POLITICA

GIUSTIZIA E GIUSTIZIALISMO

Salvatore Vullo

L’uso spregiudicato della giustizia politica ha generato il giustizialismo, alterato l’equilibrio tra i poteri costituzionali, imbrigliato l’Italia.
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Da tempo, è sotto gli occhi di tutti lo strapotere che ha acquisito la magistratura, soprattutto quella inquirente, quella delle procure, che hanno il più terribile dei poteri: quello di togliere la libertà agli uomini e di devastarli nei loro beni, nei loro affetti, nella reputazione. Un potere che è diventato sempre più terribile, totalizzante e soprattutto sempre più irresponsabile; un potere che detta l’agenda politica, che decide i destini dei politici e con essi quello dei governi locali e nazionali, entra a gamba tesa nei problemi economici e sociali, ne influenza o ne surroga le leggi. Il libro intervista di Alessandro Sallusti a Luca Palamara, uscito recentemente, ha messo platealmente in evidenza tale strapotere (che era già noto); anche se sembra che non sia successo nulla, non si è vista nessuna reazione adeguata alla gravità delle cose, domina un silenzio assordante e narcotizzante. Una palude di paure, convenienze, viltà, complicità, subalternità, che coinvolge anche il “Quarto potere” ovvero il mondo dell’informazione che, anzi, in buon parte, opera in piena sintonia e sinergia con il potere giudiziario (non a caso da anni si parla di quel super potere definito “mediatico giudiziario”). Certamente ci sono le responsabilità della politica, un po’ tutti vi hanno bagnato il pane, ma soprattutto certi partiti, che nella lotta politica hanno usato spregiudicatamente quella giudiziaria, che ha reso, ma pagando il prezzo della subalternità e cedendo sovranità  a quel  potere giudiziario, perdendo anche prestigio e credibilità e rendendosi sempre più invisa alla opinione pubblica, diventando ad un tempo causa ed effetto della crescente antipolitica. Un processo, questo, che ha determinato una continua invadenza e una supremazia del potere giudiziario sul potere esecutivo e su quello legislativo. Tentiamo di ricostruire, molto in sintesi e ad ampie falcate, come si è arrivati a tutto ciò. Schematicamente tutto inizia con la famosa intervista del 1981 di Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, pubblicata su “La Repubblica”, dal titolo “Dove va il PCI?”, in cui lancia “la questione morale” e la diversità comunista”. Un PCI, allora, legato all’Unione Sovietica che lo finanziava, fortemente ideologizzato, massimalista nella lotta politica e sindacale, alla ricerca di utopie e fumose terze vie, incalzato dal riformismo democratico e socialista del PSI di Bettino Craxi. Un PCI incapace di evolversi, che si arrocca, che mette sotto accusa e liquida la funzione del partito politico, che lancia la propria diversità come superiorità morale ed etica. Anche se in tale occasione  fu aspra e cruentala battaglia contro le proposte di Berlinguer fatta da una cospicua  parte del gruppo dirigente comunista, guidata da Giorgio Napolitano (comprendeva Nilde Iotti, Gerardo Chiaromonte, Alfredo Reichlin, Emanuele Macaluso, Luciano Lama, Paolo Bufalino e altri); Napolitano contestò l’operazione appellandosi anche alle parole di Palmiro Togliatti sui partiti: “ i partiti di massa sono la democrazia che si afferma … tanto è vero che quando qualcuno è sorto per maledire i partiti, egli ha finito per organizzare il Partito dei senza Partiti…” (parole di straordinaria inquietante attualità). Ma alla fine prevalse la linea di Berlinguer. Da qui iniziò quella deriva giustizialista del PCI, che prosegue, si intensifica e arriva all’apoteosi, nel novembre del 1991, quando il PCI, diventato PDS, guidato da Occhetto, decide per “l’opzione giudiziaria”, per far fuori Bettino Craxi e il PSI, uccidere la Prima Repubblica e traghettarsi indenne nella Seconda (ancora una volta il gruppo migliorista guidato da Napolitano indugia nella battaglia e si allinea alle decisioni di Occhetto, D’Alema, Veltroni e co.). Ma così facendo il PCI-PDS consegna le chiavi di casa alle procure d’assalto, alla magistratura, spalleggiata dai grandi giornali e mezzi di informazione (e fu qui che si creò quel micidiale strumento mediatico-giudiziario). E lo fa con tante turpi, ignobili, sciagurate e subalterne azioni, come i famosi comitati di salute pubblica (certo, il PDS non era da solo, la canea era vasta, ma il dominus resta lui); in tal modo si arriva all’atto più solenne e potente: il suicidio e la sottomissione della politica alla magistratura, ovvero la modifica, anzi l’amputazione dell’articolo 68 della Costituzione, un articolo cardine voluto dai padri costituenti proprio per tutelare i parlamentari dalle invadenze della magistratura. Con tale modifica, approvata con la legge 29 ottobre 1993, numero 3, viene eliminata l’autorizzazione della Camera per le richieste di sottoposizione a procedimento penale e per le richieste di arresto per una sentenza di condanna; inoltre la modifica introduce un nuovo vulnus: i magistrati, pur con la richiesta di autorizzazione alle Camere, possono intercettare i parlamentari. Quindi, non solo vengono eliminati due fondamentali prerogative a tutela dei parlamentari, ma si dà ai magistrati un nuovo micidiale strumento: quello di intercettare i parlamentari nelle loro comunicazioni e conversazioni (e sappiamo come vanno le cose sulle intercettazioni, e l’opera di sputtanamento che se ne fa).

