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Uomo, natura e verità

Uomo, natura e verità

Iniziamo dicendo che la questione è tutta intorno alla violazione della Natura, cioè alla violazione delle leggi che regolano la vita dell'uomo e che costituiscono una legislazione più profonda di quella che regola la Natura distrutta della produzione della ricchezza: i costumi dei popoli si allontanano dagli antichi valori che si pensavano imperituri, violando progressivamente la legge naturale che si esprime nel diritto naturale, cioè nell'etica e nei valori naturali dell'uomo (legge naturale che risale molto addietro nella storia dell'uomo e che oggi è rappresentata nella sua quasi totalità nella rivendicazione della Chiesa Cattolica dell'esistenza del diritto naturale quando affronta questioni inerenti alla bio-etica).

Per capire bene tutta la questione è necessario, secondo me, risalire molto addietro per capire in cosa consisterebbe quella Natura violata dagli attuali costumi dei popoli soprattutto dai popoli sviluppati del Nord del pianeta. Bisogna risalire al tempo del Mito, cioè al tempo che precede il gran tempo del pensiero filosofico. Vi è una permanenza nella forma del pensiero mitico della figura dello smembramento originario del dio e il successivo sacrificio con il quale si vuole ricostruire la potenza originaria del dio stesso: eritis sicut dii dice il Serpente ad Eva (Genesi 3,5), sarete come Dio, mangiando il frutto proibito e questo significa che se, mangiando il frutto proibito si sarà come Dio, allora il frutto è Dio e distruggendolo si otterrà l'essere come Dio: ecco anche qui, l'esempio sommo per la nostra cultura dell'equivalenza tra il frutto e il Dio smembrato. Il tentativo di Adamo poi fallirà e tutto verrà ricostituito dalla iniziativa di Dio che renderà l'uomo simile a sè attraverso Cristo che, a sua volta, nel suo sacrificio, rappresenta una ulteriore forma di smembramento della divinità attraverso la sua crocifissione che è insieme ricostituzione del mondo.

Tutta la civiltà mitica ha perno su questo: Prajapati nel mito Indù, Osiride nella religione egizia, Dioniso e così via fino a Inuele, il cui smembramento è la condizione per cui il mondo sia e noi si viva. Questo perché è necessario recuperare, in relazione a noi stessi, ciò che appariamo come Volontà (il pensare, i sentimenti, gli impulsi, il linguaggio, la corporeità ecc.): e noi viviamo organizzando questo complesso categoriale per trasformare il mondo. L'esperienza che ci si presenta alla nostra Volontà è quella descritta da Freud con l'urto che il bambino ha di fronte al nucleo famigliare quando non è disponibile verso di lui. Fin da subito noi abbiamo contezza con l'esperienza dell'urto: vogliamo cambiare il mondo ma sbattiamo il nostro essere, la nostra Volontà, contro un che di inflessibile, di immodificabile che è la Natura: vogliamo ma urtiamo contro l'Inflessibile.

Ma noi viviamo non limitandoci a questa sconfitta del nostro volere perché, non ostante la barriera della Natura, noi premiamo sull'Inflessibile e lo flettiamo: l'idea di Progresso è questo progressivo allargarsi della dimensione controllabile dell'Inflessibile e del suo corrispondente arretrare che inizialmente appariva invalicabile (in questo senso Ungaretti parla di atto contro natura del progresso umano). C'è una espressione del Mito straordinaria che riassume questa prima parte di riflessione ed è il Mactare Deum Exstis e che pone una interessante questione di traduzione perché, letteralmente si traduce con "uccidere (mactare) dio (deum, accusativo) con le viscere (exstis, dativo plurale di exsta, sostantivo neutro plurale). Ma così il discorso zoppica perché ci si ferma al significato estrinseco di mactare che, in realrà, deriva da mactus, aggettivo che prende forma da macte (forma di saluto  che sta per "rinforzati", "stai su d'animo") e che a sua volta deriva da magnus. Quindi la vera traduzione di Mactare Deum Exstis sarà: "rinforzare il dio con le viscere [della vittima]". E in effetti il dio, cioè l'Inflessibile che poi si rivelerà come la Natura, Inflessibile e Inviolabile, necessita di essere rinforzato finchè seguiamo le via del diritto naturale. 

