Ex Convento di San Francesco al Mercatale – Ostra Vetere (AN)


 

Opere provenienti da San Francesco al Mercatale

Cenni Storici

Il complesso di San Francesco al Mercatale Ubicato originariamente nel cuore dell’abitato, nell’antica piazza del Mercatale, oggi piazza della Libertà, il complesso monastico di S. Francesco rappresentò per secoli il principale insediamento religioso di Ostra Vetere. Le opere d’arte scampate alla distruzione e alla dispersione e raccolte nella sede museale coprono l’ampio arco cronologico che dal Quattrocento si protrae fino al Settecento. Esse sono sufficienti a documentare il rapporto privilegiato dei fedeli con un luogo che dovette a lungo richiamare, insieme alla memoria delle antiche origini della comunità, esempi di fede, di dedizione, di stabilità sociale e, infine, di aggiornamento culturale. L’insediamento francescano di Ostra Vetere viene ricordato fin dal 1292, quando papa Niccolò IV invia al convento una preziosa reliquia della croce di Cristo, accordandogli il permesso per la concessione di indulgenze. Risalgono al sec. XVII le prime puntuali descrizioni della chiesa. Edificio originariamente a due navate, esso fu interessato nel 1635 da un restauro radicale. «Ai nostri giorni» rammentano le fonti dell’epoca «detta Chiesa fu ridotta a una sola navata […], levandola dall’architettura Gotica, bassa ed oscura, ad architettura un poco più aggiustata e moderna». Il restauro comportò, come attestano i dipinti presenti nel museo, la sostituzione delle antiche immagini sacre con nuove pale d’altare, così da rendere possibile sia l’aggiornamento dell’iconografia sui più illustri modelli della scuole artistiche baroccesca e ridolfiana, sia la promozione e il rinnovo del culto di santi appartenenti all’Ordine francescano. Al mancato ingresso di opere d’arte significative nel Settecento, corrisponde il declino progressivo del monastero, tanto che all’ingiunzione della sua chiusura, nel secolo successivo, avrebbero risposto quattro religiosi, i soli rimasti ad occupare gli ampi spazi del complesso conventuale. Rientrato il monastero nei primi provvedimenti di soppressione delle corporazioni religiose, seguite all’Unità d’Italia, esso venne secolarizzato nel 1861, passando sotto l’amministrazione del comune che a sua volta lo consegnò in uso all’Abate Parroco, al quale fu concesso di mantenere la chiesa aperta al culto. Ciò non fu tuttavia sufficiente a garantirne la custodia; fu anzi nella disputa, facile da ipotizzare, sulle rispettive competenze dell’ente proprietario e del soggetto affidatario, che si assistette a un degrado repentino dell’edificio religioso, fino alla chiusura nel 1909. L’ultimo atto del monumento secolare fu consumato tra il 1914 e il 1915. Preservato il portale marmoreo romanico della facciata – riutilizzato nella locale chiesa di S. Severo – e rimossi parte degli affreschi del Quattrocento, la chiesa venne rasa al suolo per far posto alla piazza attuale, sulla quale ancora oggi si affacciano, oltre alla torre campanaria e al chiostro, alcuni locali dell’ex monastero.

