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Franco Marini sarebbe stato un grande presidente della Repubblica

Getty
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Matteo Renzi dovrebbe vergognarsi di molte cose. Ma dal mio punto di vista è arrivato proprio a uno dei momenti più emblematici. Intervenendo in Aula per ricordare Franco Marini ha scaricato su altri la responsabilità della sua non elezione alla presidenza della Repubblica, nascondendo la determinante furia rottamatrice del 2013. Uno dei tanti capitoli dell’auto sabotaggio della propria parte politica che Renzi ha scritto, fino ad arrivare all’ultimo, contro il governo Conte due.

Invece Franco Marini sarebbe stato un grande presidente della Repubblica. Trascorso qualche giorno è giusto ricordarne ancora la figura e l’esempio. Per me è impossibile separare il piano personale da quello più strettamente politico. Marini per me è stato prima di tutto un amico e un maestro. Il suo primo esempio è stato quello di non avere mai dimenticato, nemmeno per un istante, la sua terra e le sue origini, l’Abruzzo e San Pio delle Camere.

Da sindacalista, nella Cisl, partendo da niente ha scalato negli anni e nei decenni le responsabilità, conquistando la fiducia di migliaia di lavoratrici e lavoratori. Da dipendente nell’ufficio contratti a collaboratore del ministro, e maestro, Giulio Pastore, fino a segretario della federazione dei dipendenti pubblici, poi vicesegretario e segretario nazionale. Nel 1991 Marini fu poi chiamato al Ministero del Lavoro. Successivamente nel 1997 fu segretario del Partito popolare, poi responsabile organizzativo della Margherita. Nel 2006 fu presidente del Senato e infine uno dei principali padri fondatori del Partito Democratico.

Voglio ricordare però un momento preciso della sua storia politica che ha cambiato le sorti del paese: l’11 marzo 1995 il Ppi guidato da Rocco Buttiglione convocò la sua assemblea nazionale. Bisognava scegliere se seguire la linea del segretario che portava ad un accordo con le destre o restare autonomi. Marini fece un intervento accorato e orientò il partito nella difesa dell’autonomia, preludio dell’Ulivo.

Significativo e importante che come primo adempimento dopo la fiducia ottenuta da entrambi i rami del Parlamento l’appena nominato Andrea Orlando, successore di Marini al Ministero del Lavoro, si sia recato sulla sua tomba a San Pio delle Camere, omaggiandolo governo con tra le altre queste parole:

“Un fiore al leader politico che nel 1995 dal Partito Popolare aprì la strada alla nascita dell’Ulivo e del Partito Democratico. La forza politica di cui è stato padre fondatore, senza la fondamentale radice culturale del cattolicesimo democratico, non avrebbe avuto senso. Non avrebbe senso, e nemmeno futuro, anche oggi. Un fiore a chi è stato mio predecessore, Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale nominato esattamente trent’anni fa, nell’aprile del 1991, e che per me è stato per tanti anni un punto di riferimento. Per tutti è stato sempre un maestro solido e vigile dei valori di solidarietà e partecipazione nell’azione politica, sempre dalla parte delle ragioni delle lavoratrici e dei lavoratori”.

Qualche giorno fa, nel corso della mia rubrica in diretta Facebook, presentando il libro di Piero Fassino sulla storia del Partito comunista italiano, ho avuto modo di ricordare Marini con l’autore e con Dario Franceschini, che è stato suo allievo e vice quando era segretario del Partito popolare. Entrambi gli hanno riconosciuto la forte predisposizione allo spirito unitario, valore attraverso cui seppe fare la differenza in una fase di grande forza dei partiti di massa e delle organizzazioni sindacali nel secolo scorso: nei momenti in cui occorreva fronteggiare i grandi momenti di crisi o scrivere insieme le riforme decisive, a cominciare da quelle economiche e sociali, per la storia della Repubblica.

Infine alla nascita del Pd, quando quell’esperienza originale seppe far tesoro proprio dei valori comuni che, anche alla luce delle differenze, hanno permesso ai più grandi partiti nati dalla Resistenza di fondare e poi rafforzare nelle fasi più difficili una democrazia che nasceva fragile per definizione.

Oggi, esattamente trent’anni dopo la nomina di Marini a ministro del Lavoro, il successore sottolinea il legame tra quella esperienza e questa, transizioni che chiamano i sistemi politici e istituzionali a difficili prove di reattività e lungimiranza. Questa, in particolare, molto delicata per il destino e i percorsi di protezione dei lavoratori, che il ministro ha affrontato da subito seguendo l’ambizione di condurre in porto un sistema di tutela che abbia l’orizzonte dell’universalità.

Per questo e per molto molto altro l’esempio di Franco Marini resterà per molto tempo un punto di riferimento irrinunciabile.

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