotografo “significa assumere il ruolo di osservatore e scegliere un atteggiamento di ascolto partecipe di fronte alla realtà”.

Nel corso della sua vita ha incontrato tantissime persone alcune delle quali sono diventate poi suoi amici a tal punto da volere la loro partecipazione a questa mostra attraverso un commento. Al Palazzo delle Esposizioni troverete infatti, accanto alle stampe vintage realizzate dalle sue amate macchine fotografiche (la Leica, la Contax, la Nikon e l’Hasselblad), i commenti di registi come Marco Bellocchio, Carlo Verdone, Alina Marazzi e Franco Maresco, di architetti come Stefano Boeri, Renzo Piano (con cui iniziò a lavorare nel 1979) e Vittorio Gregotti, oltre agli artisti Mimmo Paladino, Alfredo Pirri e Jannis Kounellis e ai colleghi fotografi, superstar (come Ferdinando Scianna e Sebastião Salgado) e giovani emergenti (come Luca Nizzoli Toetti). Non mancano i commenti di alcuni scrittori (Maurizio Maggiani e Roberto Cotroneo), sociologi (Domenico De Masi), psichiatri (Peppe Dell’Acqua), giornalisti (Mario Calabresi, Michele Smargiassi e Giovanna Calvenzi) e street artist (Alice Pasquini).

Immagini, le sue, di paesaggi, di persone e di situazioni che vogliono raccontare in maniera attiva il mondo che lo ha circondato e che lo circonda ancora oggi e che spesso denunciano quello che poteva essere cambiato e quello che non doveva accadere (si pensi alle sue foto con le grandi navi da crociera che ‘violentano’ una città come Venezia). Suggestiva e a suo modo nostalgica, definirla mostra di fotografie pare riduttivo, perché in quelle sale c’è la vita, c’è un Paese, ci sono le persone, ma – soprattutto – c’è un racconto intimo e delicato unico nel suo genere. Non perdetela.

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