Opere provenienti da San Francesco al Mercatale

Nelle sale della Pinacoteca sono conservati dipinti, affreschi, opere lignee e maioliche. Grande spazio, in particolare, occupano le opere provenienti dalla Chiesa e dal Convento di S. Francesco al Mercatale. Nella prima sala sono conservati affreschi murari, venuti alla luce e successivamente distaccati alla vigilia della demolizione della Chiesa avvenuta nel giugno 1913, che costituiscono le testimonianze più antiche dell’edificio sacro. Sei profonde e ampie nicchie, ubicate ai lati dell’area presbiteriale e lungo la parete destra della chiesa, ospitavano una galleria di immagini sacre databili negli ultimi decenni del Quattrocento. Tali opere si ricollegano, con ogni probabilità, alla grave pestilenza che attorno al 1470 funestò la Marca. Oltre alla data riportata nella Madonna con Bambino e Santi, potrebbe accreditare tale ipotesi la presenza del San Sebastiano, per secoli invocato contro il morbo insieme a San Rocco. Al pittore Andrea di Bartolo da Jesi, attivo nella stessa epoca nella vicina chiesa di S. Fortunato, nei pressi di Serra de Conti, può essere ricondotto il dipinto con la Vergine e i Santi Giovanni Battista e Antonio Abate. L’opera fortemente influenzata, nel carattere ieratico e arcaico, dai modi del più noto Giovanni Antonio Bellinzoni da Pesaro, conferma i stretti rapporti tra i due artisti, di recente attestati per via documentaria. A distanza di due decenni il pittore di Sant’Angelo in Vado Dionisio Nardini riprese la decorazione della chiesa con il San Martino e che dona il mantello al mendicante, una serie di Santi, dei quali rimane il Sant’Antonio da Padova e un San Domenico con il libro della regola, attualmente disperso, ma documentato sia dalla campagna fotografica dell’inizio del Novecento, sia dal soprintendente Luigi Serra che lo registra nel 1925 presso il Municipio. Se sopravvissuto nella sua interezza il ciclo di Ostra Vetere avrebbe costituito una delle tappe più significative del percorso artistico di Nardini, fortemente segnato dalla cultura figurativa urbinate ruotante intorno al pittore Giovanni Santi, padre di Raffaello. Nella seconda sala trovano posto dei dipinti sicuramente commissionati per l’abbellimento della chiesta di S. Francesco in seguito al restauro del 1635, che trasformò radicalmente la chiesa e che vide edificare un cappella dedicata all’Annunciazione. Per l’arredo ci si avvalse della collaborazione della bottega del noto maestro urbinate Federico Barocci, ottenendo la copia dell’Annunciazione, una delle sue più celebri invenzioni pittoriche. Il dipinto originale, attualmente conservato nella Pinacoteca Vaticana, venne eseguito tra il 1582 e il 1584 per la Cappella dei Duchi di Urbino nella basilica di Loreto. Il successo riscontrato dall’opera è documentato da numerosissime copie realizzate dentro e fuori la bottega del maestro. La versione di Ostra Vetere, impaginata con l’aggiunta dell’Eterno Padre mancante nell’originale, rientra nel novero delle opere condotte con l’utilizzo di cartoni e disegni del maestro e può essere riferita a un allievo e collaboratore di Barocci. A conferma del rapporto privilegiato della comunità monastica di Ostra Vetere con la bottega baroccesca – oberata all’inizio del Seicento da numerosissime richieste per il cui vaglio interviene lo stesso duca Francesco Maria II Della Rovere – rimane inoltre il quadro raffigurante le Stimmate di San Francesco, forse collocato in origine nell’altare maggiore. Si tratta della copia del dipinto eseguito da Barocci per la chiesa di S. Francesco in Urbino. Una pala d’altare replicata, come l’Annunciazione, in decine e decine di esemplari, tanto da divenire nel sec. XVII una delle immagini normative dell’ordine francescano. Con il restauro della chiesa, alla bottega di Barocci subentrò quella di Claudio Ridolfi, il pittore veronese – stabilitosi nel secondo decennio del Seicento nella vicina Corinaldo – erede indiscusso delle fortune del grande artista urbinate, scomparso nel 1612. Tutti i dipinti richiesti per la chiesa di San Francesco, dopo i lavori di ristrutturazione, sono debitori delle invenzioni e dei modi di Ridolfi. Un fatto, quest’ultimo, testimone sia del favore accordato dalla committenza al linguaggio devoto e edificante dell’artista, sia dell’influsso da lui esercitato nel contesto artistico locale.

Per approfondimenti maggiori: www.comune.ostravetere.an.it

 

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