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Causa persa: l’avvocato deve prima informare il cliente

26 Maggio 2016 | Autore:
Causa persa: l’avvocato deve prima informare il cliente

Spetta all’avvocato fornire la prova di aver spiegato al cliente la complessità del caso e le poche possibilità di vincere la causa.

Prima di intraprendere la causa, l’avvocato deve sempre illustrare al proprio cliente le difficoltà che presenta il caso e le poche probabilità di vincere la causa. Diversamente è responsabile e deve risarcire il proprio assistito qualora il giudizio termini con una sconfitta. È quanto chiarito dal tribunale di Verona con una recente sentenza [1].

Cause perse: l’avvocato deve informare il cliente

Ogni avvocato ha un dovere di informazione preventiva, nei confronti del proprio cliente, da esercitare all’atto del ricevimento del mandato (la firma, cioè, dell’atto processuale di difesa): egli deve chiarire non tanto, in termini percentuali, le chance di vittoria della causa (un dato che neanche il miglior avvocato potrebbe mai determinare a priori, senza conoscere le difese dell’avversario), quanto piuttosto le difficoltà che il caso presenta, l’esistenza di una giurisprudenza contraria alla tesi sostenuta dal proprio cliente, l’assenza di norme che tutelino, in modo specifico, il diritto rivendicato dall’assistito. Il che si traduce anche nel dovere specifico di far desistere il proprio cliente dall’avviare cause temerarie, quelle cioè che nel gergo comune vengono dette “cause perse in partenza”.

L’avvocato, quindi, dopo aver esplicitato le ragioni giuridiche per cui il giudizio potrebbe portare, con molta probabilità, a una sconfitta, deve anche illustrare i rischi che può comportare la sconfitta: rischi che possono consistere non solo nel rigetto della domanda, ma anche nella condanna alle spese processuali e, addirittura, nell’obbligo di pagare un ulteriore risarcimento del danno alla controparte dovuto, per legge, in caso di liti temerarie.

I due obblighi dell’avvocato

Si può allora dire che esistono due obblighi per l’avvocato: quello di informazione e quello di spingere il proprio cliente nel desistere da azioni pretestuose. Si tratta di una sorta di “consenso informato” che, come nella professione medica, è necessario anche in quella legale, in conformità ai principi di correttezza e buona fede imposti dal codice civile [2].

Tali doveri possono essere assolti anche oralmente; tuttavia, nel caso in cui l’assistito affermi, in un momento successivo, di non aver mai ricevuto, da parte del proprio difensore, alcuna informativa sulle poche chance di vittoria della causa spetterà a quest’ultimo fornire la prova contraria: prova che, evidentemente, è meglio che sia documentale.

Secondo il tribunale di Verona, dunque, spetta all’avvocato che reclama il pagamento della parcella, provare, ove il cliente lamenti di non essere stato informato sulla strategia e sui rischi processuali, di averlo, invece, messo al corrente della complessità del processo.

Secondo il giudice chiamato a decidere la vicenda è sempre necessaria la prova che l’avvocato abbia preventivamente informato il cliente delle tattiche da seguire nei diversi giudizi, o delle loro criticità.

Anche la legge [3], ad ogni modo, è chiara nel precisare che l’avvocato, prima di assumere l’incarico, deve:

  • rendere noto al cliente il grado di complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell’incarico;
  • sconsigliare il cliente dall’intraprendere o proseguire la lite ove appaia improbabile una soluzione positiva o probabile un esito sfavorevole o dannoso [4].

note

[1] Trib. Verona, sent. del 26.01.2016.

[2] Artt. 1175 e 1176 cod. civ.

[3] Art. 9 co. 4, d.l. n. 1/2012.

[4] Cass. sent. n. 16023/02.

Autore immagine: 123rf com

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI ROMA

SECONDA SEZIONE CIVILE

in persona del giudice unico, dott.ssa Carmen Bifano, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella controversia in primo grado iscritta al n. 34162/ 2010 del R.G.A.C., vertente

tra

Li.Se., elettivamente domiciliata in Campagnano di Roma, via (…), presso gli avv. Ro.Ca. e Si.Ci. che la rappresentano e difendono per procura in calce all’atto di citazione;

– parte attrice –

e

Comune di Roma, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in Roma, via (…) presso l’Avvocatura Comunale e rappresentato e difeso dall’avv. Cr.Mo. per procura generale alle liti per atto Notaio G.Ma. del 5.11.2010 n. 49405;

– parte convenuta –
OGGETTO: risarcimento danno da occupazione usurpativa.

