Piera Ventre e Gli spettri della sera, un'estate tra Nord e magia

Così il Cristo che si era fermato a Eboli è risalito su e ha fatto proseliti nelle campagne del Nord

Piera Ventre
Piera Ventre
di Ugo Cundari
Sabato 18 Febbraio 2023, 16:00
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Ribalta lo stereotipo geografico dell'iniziazione agreste, Piera Ventre, nel suo nuovo romanzo Gli spettri della sera (Neri Pozza, pagine 272, euro 18). Negli anni 80 una coppia di cuginetti, lei 16 anni lui 10, viene spedita dai genitori da Napoli in Piemonte, in un paesino dell'astigiano, per trascorrere le vacanze estive nella cascina degli zii, contadini senza figli, entusiasti della vita all'aria aperta.

La ragazzina, è sua la voce narrante, ci arriva con in testa il sogno del viaggio americano coast to coast in compagnia di Kerouac. È disinibita, volitiva, non si fa problemi a seguire il suo istinto.

Da poco ha dato il suo primo bacio, e lo ha dato a una ragazza. Lui è un nerd, sempre con la testa nei libri, gran giocatore di dama, ma come tutti i bimbetti della sua età a volte schiaccia le formiche e impicca le lucertole. Dagli zii scoprono che significa dormire nel silenzio rotto solo dal frinire delle cicale, uscire all'alba per lavorare la terra calcando in testa grossi cappellacci per proteggersi dal sole e tornare la sera «con i calzoni macchiati dalle gore di grasso del trattore, il rigo nero di terra sotto le unghie». Quanto è importate il momento della cena consumata tutti insieme in una cucina illuminata da luci tenui. Come si usano i coltellacci per tagliare la gola ai conigli, si sarchia la terra, si legano le viti, si raccolgono le uova dal pollaio. Capiscono quanto possa essere rigenerante dimenticare i ritmi della città e trovarsi a vivere i giorni lenti e le notti stellate immersi nella natura.

Una delle prime sere «quando ormai erano tutti a letto, aprii come sempre la finestra. Le stelle sembravano pulsare, tanti cuori lontani e freddi, come se il cielo fosse un asilo da abitare. Il buio era davvero buio profondo e loro si rivelavano infinite, così scintillanti, e vicine mi parevano, eppure non si potevano toccare» e qui, e anche altrove, la scrittura della Ventre si abbandona a uno stile più poetico, di solito più sorvegliato.

L'esperienza più forte per i cuginetti sarà quella di imparare dalla vecchia saggia della nonna che cos'è la paura, perché il mistero del mondo degli spiriti può essere anche affascinante. La sera «ci guardava con i suoi occhi spalancati e tondi e cominciava a raccontare della masca. Così la chiamavano la strega. Diceva che era le anime di morti, donne capaci di assumere sembianze d'animale, di gatti per lo più. Perciò i gatti erano bestie infide, sfuggenti e traditrici, soprattutto quando ti fissavano con quegli occhiacci stretti, pieni di bagliori». 

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Le masche fanno le mascherie, tipo far nevicare d'estate, provocare la morte improvvisa dei vitelli, far comparire grappoli di nidi di api sotto le grondaie. Per proteggersi, sale grosso. La nostra protagonista narratrice poi tornerà a Napoli, crescerà, studierà, lavorerà ma non dimenticherà mai quello che ha imparato in quell'estate nelle terre piemontesi. Intuire il mistero di tutto, e di questo sentirsi felice.

Con la Ventre di questo romanzo il Cristo che si era fermato a Eboli è risalito su e ha fatto proseliti nelle campagne del Nord, perché anche là ci sono comunità contadine arretrate ma non per questo prive di una cultura, e lassù può succedere che una coppia di ragazzini di quaggiù scopra il mondo magico, le favole, le leggende, le superstizioni. Scopra insomma un mondo in cui il tempo si è fermato ma non è detto che la storia non faccia il suo corso, permettendo a due ragazzetti di afferrare il mistero dell'esistenza anche se solo per il breve periodo estivo, anche solo per quell'istante «che brilla come un diamante. Dovrebbe essere tutta così, no, la vita? Un istante di cui t'accorgi sempre». 

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