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Demansionamento e Tutela della Professionalità

demagstDemansionamento e tutela dei lavoratori: limiti e prospettive.

Il datore di lavoro può, nell’esercizio del suo potere direttivo e gerarchico, organizzare come meglio ritiene opportuno il lavoro dei suoi dipendenti ed adibirli allo svolgimento di mansioni che risultino utili al raggiungimento degli obiettivi aziendali (art. 41 Cost. e 2094 c.c.)

Tali poteri non sono, però, senza limiti: proprio a tutela del prestatore di lavoro subordinato, la legge pone una serie di vincoli ai poteri del datore di lavoro.
In primo luogo, al momento dell’assunzione, la legge obbliga le parti a concordare per iscritto qualifica, compiti e “mansioni” che il lavoratore sarà concretamente chiamato a svolgere giorno dopo giorno.
Ciò posto, il datore di lavoro può unilateralmente mutare le mansioni cui il lavoratore è adibito (c.d. “Ius Variandi”) nei limiti e nel rispetto del principio posto dall’art. 2103 c.c., secondo il quale “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo…comunque non superiore a tre mesi…E’ nullo ogni patto contrario.”
La legge, dunque, consente solo un mutamento in senso orizzontale (assegnazione a mansioni equivalenti) o verticale delle mansioni (assegnazione a mansioni superiori), vietando il c.d. demansionamento
Quanto alla mobilità verticale, è possibile adibire il dipendente soltanto a mansioni superiori per un periodo inferiore a 3 mesi e con conseguente adeguamento della retribuzione, nel rispetto dell’art. 36 Cost.
Qualora il lavoratore sia adibito a mansioni superiori per un periodo superiore a 3 mesi e ciò non avvenga per sostituire altro lavoratore con diritto alla conservazione del posto, come ad esempio una lavoratrice assente per maternità o un lavoratore assente per malattia o infortunio, l’assegnazione diviene definitiva ed il lavoratore acquisisce automaticamente la qualifica superiore con tutti i vantaggi che ne conseguono in termini retributivi.
Quanto alla mobilità orizzontale, invece, la Suprema Corte di Cassazione con Sent. n. 25033/06, ha precisato che è da intendersi in senso “dinamico” ed è lecita soltanto nel rispetto dei canoni di “…omogeneità tra le mansioni successivamente attribuite e quelle di originaria appartenenza, sotto il profilo della loro equivalenza in concreto rispetto alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto ed alla utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal dipendente…”
Legge e giurisprudenza dimostrano, dunque, di avere molto a cuore la tutela della professionalità concretamente acquisita dal lavoratore e mirano ad evitare che il datore di lavoro possa esercitare arbitrariamente e senza limiti il suo potere direttivo.
Proprio in quest’ottica va inquadrato il c.d. “divieto di demansionamento”, secondo cui il datore di lavoro non può mai adibire il lavoratore a mansioni inferiori a quelle per cui è stato assunto, salvo il particolarissimo caso in cui ciò rappresenti l’unico modo per evitare il licenziamento.
Nel caso in cui avvenga concretamente un demansionamento, il prestatore di lavoro subordinato può legittimamente rifiutarsi ed ha diritto ad essere ri-adibito a mansioni originarie o equivalenti oltre al risarcimento del c.d. danno alla professionalità.
Il demansionamento può provocare al lavoratore un danno non patrimoniale (es. danno biologico, danno esistenziale, danno all’immagine, danno da “mobbing”) e provoca, senza dubbio, un vero e proprio danno patrimoniale, consistente sia nell’impoverimento della capacità professionale già acquisita, che nella mancata acquisizione di una maggiore professionalità ed alla perdita di altre eventuali occasioni lavorative (così sul punto le Sezioni Unite della Cassazione con Sent. 6572/06).
Il lavoratore demansionato può ricorrere in giudizio dinanzi al Giudice del Lavoro, con l’opportuno ausilio di un avvocato giuslavorista, per far valere le proprie ragioni.
In tal caso, potrà provare sia in via documentale tramite testimoni la sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento illegittimo del datore di lavoro ed il danno subito.

     Avv. Ferdinando D’Ambrosio

     Studio Legale “Il Mio Diritto”

     Consulenza ed Assistenza Legale Civile, Penale, Lavoro e Previdenza

     Gruppo “New-d Economy”