CONCLUSIONI DELLE PARTI: la causa è stata assunta in decisione sulle conclusioni che la parte attrice ha precisato riportandosi a tutti i propri atti, ed in particolare alla memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c., richiamando l’attenzione sulle statuizioni della più recente giurisprudenza della Corte di cassazione ed in specie su quelle di cui all’ordinanza n. 11684/2013, e la parte convenuta aveva formulato nella comparsa di costituzione, da intendere qui integralmente richiamate e trascritte.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1.Con atto di citazione notificato in data 25.05.2010 la parte attrice indicata in epigrafe ha convenuto in giudizio l’ente ivi menzionato affinché fosse condannato al pagamento della somma complessiva di Euro 47.000,00 oltre rivalutazione ed interessi “a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati alla medesima per l’impossessamento illegittimo dell’area privata occupata, trasformata in parcheggio pubblico” a decorrere dal mese di ottobre 2009, “..consistente nella striscia di terreno di mq …210” costituita dalla “porzione destra della particella (…) del fgl (…) NCEU di Roma confinante con via (…), via (…), via (…) e Fosso (…)”, di cui si è qualificata proprietaria.

2. Costituitosi tardivamente l’ente convenuto, ha chiesto il rigetto della domanda attorea perché completamente estraneo ai fatti di causa.

3. Assegnati i richiesti termini ex art. 183 co. 6 c.p.c., in seguito a discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c. la causa è stata rimessa in istruttoria mediante assunzione della prova testimoniale richiesta da parte attrice nonché ordine di esibizione documentale ex art. 210 c.p.c. nei confronti dell’ente convenuto.

Indi la causa è stata assunta in decisione sulle conclusioni sopra epigrafate e con l’assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.

4. La domanda attorea è fondata ed in quanto tale va accolta.

Procedendo gradatamente nell’esame delle questioni oggetto di giudizio – ex art. 276 c.p.c. – seppur con il contemperamento, ove possibile e rilevante, della “ragione più liquida” (cfr. SU, sent. n. 9936 dell’8.05.2014; S.C., VI – L, sent. n. 12002 del 28.05.2014), si rileva in punto di fatto che:

– non è contestato che parte attrice sia proprietaria del fondo di cui ha allegato l’irreversibile e fattuale trasformazione in parcheggio pubblico a decorrere da ottobre 2009; risulta comunque dimostrato mediante atto notarile, consulenze tecniche di parte (cfr. doc. 1 e 4 allegate all’atto di citazione) e documentazione catastale e fotografica (ibidem docc. 3 e 7) che l’area di cui si tratta costituisce una porzione del fondo di maggiore estensione, oggi identificato al NCEU come particella n. (…) del Foglio (…), pervenutole in morte del padre, avvenuta nel 1977, e per successivo atto di divisione con sottoscrizioni autenticate da Notaio Ca.Nu. in data 24.10.1984 – rep. n. 10687 – (cfr. ibidem, doc. 8 con planimetria e frazionamento catastale allegati);

– risulta altresì dimostrato che l’area in questione, campita in verde nella planimetria catastale allegata alla relazione tecnica sub doc. 1 dell’atto di citazione, era completamente coperta di canne le quali raggiungevano quasi la metà della carreggiata della strada confinante, era delimitata da recinzione costituita da paletti di legno e rete metallica oltre la quale venivano abbandonati rifiuti ingombranti, quali calcinacci, motorini e lavatrici, ed inoltre che tra il 2009 ed il 2010 la porzione di fondo in esame è stata dapprima bonificata e livellata, previa rimozione della suddetta recinzione, e successivamente trasformata nell’attuale area parcheggio aperto al pubblico, quale ben visibile nelle foto prodotte da parte attrice con la memoria ex art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c. (cfr.: le concordi dichiarazioni testimoniali di: Ma.Ca., la cui impresa ha eseguito i lavori di trasformazione oggetto di causa, Pa.Co., geometra incaricato da parte attrice anche della precedente sanatoria dell’immobile abusivo dalla stessa realizzato nel fondo in questione – ud. del 13 07 2012; Cl.Al., autore della recinzione – ud del 21.09.2012 -);