Ma, come riusciamo a ottenere dal mondo quello che vogliamo? Soltanto se il mondo, cioè la Natura naturans, non è più un cristallo compatto e inscalfibile ma bensì rendendo frangibile, flessibile l'Inflessibile, smembrando (ecco il ritorno a quella permanenza nel Mito di cui parlavo) il dio, la Natura, rendendo cioè disponibile il mondo all'uomo. Solo così noi possiamo godere del mondo e di tutto quello che ci offre, perché possiamo controllare, modificare le singole parti ottenute dallo smembramento originario che, nella coscienza mitica l'uomo ascrive alla volontà stessa del dio e poi a sè stesso. Non posso non citare, a proposito dello smembramento originario nella coscienza mitica, quel gran testo che ci aiuterà nella riflessione che stiamo facendo e che è la Teogonia di Esiodo dove il Caos è lo spalancamento dal quale fuoriescono tutte le determinazioni divine: per primi escono Urano (il cielo) e Ghe (la terra che è madre e sposa), ed escono in accoppiamento, Cielo e la Terra sono uniti e non consentono all'uomo di agire. È quindi necessario che sia il Divisore a castrare Urano avvinghiato a Ghe: è questa una teologia, prima di quella Cristiana, che vede il mondo disponibile solo in quanto il Caos originario è inteso come disperdentesi nelle parti dapprima divine e poi mondane della realtà. Ecco perché bisogna mactare, cioè rinforzare il dio che si è indebolito producendo il mondo, riprendendosi così ciò che ha dato (come sarà precipuo anche della teologia Cristiana Cattolica): è il Sacrificio, dove la vittima stessa è in qualche modo il dio perché appunto lo rinforza. Il sacrificio di Cristo rinforza la legge che Dio ha stabilito per il mondo: questa è la rifondazione del mondo. 

Questa struttura (inflessibile/flessibile, smembramento/sacrificio) si ripropone con l'avvento del pensiero filosofico pur nella abissale differenza col pensiero mitico: lo slittamento della volontà divina a quella umana che flette l'Inflessibile si rispecchia nel pensiero filosofico. Basti pensare al Libro I della Metafisica di Aristotele dove si dice che per tutti i primi pensatori, ciò che da tutto proviene tutto ritorna: è l'Arché che si riappropria costantemente di tutti i suoi componenti, vale a dire è una physis, cioè Natura, sempre salva. Il termine Natura deriva da nascor che si traduce con origine, principio. Quindi vi è una riproposta della struttura del Mito nel senso rafforzato per cui il Sacrificio si presenta come la condotta morale degli uomini rispetto alla legislazione divina: il dio si smembra ma occorre rinforzarlo (mactare) e quando prende quota il pensiero filosofico, il rafforzamento del dio è il rafforzamento delle leggi che il dio stabilisce nel mondo. Così si arriva al diritto natuale che oggi occupa uno spazio importante nei problemi di bio-etica e che la Chiesa Cattolica presenta come quella verità naturale che i comportamenti contrari a essa fanno sì che venga violata non soltanto una verità religiosa ma una verità di ragione, cioè una verità naturale: il dio aprendosi al mondo stabilisce nel contempo un ordine che deve essere tutelato e rafforzato e il comportamento etico dell'uomo è il rafforzamento della legge divina nel mondo esattamente come nel mito lo è il sacrificio. Una vita buona rafforza la legislazione di Dio nel mondo e la teologia Cattolica considera la vita buona il rafforzamento della presenza di Dio nel mondo non, ovviamente, il rafforzamento di Dio Eterno che, in quanto Essente è autonomo, pura ontologia dell'essere. A questo punto è chiara la convergenza tra Verità naturale e Ratio naturalis. 

Vi è, nell'uomo, la presenza di una ragione capace di cogliere l'ordinamento inflessibile della Natura, cioè del mondo. La politica entra prepotentemente in questa dimensione: la vita buona dello Stato è tale perché lo stato si adegua alla vera legislazione, quella divina, svelata da quella parte del pensiero filosofico che si chiama episteme. La politica come adeguamento alla Natura, che è ordine necessario e definitivamente inflessibile, dove l'etica è l'adeguamento della vita dell'individuo alla legislazione universale. Etica e Politica quindi come adeguamento alla verità epistemica e che, nel linguaggio evangelico, corrisponde a quella frase di Gesù carica di conseguenze capitali, "date a Cesare quel che è di Cesare, [date] a Dio quel che è di Dio" (Matteo 22, 21, Luca 20, 25) dove per Cesare si intende lo Stato (date allo Stato quel che è dello Stato, [date] a Dio quel che è di Dio): ecco dunque il carattere teocratico che si appoggia sul rispettare le leggi di natura e divine insieme. Questa frase di Gesù porta con sè la autonomia sia della ragione che della fede in un rapporto reciproco intrinseco. Ma a Cesare bisogna dare dare ciò che non è contro Dio, cioè deve essere un Cesare, uno Stato, cristiano. Quindi si deve rendere cristiano lo Stato e tutto ciò che lo implica (scienze, costumi ecc.): ecco a compimento la teocrazia, cioè l'insegnamento della Chiesa come insegnamento dello Stato. Il Cristianesimo intende radicarsi sulle verità naturali attraverso l'episteme.

