Alla scoperta del vento isallobarico, responsabile delle tempeste di vento più violente in Europa

La particolarità di queste correnti è quella che possono percorrere centinaia di chilometri, mantenendo le caratteristiche tempestose fin quando non si va a colmare l’importante squilibrio barico che le ha generate inizialmente.

Di solito questo vento si associa alle potenti tempeste che si formano in mezzo all’oceano (sia sull’Atlantico che sul Pacifico) e che seguono il passaggio dei grandi cicloni extratropicali, note anche come “depressioni-uragano”, con minimo barici al suolo pronti a scendere sotto i 950-940 hPa.

Oltre al noto vento di “gradiente”, al vento “termico” (come le brezze) e al conosciuto vento “geostrofico”, che si ottiene con l’azione congiunta della forza di “gradiente” e di quella “deviante” (effetto Coriolis), esiste un altro tipo di vento che spesso viene sottovalutato, o peggio, snobbato durante la lettura delle mappe che rappresentano il campo barico, con inevitabili ripercussioni previsionali (come accade nel dicembre 1999 quando la Francia fu devastata da venti di uragano che superarono i 200 km/h al suolo).

Si tratta del cosiddetto “vento isallobarico”, il principale responsabili delle violente tempeste di vento che periodicamente, tra l’autunno e l’inverno, sferzano buona parte del continente europeo (a volte interessando pure l’Italia con impetuose libecciate o ponentate).

Cos’è il vento isallobarico?

Il “vento isallobarico” rappresenta la componente vettoriale del vento associato al “gradiente barico” causato dalla velocità di spostamento della profonda area ciclonica che lo ha prodotto. Esso è generato da una rapida caduta di pressione su un’area geografica piuttosto vasta, a seguito del passaggio ravvicinato di un profondo ciclone extratropicale che si muove con una velocità piuttosto elevata, solitamente da ovest a est o sulla direttrice sud-ovest/nord-est, tipica dei profondi cicloni extratropicali sfornati dall‘Atlantico o che provengono direttamente dalle grandi pianure centrali degli Usa o da Terranova.

Rispetto al comune vento di “gradiente”, derivato dalla differenza di pressione fra alta e bassa pressione, il “vento isallobarico” agisce come una sorta di grande onda atmosferica che permette alle masse d’aria di spostarsi il più rapidamente possibile da un’area di alta pressione a un’altra di bassa pressione limitrofa. Di solito questo vento si associa alle potenti tempeste che si formano in mezzo all’oceano (sia sull’Atlantico che sul Pacifico) e che seguono il passaggio dei grandi cicloni extratropicali, note anche come “depressioni-uragano”, con minimo barici al suolo pronti a scendere sotto i 950-940 hPa.

Come si produce il “vento isallobarico”?

Per capire e interpretare questo tipo di vento bisogna approfondire meglio alcuni aspetti legati proprio alla dinamica e alle leggi che regolano i flussi eolici globali. Come sappiamo, alle medio-alte latitudini il vento segue l’andamento delle isobare, scorrendo quasi in parallelo con esse.

Ma per la nota forza deviante di Coriolis il vento non si allinea perfettamente con le isobare, ma le taglia con un angolo di appena 30° sulla terra ferma (l’ampiezza di tale angolo con le isobare dipenderà dall’orografia locale, dal tipo di terreno e di ostacoli presenti) e di circa 15-20° in mare (a seconda dell’altezza del moto ondoso).

Ciò si verifica in condizioni normali, con lente variazioni del campo barico nel corso del tempo. Quando i cambiamenti del campo barico su una determinata regione diventano repentini, con brusche cadute di pressione subito seguite da rialzi barici altrettanto bruschi ed estesi si una vasta area geografica, allora ci troviamo dinnanzi alle condizioni ideali per l’insorgenza del potente e temuto “vento isallobarico”.

Di solito delle variazioni cosi brusche e repentine del campo barico su una determinata regione non possono che essere associate al rapido passaggio di una profondissima area ciclonica extratropicale che si muove con una velocità di spostamento largamente superiore a quella dei cicloni tradizionali se inserita in un letto di fortissime correnti occidentali o mediamente occidentali nella media troposfera (500 hPa).

In simili situazioni su un’area piuttosto vasta, anche di oltre 500-1000 km, il campo barico può variare molto velocemente, costringendo così le masse d’aria a spostarsi il più rapidamente possibile dalle zone in cui la pressione aumenta repentinamente verso quelle zone dove la pressione scende altrettanto repentinamente.

La particolarità di queste correnti è quella che possono percorrere centinaia di chilometri, mantenendo le caratteristiche tempestose fin quando non si va a colmare l’importante squilibrio barico che le ha generate inizialmente.