– il teste Ma.Ca., con riferimento alla cui credibilità ed attendibilità non emergono ragioni per dubitare, attesa l’estraneità ad entrambe le parti in causa ed il carattere dettagliato della narrazione compiuta, ha testualmente dichiarato, per quanto qui interessa,: “ho emesso fatture a carico del Comune di Roma e precisamente a carico del Dipartimento che si occupa delle Periferie, sito in viale (…) non ricordo se fosse il 16 o il 19. Ho ricevuto il pagamento di queste fatture dal Comune di Roma mediante bonifico in favore della Et.Am. ed è stato il Dipartimento che si occupa delle Periferie che ha affidato la commessa ad Et.Am.; abbiamo fatto un contratto, ma non mi sembra a seguito di gara. ADR Con il Dipartimento ho avuto a che fare con il Suo Direttore prof. Co., in quanto RUP, e poi con Ca.St. che è un impiegato del Dipartimento che seguiva i lavori, era lui la persona incaricata dal Dipartimento di seguire i lavori. Tutto veniva firmato da Co. Ad.Ci.: formalmente l’oggetto del contratto con il Comune di Roma era la messa in sicurezza del fosso. Ma il progetto prevedeva la realizzazione del parcheggio. Anzi devo dire che il progetto prevedeva più parcheggi e cioè un’alternanza di aree verdi e parcheggi. Non ricordo se l’incarico al professionista esterno che ha predisposto il progetto l’ho dato io o il Comune di Roma. Non ricordo chi abbia pagato il progettista né me ne ricordo il nome, ricordo solo che era un ingegnere. Posso però

precisare che la realizzazione dei parcheggi e messa in sicurezza del fosso non erano lavori distinti ma costituivano un’unica opera per la quale, come detto, sono stato pagato dal Comune di Roma”.

– in ottemperanza all’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., avente ad oggetto fatture e mandati di pagamento relativi ai lavori di cui si tratta, l’amministrazione convenuta ha depositato nota del 10.07.2012 a firma dell’ing. Ma.Ma., quale dirigente del Dipartimento Politiche per la Riqualificazione delle Periferie, in cui si rappresenta che il fondo in esame “non risulta essere stato oggetto di OO.SS.”, nonché ulteriore precedente nota del 29.11.2010, sottoscritta dal medesimo dirigente, e già in atti, in cui si rappresenta che “l’area in questione .risulta avere destinazione pubblica ed in particolare servizi pubblici, parcheggio e strada pubblica” in base al “Piano Particolareggiato n. 13 “Montespaccato” approvato con Delibera di c.c. 198 del 20/10/03″.

5. Sulla base degli elementi sin qui descritti, si ritiene possano essere raggiunte le seguenti prime conclusioni:

– attesa la credibilità e attendibilità del teste Ca., l’inconfigurabilità di un interesse di costui a dichiarare il falso in ordine alle circostanze sopra riportate e d’altro canto la mancanza di elementi probatori positivi di segno contrario, ex art. 2729 c.c. le opere di trasformazione in parcheggio pubblico della porzione del fondo di proprietà di parte attrice sopra identificata, risultano riconducibili alla condotta materiale del Comune di Roma, non avendo quest’ultimo allegato l’esistenza di alcun provvedimento idoneo a legittimarla.

6. In punto di diritto si osserva che:

– l’inclusione proprio dell’area trasformata in parcheggio nel piano particolareggiato con finalità pubblicistiche (cfr.: stralcio della zonizzazione approvata con delibera del c.c. 198 del 22.10.2003, allegata alla comunicazione a firma del dirigente ing. Ma., doc. 2 di parte convenuta), non caduca di per sé la posizione di diritto soggettivo del relativo proprietario in quella di interesse legittimo né di per sé legittima l’occupazione e la trasformazione del fondo da parte della P.A., dovendo la stessa, a tal fine, comunque adottare e notificare un decreto di occupazione;

– l’omessa adozione di siffatto decreto implica la qualificazione illecita dell’occupazione e della conseguente irreversibile trasformazione del fondo di parte attrice;