Tutto questo grande quadro dell'episteme è andato distrutto a principiare da Cartesio fino ai nichilismi del nostro tempo. Se prima ci si rendeva conto che solo lo smembramento del dio rendeva il mondo possibile, cioè, in termini cristiano-cattolici, solo perché c'è Dio è possibile il mondo, nell'età moderna ci si rende sempre più conto che, se c'è un dio, non ci può essere la Natura come processo, come divenire, come Storia. Esiodo lo diceva, come abbiamo visto: perchè ci si muova è necessario che il cielo si separi dalla terra, occorre il Vuoto che se viene riempito non lascia spazio alla Volontà. In termini logico/concettuali: se esiste un dio, con la sua legge satura ogni orizzonte (Passato, Presente, Futuro) non lasciando spazio per la dinamicità del volere. Ecco perchè occorre il Vuoto, cioè che non ci sia un Eterno che renda impossibile il divenire del mondo, ossia: la tecnica.

Questa fondazione dell'impossibilità dell'Eterno, che rappresenta il sottosuolo essenziale del pensiero contemporaneo, è inevitabile e avrà conseguenze fatali perché, cogliendo questa potenza, si arriva alla morte di Dio di Nietzsche, cioè alla morte della verità naturale sulla cui base si afferma Dio e, quindi, si giunge alla catastrofe, cioè alla morte della Verità assoluta, vale a dire della Natura come legislazione inflessibile alla quale ci si deve adeguare. 

Ma se ogni forma di Arché è impossibile, cioè se ogni forma di Natura è impossibile, allora la Volontà dell'uomo che dapprima cozzava contro l'Inflessibile, ora è libera da ogni barriera, da ogni limite. Il sottosuolo del pensiero contemporaneo è questo: non esiste limite. Il pensiero filosofico rende così potente la Tecnica scientificamente concettualizzata, non, ovviamente, la tecnica intesa come assemblaggio di macchine e funzioni ma bensì la tecnica destinata ad oltrepassare ogni barriera, cioè la tecnica che scientificamente ascolta la voce filosofica che gli annuncia la morte di Dio. 

La Filosofia autorizza la Tecnica all'oltrepassamento di ogni limite, ecco cosa significa l'andare nietzschiano al di là del Bene e del Male: oltrepassare ogni connotato di legge naturale e, quindi, di etica fondata sulla legislazione universale. Questo ha portato come conseguenza alla dominazione della civiltà della Tecnica fondata sulle macerie della Natura: quando Dio è morto non esiste altro che il Divenire, la Storia, il Tempo. La Tecnica condivide l'alienazione dell'Origine dove la ragione è così capace di piegare il mondo e si trova sola dinanzi ad esso divenendone la padrona: tutto è disponibile ora alla sua dominazione sulla liquidazione dell'episteme, cioè della verità naturale, ad opera della filosofia. 

La società della Tecnica riuscirà a dare all'uomo sempre più ben-essere ma, e qui sta il Tragico dell'età contemporanea, privo dell'unica cosa che sia necessaria non manchi: l'assicurazione che questo ben-essere non vada a perdersi. Senza questa assicurazione assoluta il paradiso della Tecnica diventa l'inferno. Questo perché il Sapere incontrovertibile che nasce con il Mito e culmina nella grande stagione della filosofia idealistica, portando alla permanenza del concetto di episteme nella scienza che vede in Einstein il maggiore difensore della presenza delle leggi naturali nella realtà, deterministiche e assolutamente inviolabili e inflessibili, porta ad una crescita della consapevolezza della mancanza di un senso della verità che conduce a quella distruzione alla quale la Verità Naturale è andata incontro lungo tutta la storia dell'Occidente e, sapendo quando l'Occidente ha infarcito di sé tutto il globo terracqueo, del Mondo. 

La società della Tecnica conduce alla progressiva coscienza della mancanza della assicurazione della felicità (Nietzsche, Leopardi, Gentile, Wittgenstein), lasciandosi alle spalle la civiltà di Natura, abbandonando il senso della Verità, cioè della Natura, che è l'Anima stessa dell'Occidente e portandosi verso una dimensione che va oltre l'Anima del Mondo, cioè oltre l'interrogarsi sul senso inaudito della Verità incontrovertibile e assolutamente inflessibile. 
E rendersi conto di questo, è il compito supremo che ha il pensiero contemporaneo. 

 

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