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Cultura

Cosa direbbe Marco Pannella oggi?

Ernesto S. Ruscio via Getty Images
Ernesto S. Ruscio via Getty Images 

Quante volte dopo la sua morte il 19 maggio di quattro anni fa ci siamo detti, o sentiti dire, specie in momenti di grande calamità ambientale o politica “cosa avrebbe detto o fatto Pannella in questa occasione?” 

Sarebbe interessante commissionare un algoritmo alla bisogna e nutrirlo con terabyte di parole, scritti, disobbedienze civili, scioperi della fame e della sete, letture, frequentazioni, comportamenti, atteggiamenti o scelte di vita di Pannella per fargli poi sputare una risposta rispondente agli stimoli suscitati da un particolare momento storico o tema specifico.

Certo andrebbero inseriti anche dati di contesto, di congiuntura politico-istituzionale si sarebbe detto una volta, e volubilità emotiva - oltre che la wild card della telefonata a ore impossibili con interlocutori improbabili - ma se c’è chi con l’intelligenza artificiale sta cercando di portare a termine la Decima Sinfonia di Ludwig van Beethoven, possibile che non ci sia uno smanettone interessato a comporre il pensiero di Giacinto Pannella detto Marco per andar incontro a tutta questa curiosità? Macché, non c’è.

E non c’è, un po’ perché purtroppo Pannella non è open access e il suo archivio non risulta essere nel pubblico dominio, un po’ per motivi legati al talento di Pannella. 

L’archivio Pannella non è aperto per scelta di chi lo gestisce, ma anche perché, malgrado l’ossessiva attenzione pannelliana alla massima trasparenza del processo decisionale interno e istituzionale praticata a suon di dirette fiume di Radio Radicale, Pannella coi diritti d’autore aveva un rapporto… come dire, imprevedibile? Ecco sì, diciamolo - imprevedibile.

Ed è proprio il talento dell’imprevedibilità che faceva di Pannella “Pannella”. Una caratteristica che complicherebbe di molto il machine learning necessario all’algoritmo predittivo di cui sopra. Da Pannella si poteva prevedere una reazione uguale e contraria agli stimoli esterni di un determinato momento, ma merito e metodo variavano incostantemente. Tranne forse che negli ultimissimi tempi, a ogni dichiarazione seguivano azioni politiche, parlamentari e nonviolente, se non vere e proprie campagne, nessuna delle quali era uguale a iniziative precedenti o concomitanti. 

A chi nelle fumose riunioni evocava la necessità di avere fantasia, Pannella ribatteva che in politica occorresse piuttosto la creatività. Un confronto lessicale che, tra le tante cose, segnalava una strutturale attenzione critica anche al più automatico e convenzionale ricorso al linguaggio “della” e “nella” politica. Non si trattava di un anticonformismo di maniera né di voler esser a tutti i costi anticonvenzionale, si trattava di aver cura di ogni dettaglio relativo a tutto quel che era targato Pannella o Partito Radicale.

Pannella aveva un vocabolario radicato nell’illuminismo del XVIII secolo che mischiava il “Liberté, Égalité, Fraternité” col federalismo presidenzialista all’americana. Se ne scostava con originali neologismi o precisazioni lessicali magari figlie della tradizione del Partito d’Azione, ma le basi erano quelle. 

Non c’era solo “creatività” versus “fantasia”, c’era “proposta” versus “protesta”, “religiosità” versus “religione”, “obbligo” versus “dovere”, “possibile” versus “probabile”, “personale” versus “privato”, “nonviolento” versus “pacifista”, “riformatore” versus “riformista”, “laico” versus “laicista”, “sinistra liberale” versus “liberale di sinistra” e via snocciolando fino ad arrivare a slogan più recenti come “No Vatican No Taliban” o l’ultimissimo: spes contra spem.

A differenza del compositore di Bonn, il politico di Teramo era un imprevedibile improvvisatore. Pur sempre nel solco del Canone Occidentale, Pannella era un fantasista eterodosso che sapeva trarre spunto d’ispirazione per il suo esser tribuno della plebe (ma anche del prepotente di turno caduto in disgrazia vittima di se stesso) anche dall’ultima cosa che gli gridavano mentre attraversava la strada o che origliava passando da un ufficio a un altro - o che gli si scandiva mentre era nel bagno del suo ufficio a Torre Argentina. 

E quelle improvvisazioni non erano la foglia di fico del politico che si vuol infilare dappertutto per manie o necessità presenzialistiche, erano azioni o reazioni (forse più reazioni) sempre impersonate con infaticabile eloquenza e instancabile presenza fisica. Performance di qualcuno che padroneggiava i fondamentali, che si raffrontava a regole e regolamenti avendone una sua: cogliere la radice del problema prima di dedicarcisi. 

Pannella dava corpo alle proprie idee-forza per proteggere e promuovere la libertà. Non prendeva tempo a rincorrere chi si preoccupava di spiegare se si dovesse trattare di “libertà da” o “libertà di”, si occupava della libertà nuda e cruda - proprio come la verità, il cui furto imputava a destra, centro e sinistra. 

Se esistesse un indice di efficacia di un politico capace di mettere in relazione le dotazioni in termini di voti, seggi, presenza mediatica o risorse umane e finanziarie a disposizione con gli obiettivi raggiunti, Pannella sarebbe in cima a una classifica mondiale destinato a rimanerci per molti anni ancora.

Da Almirante a Berlinguer, passando per il Dalai Lama e almeno tre Papi, Pannella ricercava il dialogo anzi “nel dialogo” ricercava compagni di viaggio per perseguire obiettivi puntuali che nella loro precisione erano tanto portatori di cambiamenti di leggi e possibilità sociali quanto evocatori di simboli universali. Per lui era quasi più importante convincere che vincere.

Visto l’alto tasso di prevedibile e infeconda improvvisazione che ci circonda, cosa vorremmo che ci dicesse oggi uno così, magari da una stanza Zoom o in una diretta Instagram?

Proviamo piuttosto a rovesciare il dubbio: cosa diremmo noi oggi a Pannella? Come glielo racconteremmo questo mondo che, già in preda a un diffuso dissesto idro-ideologico, deve misurarsi da settimane addirittura con una pandemia?

Nello stuzzicare chi non c’è più alla ricerca di certe feconde ma impossibili imprevedibilità potremmo dar corpo a un satyagraha personale che ci riconcilierebbe coi fondamentali: il “qui e ora” - che conta nella vita, proprio come in politica. 

 
 
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