– mutatis mutandis, viene infatti in considerazione il sin qui costante principio secondo cui “L’approvazione del piano di lottizzazione (ossia di pianificazione di dettaglio equiparabile al piano particolareggiato) da parte del Comune equivale a dichiarazione di pubblica utilità, ma siffatta dichiarazione non è da sola sufficiente per l’affievolimento del diritto soggettivo del privato, essendo priva di effetto ablativo e, tanto più, di effetto apprensivo – occupativo, occorrendo a tal fine un decreto di occupazione. Sicché, in assenza di un provvedimento amministrativo volto all’occupazione dell’area di proprietà privata, l’attività posta in essere dall’impresa incaricata dei lavori di urbanizzazione, nell’ambito del piano di lottizzazione – nella specie concretatasi nell’apertura di un passaggio prima inesistente – costituisce mera attività materiale, con la conseguenza che la giurisdizione sull’azione possessoria proposta dal privato interessato spetta al giudice ordinario” (S.U. ord. n. 21579 del 10.10.2011; cfr. altresì: S.U., sent. n. 233 del 10.04.1999);

– nel caso di specie le suddette conclusioni risultano inoltre corroborate dalla circostanza per cui, alla data in cui sono iniziati i lavori di trasformazione dell’area di proprietà di parte attrice a prescindere da un qualsiasi forma di coinvolgimento di quest’ultima, il suddetto vincolo di destinazione, di cui parte convenuta neppure ha allegato il rinnovo, aveva già perso efficacia.

7. In ordine alla tutela risarcitoria chiesta in via esclusiva da parte attrice si rileva che quest’ultima ha parametrato il danno patrimoniale subito al valore venale della porzione di fondo trasformata in parcheggio pubblico, seppure con la decurtazione derivante dal vantaggio che essa ha riconosciuto di aver ricevuto per effetto della bonifica di una zona in “condizioni non ottimali” (cfr. pg. 4 dell’atto di citazione).

– In materia, la recente pronuncia delle SSUU civili della Corte di Cassazione, di cui alla sentenza n. 735 del 19.01.2015, al fine di risolvere il contrasto giurisprudenziale registrato in ordine alle implicazioni applicative delle molteplici pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che hanno statuito l’incompatibilità con il sistema giuridico di relativo riferimento, ed in particolare con il principio di legalità e la tutela del diritto di proprietà da questo riconosciuti, della fattispecie, di origine giurisprudenziale, dell’occupazione appropriativa (ex plurimis: Sc. c. Italia n. 3, 6 marzo 2007; Sc. c. Italia, 12 gennaio 2006; Ca. c. Italia, 15 luglio 2005), hanno affermato che

– “alla luce della costante giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, quando il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell’Amministrazione si configurano, indipendentemente dalla sussistenza o meno di una dichiarazione di pubblica utilità, come un illecito di diritto comune,

– che determina non il trasferimento della proprietà in capo all’Amministrazione, ma la responsabilità di questa per i danni.

– In particolare, con riguardo alle fattispecie già ricondotte alla figura dell’occupazione acquisitiva, viene meno la configurabilità dell’illecito come illecito istantaneo con effetti permanenti e, conformemente a quanto sinora ritenuto per la c.d. occupazione usurpativa, se ne deve affermare la natura di illecito permanente, che viene a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente.

– A tale ultimo riguardo, dissipando i dubbi espressi dall’ordinanza di rimessione, si deve escludere che il proprietario perda il diritto di ottenere il controvalore dell’immobile rimasto nella sua titolarità.

– Infatti, in alternativa alla restituzione, al proprietario è sempre concessa l’opzione per una tutela risarcitoria, con una implicita rinuncia al diritto dominicale sul fondo irreversibilmente trasformato (cfr. e plurimis, in tema di occupazione c.d. usurpativa, Cass. 28 marzo 2001, n. 4451 e Cass. 12 dicembre 2001, n. 15710);

– tale rinuncia ha carattere abdicativo e non traslativo: da essa, perciò, non consegue, quale effetto automatico, l’acquisto della proprietà del fondo da parte dell’Amministrazione.