Tale squilibrio del campo barico genera delle forti correnti che si sommano ai già esistenti venti di “gradiente”, muovendosi in parallelo con quest’ultimi. Queste correnti sommandosi al flusso di “gradiente” possono originare dei venti veramente violenti e turbolenti capaci di apportare notevoli danni in presenza di “gradienti barici” particolarmente forti con annessi profondi minimi depressioni in rapido spostamento.

Caratteristiche di questo vento

La particolarità di queste correnti è quella che possono percorrere centinaia di chilometri, mantenendo le caratteristiche tempestose fin quando non si va a colmare l’importante squilibrio barico che le ha generate inizialmente. Molto spesso il “vento isallobarico” è il principale responsabile delle tempeste di vento che sferzano l’Europa e il Mediterraneo, determinando alle volte gravi danni alle strutture.

Può spazzare anche le nostre regioni durante il rapido transito di veloci ciclogenesi che si muovono velocissimamente da ovest a est, venendo associato a forti burrasche o a autentiche tempeste di libeccio nella fase pre-frontale, ponente subito dopo il passaggio del fronte freddo, e maestrale nella fase post-frontale, con l‘allontanamento del sistema verso la Grecia e i Balcani.

L’esempio della tempesta “Martin” nel 1999

Un esempio su tutti è quello della tremenda tempesta di vento, denominata “Martin”, che fra il 26 e il 28 Dicembre 1999 spazzo l’Europa occidentale, in particolare il nord della Francia, con raffiche di vento talmente violente da toccare e in qualche caso superare i 190-200 km/h in diverse località.

In quei giorni un profondissimo ciclone extratropicale, con minimo centrale stimato poco sotto i 960 hPa, tra il 25 e il 26 Dicembre si spostò dalle coste nord-americane verso il settore settentrionale del Regno Unito, con una notevolissima velocità di spostamento che in un giorno gli ha permesso di poter attraversare l’intero nord Atlantico, approfondendosi ulteriormente.

La profondissima bassa pressione extratropicale in meno di 36 ore avrebbe percorso oltre 3000 km, uno spostamento davvero anomalo per un ciclone delle medie latitudini, pertanto proveniente dalle coste del continente nord-americano.

Lungo il fitto “gradiente barico” che seguiva la profonda depressione, scesa al di sotto dei 960 hPa (valore poi non tanto particolarmente profondo), si sono attivati dei venti di tempesta che spiravano oltre i 100-120 km/h, tanto da far lanciare un allarme tempesta lungo le coste della Bretagna e della Cornovaglia, di solito quelle più esposte all’arrivo delle tempeste oceaniche.

Ma le mappe del campo barico elaborate da Meteo France (l’ufficio meteorologico francese) e dal Met-Office (la famosa agenzia meteorologica inglese), secondo la legge di Buys Ballot, indicavano venti molto forti in arrivo sulle coste settentrionali francesi e nel sud dell’Inghilterra, non certo dei veri e propri uragani, con raffiche fino a 200 km/h, come poi si verificò giorno 26, quando mezza Francia e la Cornovaglia furono disastrate da quella che a detta di molti (soprattutto i bretoni) fu la tempesta del secolo.

Sulle coste Bretoni il vento superò abbondantemente i 200 km/h, mentre in città come Strasburgo, Metz e nella stessa Parigi, dove la torre Eiffel fu evacuata e chiusa, le raffiche toccarono i 150-170 km/h, tanto che alcune stazioni archiviarono la raffica più potente dalla loro installazione.

Il giorno dopo in molti distretti della Francia meridionale iniziò la conta dei danni e purtroppo anche delle vittime, come dopo il passaggio di un ciclone tropicale dopo che ha effettuato il “landfall“. Le raffiche di vento sono risultate talmente violente da scoperchiare i tetti di edifici e case, abbattendo le linee elettriche e scaraventando a decine di metri di distanza le automobili e i camion posteggiati lungo le strade.

Da allora i meteorologi francesi e inglesi (in realtà di tutta Europa) capirono che oltre al noto e conosciuto "vento geostrofico” esiste un’altra variante, alle volte molto pericolosa come in questi casi, che insorge in condizioni molto particolari.

Difatti, analizzando le carte bariche si scopre che tra giorno 26 e il 27 Dicembre la profonda area depressionaria, inserita all’interno di forte flusso occidentale nella media troposfera, si spostò rapidamente da ovest ad est, determinando dei cali di pressione davvero incredibili, fino a –12-13 hpa in 3 ore, mentre dopo il passaggio del minimo barico la pressione risaliva con tale rapidità.