Era solamente un mese fa e Piazza Affari si portava ai massimi dall’esplosione della crisi finanziaria globale del 2008, con l’Ftse Mib a sfondare quota 25.000 punti. Ieri, l’indice risultava sceso sotto i 15.000 punti, ai livelli più bassi dall’estate del 2012, quando infuriava la crisi dello spread e l’euro quasi soccombeva sotto i colpi di una furente speculazione internazionale, salvato in extremis dal famoso “whatever it takes” pronunciato dall’allora governatore Mario Draghi.

Piazza Affari è colata a picco: vietare le vendite allo scoperto o chiudere la borsa?

Ieri, le società quotate a Milano capitalizzavano complessivamente intorno ai 325 miliardi e mezzo di euro.

All’inizio dell’anno, toccavano i 510 miliardi. E appena un mese fa, raggiungevano i 550 miliardi. Da allora, quindi, le perdite hanno toccato i 230 miliardi, specie dopo il crollo più intenso mai registrato da Piazza Affari in un’unica seduta, quello di giovedì scorso, quando l’indice principale è imploso del 16,92%. Quel giorno, la capitalizzazione si è ridotta di 63,5 miliardi.

Quando essa scende, la stampa è solita utilizzare il vero “bruciare” per dare l’idea di un valore andato in fumo. Si tratta di un’immagine fuorviante. Il tonfo di un titolo o anche di un indice non brucia nulla, ma semplicemente trasferisce ricchezza dai venditori agli acquirenti. I primi nel complesso perdono parte del capitale investito, i secondi riescono ad entrare sul mercato a prezzi più bassi e ne approfittano. Non tutti tra coloro che vendono ci perdono, anzi molti hanno l’occasione di chiudere le posizioni aperte a loro tempo e realizzare le plusvalenze sino ad allora virtuali.

Il crollo delle borse mondiali

Un fatto incontrovertibile è, comunque, che oggi la borsa di Milano valga circa il 40% in meno rispetto a un mese fa, segnalando come le nostre aziende vengano percepite meno redditizie per effetto della crisi e che, pertanto, il mercato stia scontando un calo dei fatturati e degli utili.

Unica consolazione: il crollo sta riguardando un po’ tutti. Il Dax 30 di Francoforte ha perso più del 37% nell’ultimo mese, così come il Cac 40 di Parigi. E anche l’indice S&P 500 di Wall Street ha ripiegato di ben il 30% dai massimi storici toccati a febbraio, mentre Londra ha segnato un -32%.

Certo, i livelli di partenza erano ben diversi. Wall Street rimane in forte rialzo dai minimi toccati dopo la recessione del 2008-’09, guadagnando oltre il 115%. La stessa borsa tedesca continua a guadagnare il 50%, mentre a Londra il bilancio resta in attivo di circa il 40%. Viceversa, Milano risulta in calo dei due terzi dal maggio 2007, quando iniziò la discesa arrestatasi nel marzo del 2009, mese in cui New York guidò le ripartenze delle borse mondiali e rispetto al quale segna un +20%. E questa mancata ripresa un po’ rispecchia, pur in versione amplificata, quella della nostra economia, l’unica tra le grandi del pianeta ad essere rimasta indietro rispetto al 2007, l’ultimo anno prima della crisi. Da allora, abbiamo vissuto ben tre recessioni e quella in corso è la quarta, forse la più grave dal Secondo Dopoguerra.

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