Dunque, il nuovo articolo 68 è una ferita inferta alla nostra Costituzione, che continua a sanguinare e a pesare enormemente sullo squilibrio tra i poteri costituzionali. Tale sciagurata operazione politica, che ammazza la Prima Repubblica, lasciando l’Italia allo sbando tra macerie, morti e feriti, prosegue, ormai irreversibile e si rafforza con l’avvento della Seconda Repubblica, con il nemico di turno, quel Berlusconi che vince, imprevedibilmente, sulla gioiosa macchina da guerra del PDS. E così, la sempre più totale subalternità della politica cede ancora sovranità alla giustizia e al giustizialismo, ad altre corporazioni, ed anche ai poteri e lobby economiche finanziarie e organi sovrannazionali. Continuare ad affidarsi al giustizialismo da parte della politica, significa abdicare sempre più dal proprio ruolo, aumentare la subalternità, cedere altri pezzi di sovranità alla magistratura. Basti vedere, da quegli anni, la sfilza di leggi e norme approvate dai governi e dal Parlamento che affidano sempre più potere e discrezionalità alla giustizia: e parliamo non solo di quella penale, ma anche di quella civile e amministrativa (Tar, Consiglio di Stato, Corte dei conti, Corte Costituzionale). Insomma, l’instaurarsi della “Giuristocrazia”. Da quell’epoca, infatti, sono venute leggi come il voto di scambio, il concorso esterno in associazione mafiosa, e per colpire Berlusconi, la magistratura, con il tacito assenso, consenso  e giubilo dei suoi avversari politici, ha persino utilizzato l’accusa di “compravendita di parlamentari”, accusa e procedimento ridicoli e insensati, e che soprattutto raggiunge livelli mai visti nella invasione della libertà politica e dei parlamentari. Da secoli, in Italia e non solo, le trattative nei parlamenti e i passaggi da un gruppo all’altro, fanno parte delle libertà e prerogative parlamentari, anche se il “trasformismo” è un vizio storico, antico, e che nella seconda Repubblica ha raggiunto livelli inarrivabili. La progressione di leggi e norme giustizialiste negli anni, e fino ai nostri giorni, è stata incalzante, perché nel frattempo questo brodo di cultura, composto da moralismo, populismo giustizialista, antipolitica,  ha prodotto il Grillismo, che ha scavalcato a sinistra il PD (come diceva Nenni: c’è sempre uno più duro che ti epura). Quei Grillini che sono diventati emblema  e maestri dell’antipolitica e dell’anticasta, ovvero “quella retorica del disprezzo del potere, e del potere come disprezzo, da cui nasce il partito del disprezzo del potere che diventa esso stesso potere”. Ormai è una gara tra PD e 5 Stelle sulla politica giustizialista e per varare leggi e norme giustizialiste e dare altro potere e cedere ancora sovranità alla giuristocrazia. Dicono tutto il dilagare, in quest’ultimo decennio, di nuove leggi e norme giustizialiste, liberticide e che imbrigliano e deprimono  sempre più l’economia e la società:  Legge Severino, Traffico d’influenze, Autorità anticorruzione, Nuovo codice degli appalti, le mille norme antimafia, le nuove leggi sui falsi in bilancio, Legge Spazzacorrotti, Leggi sul caporalato, Decreto dignità, e così via; leggi talvolta anche animate da buone intenzioni, ma di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno. Come effetti di certo c’è l’aumento dello squilibrio dei poteri costituzionali sempre a favore di quello giudiziario che gode sempre più di quell’asse con il mondo dell’informazione. A fronte di tutto ciò mi permetto di segnalare anche il silenzio e l’inerzia della Corte Costituzionale. E in questo clima e in questo torbido intreccio, prosegue l’operazione giustizialista contro il nemico politico di turno, che ultimamente aveva preso di mira anche Matteo Renzi (l’unico leader politico della sinistra che ha tentato di spezzare queste catene e ridare dignità e responsabilità alla politica); ma adesso il nemico pericoloso di turno è Salvini. E pur di farlo fuori per via giudiziaria, viene dato in pasto al giustizialismo, e inquisito, come ministro della Repubblica, per la contorta vicenda delle navi che trasportano immigrati: una cosa gravissima, perché al di là delle questioni di merito, la politica suicida ha consegnato nelle mani delle procure anche la politica estera. Dunque, l’emergenza c’è tutta. Bisogna rompere e seppellire questo nefasto e antidemocratico intreccio politico-mediatico-giudiziario. Riequilibrare questo rapporto tra la politica che rappresenta il potere legislativo ed esecutivo e l’ordine giudiziario. Ciascuno ritorni nel suo alveo costituzionale e i mezzi di informazione, gli intellettuali, la smettano di fare i ventriloqui e i fans delle procure. È una battaglia di civiltà, di libertà, di democrazia, e serve anche a rimettere in carreggiata l’economia e il buon funzionamento di un’Italia che era già depressa ancora prima della pandemia.