L’Arca del Gusto di Slow Food a difesa di prodotti da salvare nel mondo

Diecimila cibi da catalogare. Il giornalista Piero Sardo: “La biodiversità alimentare è minacciata da logiche produttive e dalla grande distribuzione. Per questo, l’ambientalismo deve essere più solidarista”

L’Arca del Gusto è il progetto principale dell’associazione internazionale Slow Food per catalogare la biodiversità alimentare a rischio di estinzione. Sull’Arca “salgono” specie vegetali e animali domestiche, ma anche selvatiche se legate a tecniche lavorative e usi tradizionali, nonché prodotti di trasformazione quali pani, formaggi, salumi, dolci, anch’essi espressione di saperi contadini e artigiani tramandati da una generazione all’altra.

All’interno della recente edizione del Salone del Gusto-Terra Madre tenuta a Torino, l’iniziativa è stata presentata mediante un’installazione interattiva e multimediale nella quale sono state esposte centinaia di campioni di prodotti da salvare. Attualmente quelli recensiti sono oltre duemila provenienti da una sessantina di paesi.

Un catalogo mondiale che annovera, per fare qualche esempio: il miele di timo degli Iblei, lo sciroppo dolce di agave dell’Ecuador, il kenyano tè Gitugi (la cui coltura è minacciata dal disboscamento e dai cambiamenti climatici), il caffè selvatico di Harenna in Etiopia, la razza bovina autoctona Chick-so della Corea del Sud, le patate andine della Quebrada de Humahuaca, le noci Pindan, chiamate kumpaja dagli aborigeni di West Kimberley in Australia, la jufka che è una pasta essiccata fatta a mano tipica della zona di Dibra nell’Albania orientale (che rischia di scomparire a causa della diffusione della pasta industriale) conosciuta anche dalla comunità Arbereshe trapiantata da secoli in alcune località italiane.

A coordinare il progetto dell’Arca è la Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus di cui è presidente il giornalista Piero Sardo, uno dei fondatori del movimento della chiocciolina.

L’obiettivo dei 10.000 prodotti da catalogare è un traguardo ambizioso e non certo facile da raggiungere, persino per un movimento ben radicato qual è Slow Food…..

“E’ un obiettivo che deve vedere impegnata tutta la nostra base associativa e la rete di Terra Madre. Ci farebbe piacere che anche i consumatori più attenti, i ristoratori più sensibili, coloro che guardano a Slow Food pur senza farne parte, i produttori stessi ci aiutassero in quest’impresa. Occorre un grande impegno per fare emergere e mappare i prodotti, raccontarne storia e caratteristiche e saggiarne le potenzialità organolettiche. Parliamo di unità produttive di piccole dimensioni, a rischio di estinzione potenziale quando non reale. Prodotti generalmente fragili, spesso gestiti da agricoltori, pescatori e artigiani, anziani e demotivati, in molti casi sottopagati, in balia del vento della globalizzazione e dell’omologazione. La biodiversità alimentare è fatta di razze, sementi, di frutta e verdura, di pesci e molluschi, di tutto quello che l’uomo nel suo millenario cammino ha selezionato e perfezionato per la sua alimentazione, e che oggi è potentemente minacciata da logiche produttive e distributive insostenibili”.

Nonostante il dilagare di programmi televisivi, di siti web, di giornali dedicati alla gastronomia sono ancora temi pressoché sconosciuti. Non è assurdo?

“In tutto questo tripudio dedicato a pignatte e fornelli, attraverso programmi, eventi, spettacoli, film, i grandi assenti continuano a essere i prodotti. La giostra mediatica è orientata quasi esclusivamente alla gastronomia intesa eminentemente come cucina, anche nelle forme più esasperate ed elitarie, facendosi altresì complice della moderna commercializzazione che sta espellendo le piccole produzioni alimentari, perché non ama la variabilità, i numeri piccoli, i prezzi equi”.

E’ un quadro sconsolante ma per fortuna c’è chi prova a reagire, penso ad esempio alle organizzazioni del commercio equo e solidale e ad alcune storiche organizzazioni ambientaliste come Legambiente e il WWF con le quali Slow Food da alcuni anni ha rapporti più continui.

“Sono convinto che oggi l’ambientalismo, in generale, deve assumere sempre più una forma solidaristica. E pure Slow Food, a cominciare dalla Fondazione per la Biodiversità, si deve attivare per far capire che a volte realizziamo progetti ambientali e agricoli di utilità immediata, e altre volte tuteliamo l’ambiente perché siamo solidali anche con le generazioni che verranno. Quando ad esempio c’impegniamo per rallentare lo sforzo di pesca offrendo soluzioni alternative di reddito, compiamo un gesto di ambientalismo solidale, poiché cerchiamo di preservare stock di pesce per le generazioni future. Ma dobbiamo riuscire a migliorare la comunicazione, perché le buone pratiche ambientali solidali diventino pratiche comprese, condivise e motivate”

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