Le ricerche archeologiche effettuate nel tempo, con i ritrovamenti di selci scheggiate, testimoniano la presenza umana nel territorio nel periodo paleolitico, probabilmente nelle grotte in vicinanza delle quali furono rinvenute tali selci. Altri reperti, manufatti di bronzo e terracotte, successivamente datati, testimoniano la presenza della civiltà Sicana, nelle grotte a forno presenti in contrada San Nicola, in contrada Scuderi e nella zona rupestre tra la villa comunale e i vecchi quartieri di San Vito e San Calogero. Nell’827 la tribù Berbera vi fondò il casale Manzil-Sindi, costruendo un fortilizio a difesa della comunità e nel punto più elevato una moschea col relativo minareto, oltre una torretta, oggi chiamata “specula” che dovette costituire un provvisorio minareto della prima comunità che si stanziò nel territorio. La consistenza della comunità musulmana nel territorio è confermata dalla presenza di circa sessanta granai, scoperti in contrada Madonna di Trapani, nonché da numerose tombe, mulini ad acqua e ceramiche invetriate, rinvenute in varie località. La moschea ed il minareto rimanevano a testimonianza del periodo arabo fino al 1968. Con la venuta dei Normanni, il territorio del casale Manzil-Sindi prese il nome di Misilindino o Misirindino. Nel 1108 Roberto di Malcovenant, normanno, fondò nel luogo dove era la moschea musulmana, la chiesa di Santa Margherita, da cui il nome del feudo in cui sorse e da cui la diffusione del culto cristiano. Dopo la ribellione degli Arabi e la loro sconfitta ad opera di Federico II di Svevia, il territorio, rimasto privo di popolazione, fece parte del Demanio Regio. Nel 1392 il Misilindino, composto di 11 feudi (Gulfa, Gulfotta, Cannitello, Comuni, Santa Margarita, Carcara, Ficarazzi, Gipponeri, Serafino, Adrigna e Aquila) che in seguito costituirono i territori di Santa margherita di Belice e Montevago, venne concesso dal Re Martino in baronia ad Antonio Moncada di Montecateno. Successivamente la baronia passò ad altri signori, tra cui i Corbera. Fu proprio Antonio Corbera, che nel 1572 ottenne dal Re Filippo II di Spagna il permesso di popolare Misilindino. Così sorsero le prime case e la chiesa di San Vito. Dopo una serie di vicissitudini nella storia della famiglia Corbera e conseguentemente nella storia del feudo, l’ultima figlia di Antonio, Elisabetta, ne cedette la baronia al marito Giuseppe Filangeri che aveva versato tutte le somme necessarie per ottenerla. Così avvenne il passaggio del diritti feudali sul Misilindino dai Corbera ai FIlangeri. Giuseppe Filangeri fu dunque il capostipite dei Filangeri di Cutò, il cui casato venne rappresentato da una corona principesca, soprastante un’aquila bicipite con ali spiegate. Sul petto dell’aquila nove campane, poste a forma di croce, ricordavano le campane suonate dai Filangeri nella rivolta del Vespro Siciliano. Vennero allora costruite la chiesa di Santa Maria delle Grazie, che nel 1628 divenne la prima Matrice, la chiesetta di Sant’Andrea, ad uso cimitero, là dove poi sorse il convento dei Padri Riformati e altri edifici pubblici. La casa dei Giudici e dei Giurati sorse dove poi ci fu il Municipio. Su di essa vennero posti due acroteri, rappresentanti le due compatrone del paese: Santa Margherita e Santa Rosalia. L’impianto urbano originario, tipico del periodo tardo-cinquecentesco, è composto da una trama viaria ortogonale, con ampi compari e corti interne a sacco. Il nuovo centro sorge adiacente al vecchio secondo un andamento planimetrico sinuoso. La sua notorietà tuttavia, più che alla sua storia, è dovuta alla descrizione che ne fa Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nel romanzo “Il Gattopardo”.

