Rampe San Marcellino

Dal Corso Umberto I, nel tratto che partendo da Piazza della Borsa è più prossimo a Piazza Nicola Amore, nota anche come i “Quattro Palazzi”, spicca tra gli affollati tetti del quartiere Pendino una cupola grande: il giallo acceso delle fasce che la percorrono verticalmente è alternato al bianco e al nero dei rombi che le riggiole maiolicate compongono sulla sua superficie, creando un contrasto cromatico di forte impatto visivo che un pò evoca influenze arabeggianti e richiama, per somiglianza, quello di alcune cupole della costiera amalfitana.

E’ la cupola della Chiesa dei Santi Marcellino e Festo, realizzata su disegni di Giovan Giacomo di Conforto nel 1645. Una Chiesa che fa parte di un complesso monumentale di straordinario valore storico e rara bellezza, quello di San Marcellino, oggi sede del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Federico II, che si apre sull’omonimo Largo.

Come un faro guida i naviganti verso il porto, così quella cupola diventa la guida e forse la meta di un percorso affascinante attraverso luoghi che, non tanto conosciuti, benchè proprio nelle immediate vicinanze del decumano inferiore, sono stati protagonisti di alcune delle pagine più significative della storia di Napoli.

Sulle Rampe di San Marcellino, che dal basso iniziano a Piazza Portanova, comincia l’ascesa al “Caput Monteronis”, Monterone, quello che era il primo nucleo della città nuova, la Neapolis della seconda metà del VI a.C, di cui proprio esse costituivano la linea di confine.

Al tempo quell’altura era il costone roccioso e tufaceo che si estendeva dall’alto di S.Aniello a Caponapoli fino all’attuale Corso Umberto, dove prima c’era il mare.

Proprio qui, sul colle Monterone, nell’attuale largo San Marcellino, era insediato il Praetorium civitatis, la sede del governo e del tribunale del Ducato di Napoli, la cui vita si è snodata per quasi cinque secoli, dal 661 al 1137, con Sergio VII, l’ultimo dei Duchi di Napoli.

E sempre qui, ai piedi delle rampe, zona ricca di pozzi e bagni, è documentata la presenza di una sinagoga con il suo mikveh, il bagno rituale di purificazione. L’area di San Marcellino fu, infatti, una delle Giudecche di Napoli, dove gli ebrei erano dediti soprattutto alla lavorazione e al commercio dei tessuti.

Prima di arrivare all’apice della scalinata, dove l’una posta di fronte all’altra troneggiano le Chiese di San Severino e Sossio e di S. Marcellino, gradino per gradino si respira ancora la storia di Napoli come città di commercio e di mare. Uno dei pochi superstiti all’operazione di sventramento della città che fu operata con la legge sul “risanamento” del 1885, a valle dell’epidemia di colera che si abbattè su Napoli l’anno precedente, ben conservato e restaurato, il fondaco di San Severino. Così come nelle altre città di mare, i fondaci erano strutture edilizie deputate al deposito delle mercanzie nei locali prospicienti la corte, a livello della strada, e ad alloggio dei commercianti stessi nei livelli superiori. Con l’aumento demografico che via via si andava registrando a Napoli, essi persero la vocazione di “casa-magazzino” del funduq arabo, da cui il termine deriva, per divenire prevalentemente abitazioni delle classi meno abbienti. Accoratamente e minuziosamente li descrive Matilde Serao nelle pagine de “Il ventre di Napoli” come luoghi di miseria e di abbandono, in cui le pessime condizioni igienico sanitarie, il degrado, il sudiciume era il terreno fertile di focolai di infezione, quali appunto si svilupparono nel 1884, in particolare nelle zone del Porto, del Mercato e del Pendino. Fu per questo che quasi tutti i fondaci della zona di Napoli “degradata” furono rasi al suolo per dare spazio alla costruzione del Rettifilo, l’odierno Corso Umberto I.

Come non di rado accade passeggiando tra vicoli e scale, tra la storia e l’arte, si innesta qualcosa che a prima vista lascia perplessi, ma nello stesso tempo dà la misura dell’unicità di questa città, regalando anche un sorriso. E’ quel che succede nell’ultimo tratto della rampa San Marcellino che, diversamente dalla parte iniziale, è abbellita da una fila di piante che costeggia entrambi i lati della scala. Inaspettata, insolita, una parata di oggetti più svariati, evidentemente dismessi e recuperati come portapiante: una vespa, un cavalluccio con le ruote, un tavolino, alcune mensole ricoperte di giocattoli, vasetti e cestini, creano una sorta di mostra permanente di antiquariato “green”. L’artefice di tutto, come si legge in un articolo del Corriere del Mezzogiorno, è un signore che abita proprio sulle rampe di San Marcellino e che ha iniziato durante i mesi del lockdown, una pianta alla volta, un oggetto alla volta, ad adornare la scalinata. Il risultato visivo che ne è scaturito può piacere o meno, ma quel che è certo è che l’intento che lo ho animato in un tempo così “buio”, quale è stato quello in cui esso ha preso corpo, è una dichiarazione di speranza e di amore per Napoli e la sua Rampa San Marcellino.

Scritto da:

Marialaura D'amore

Marialaura D'amore

Laureata in giurisprudenza, lavora nel settore pubblico e nutre un grande amore per l’arte, la storia, le architetture, i musei e i panorami di Napoli, che fotografa nelle sue passeggiate.

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