In applicazione di tali principi, si osserva che, in assenza di ogni contestazione di parte convenuta in ordine alle allegazioni assertive di parte attrice e ai dati esposti nelle relazioni tecniche da essa prodotte, si ritiene ragionevole e congruo per l’area di cui si tratta il prezzo al metro quadro di Euro 250,00 ivi indicato. Si ritiene, tuttavia, debba essere maggiormente valorizzato il beneficio tratto dalla stessa parte attrice, che nella restante parte del suo fondo ha realizzato una costruzione di cui ha chiesto la sanatoria, dalla generale bonifica e riqualificazione di tutta la zona, quale derivata dalla realizzazione del parcheggio pubblico in luogo di un canneto utilizzato di fatto come discarica. Pertanto, posto che dai dati presenti nella relazione tecnica in atti (cfr. doc. 4 di parte attrice) relativi alla estensione dell’area trasformata in parcheggio, la stessa risulta estesa mq. 210,00, l’applicazione

di una riduzione del complessivo valore venale prossima al 30%, determina una liquidazione del danno patrimoniale in sorte capitale, di Euro 37.000,00.

Le modalità con cui i fatti si sono svolti e soprattutto la disdicevole vicenda rappresentata dall’incapacità dell’amministrazione pubblica di offrire chiarimenti alla parte attrice che pure li ha stragiudizialmente richiesti tramite gli attuali patrocinatori (cfr. missiva dell’8.01.2010: doc. 2 di parte attrice), giustificano altresì la meritevolezza di un ristoro dell’ingiusta lesione che parte attrice ha ricevuto all’interesse quale privato e quale cittadino ad una esistenza pacifica e libera da indebite aggressioni – ex art. 2 Cost. -.

Tale pregiudizio viene liquidato equitativamente in Euro 3.000,00 in misura prossima, per difetto, al 10% del riconosciuto danno patrimoniale.

Al fine di compensare parte attrice della mancata disponibilità di tale importo, viene altresì riconosciuto il suo diritto agli interessi legali sullo stesso, di anno in anno rivalutato, a decorrere dal 31.10.2009 sino al soddisfo.

8. Le spese seguono la soccombenza onde sono poste a carico del Comune di Roma e liquidate, conformemente alla nota spese depositata, in complessivi Euro 7640,00 di cui Euro 386,00 per spese, Euro 1620,00 per fase studio, Euro 1147,00 per fase introduttiva, Euro 1720,00 per fase di trattazione ed istruttoria ed Euro 2767,00 per fase decisionale, oltre spese forfetarie in ragione del 15% ed oneri previdenziali e fiscali come per legge.

P.Q.M.

il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla controversia in epigrafe indicata, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, così provvede:

-) condanna il Comune di Roma al pagamento in favore di Li.Se. del complessivo importo di Euro 40.000,00 oltre interessi legali sulla somma di anno in anno rivalutata a decorrere dal 31.10.2009 al soddisfo, a titolo di risarcimento dei danni da essa subiti a causa della trasformazione in parcheggio pubblico della striscia di terreno estesa mq 210, costituente porzione dell’area di maggiore estensione di sua proprietà sita in Roma, confinante con via (…), via (…), via (…), identificata al fg. (…) n. (…) del NCEU di Roma;

-) condanna il Comune di Roma al pagamento in favore di Li.Se. delle spese del presente giudizio liquidate in complessivi Euro 7640,00 oltre spese forfetarie in ragione del 15% ed oneri previdenziali e fiscali come per legge.

Così deciso in Roma il 2 maggio 2016. Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2016.

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1 Commento

  1. Buongiorno
    Il mio avvocato non mi ha spiegato che cos’era il CTU poi non ha messo dei documenti importantissimi di visite mediche passate da un medico giuridico. dicendo che non glieli avevo consegnati, però ne ha parlato nel ricorso introduttivo. Il giudice Lo ha creduto sulla parola. Ha detto che senz’altro glielo avevo solo accennato. Il giudice ha anche accettato la testimonianza della collega, socia e amica dell’avvocato che ha fatto una falsa testimonianza. Ha anche detto che per l’appello che l’avvocato non ci aveva chiesto di passare una visita perché pensava che avremmo rifiutato. Come può un giudice trovare delle scuse a un’avvocato che si comporta così ?

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