I Monumenti e le Opere d’Arte Santa Margherita di Belice

Il Palazzo Filangeri Cutò

È comunemente chiamato come palazzo del Gattopardo, poiché qui trascorse le sue estati d’infanzia Giuseppe Tomasi di Lampedusa, figlio di Giulio Tomasi Principe di Lampedusa e Beatrice Mastrogiovanni Tasca, a sua volta figlia di Lucio Mastrogiovanni Tasca e Giovanna Filangeri, comproprietaria del Palazzo Cutò, successivamente venduto insieme ai terreni a causa dei molti debiti contratti da Alessandro Tasca, fratello di Beatrice. Dimorando a Santa Margherita, Beatrice portò il primo grammofono, allora cilindrico che venne posto sul balcone centrale del palazzo e fatto ascoltare alla popolazione. Era l’incisione della “risata”, che suscitò la generale ilarità della folla presente. Qui il piccolo Giuseppe imparò a leggere e a scrivere. Dai nostalgici ricordi della sua infanzia, che aveva trascorsa in parte a Palermo ed in parte a Santa Margherita, nacquero i “Luoghi della mia prima infanzia” e “Il Gattopardo”, l’opera più importante, dove Giuseppe Tomasi di Lampedusa riporta la descrizione di luoghi, cultura e personaggi più in vista del paese. Il palazzo era stato costruito nel XVI secolo su di un preesistente fortilizio musulmano. Si devono ad Antonio e successivamente a Vincenzo Corbera gli interventi di ampliamento. La sua magnificenza fu raggiunta con Nicolo I Filangeri, il quale vi fece costruire all’interno anche il teatro. Oggi è sede del Municipio.

Il Parco del Gattopardo

Adiacente al Palazzo Filangeri Cutò, il “Parco del Gattopardo” costituisce il patrimonio storico-architettonico e vegetazionale del territorio. Attraverso una convenzione stipulata tra il Comune, l’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana e l’Università degli Studi di Palermo viene curato il “Recupero e ripristino dell’antica ed originaria vegetazione e delle parti architettoniche del parco comunale del Gattopardo in Santa Margherita di Belice”. All’interno è stato recentemente inaugurato il Museo del Gattopardo, cinquant’anni dopo la morte dell’autore, ove è esposta una copia autentica dell’originale manoscritto e del dattiloscritto del Principe, donata da Gioacchino Lanza Tomasi. Le pagine autentiche del Gattopardo rappresentano un’attrazione unica, che insieme alle lettere, agli appunti, alla documentazione e alle foto d’epoca dello scrittore fanno vivere un’esperienza emozionante a quanti visitano il Parco, dove si trova anche un Museo delle Cere in cui è rappresentata una scena tratta dal film “Il Gattopardo” di Visconti. Visitare il Parco è come fare un tuffo nel passato, ma con l’ausilio delle nuove tecnologie, grazie alla presenza di postazioni multimediali che fanno rivivere i saggi critici, i film dedicati al romanzo, le interviste agli attori, etc…

La Chiesa Madre

La sua origine risale alla seconda metà del XVII secolo, quando fu edificata da Alessandro I Filangeri tra il Palazzo e l’oratorio del Santissimo Rosario. L’interno era ad un’unica navata, con cappelle laterali e volta a botte; tutta la superficie muraria interna era completamente coperta da preziose decorazioni in stucco dorato, in marmo ed affreschi realizzati dal Meli e dal Sesta (1854-1870). L’altare maggiore era impreziosito da un’edicola con frontone triangolare e colonne corinzie scanalate, che accoglieva la statua lignea seicentesca del Crocifisso, venerato a Santa Margherita con molta devozione, che pare sia stato portato dai primi abitanti dalla chiesa di San Nicolò di Adragna. Attraverso una scala in legno dal parlatorio si collegava al palazzo adiacente. Esternamente il prospetto principale a capanna era arricchito da due campanili perfettamente uguali, uno dei quali recava in alto un orologio. Il timpano triangolare della facciata era sormontato dalla statua di Santa Rosalia, a cui era dedicata la chiesa. La sobria e semplice superficie era interrotta in alto da un’ampia finestra con frontone curvilineo, e in basso dal portale barocco con classiche volute ai fianchi e stemma gentilizio in sommità. Lateralmente la facciata era delimitata da una doppia coppia di paraste con capitello toscano, interrotte da una sporgente cornice marcapiano.

La Villa Comunale

È l’altra zona a verde di Santa Margherita di Belice. Si sviluppa su un’area a forma allungata con un viale che la percorre internamente. All’ingresso a destra, su un rialzo del terreno, si trova una statua che rappresenta per alcuni Pomona o l’Abbondanza per altri l’Autunno, posta nel 1921. Nello slargo all’estremità del viale si trovano: il tempietto a pianta circolare del Cafè Hause fatto costruire nella seconda metà del 1800 dall’allora sindaco Calogero Giaccone, del tutto simile a quello che si trova a Palermo a Villa Tasca e la statua di Flora posta su un basamento nel piazzale antistante il tempietto.