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Furto agevolato da impalcature: chi è responsabile?

29 Dicembre 2021 | Autore:
Furto agevolato da impalcature: chi è responsabile?

Se l’ingresso dei ladri nelle abitazioni è favorito dalla presenza di ponteggi per lavori in corso, l’impresa appaltatrice e il condominio devono risarcire?

I topi d’appartamento dovrebbero chiamarsi scimmie, o acrobati. La loro capacità di arrampicarsi sulle facciate esterne degli edifici, sfruttando i cornicioni, le grondaie e ogni altro elemento architettonico, è facilitata parecchio dalla presenza di impalcature per lavori in corso. Tubi, intelaiature e ponteggi passano proprio di fronte ai balconi e alle finestre; e a quel punto saltare dentro, alzare la serranda, forzare la chiusura, rompere i vetri e penetrare all’interno degli appartamenti è un gioco da ragazzi. Inoltre, la consueta copertura dei ponteggi con un telone verde scuro, o di altro colore neutro, facilita queste manovre di intrusione e nasconde la vista dei ladri dall’esterno, specialmente quando agiscono di notte. Chi è responsabile quando il furto è agevolato da impalcature?

Ovviamente, non stiamo parlando della responsabilità penale, che ricade sempre ed esclusivamente sugli autori del furto commesso, ma della responsabilità civile che dà luogo al risarcimento dei danni: il loro importo sarà pari al valore delle cose rubate più le spese per riparare le eventuali effrazioni. D’altronde, gli autori dei furti in appartamenti raramente vengono scoperti e rimangono quasi sempre ignoti; perciò per essere risarciti è meglio puntare su soggetti ben individuabili e patrimonialmente solidi, specialmente quando sono stati rubati oggetti di ingente valore.

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione [1] ha affermato i criteri per attribuire la responsabilità risarcitoria nei casi di furto favorito dalla presenza di un’impalcatura. Prima di esaminare l’esito, ti anticipiamo che i soggetti che entrano in gioco in questi casi solitamente sono due: l’impresa appaltatrice dei lavori, che ha montato i ponteggi e ha assunto gli operai incaricati, e il condominio che ha commissionato le opere a questa ditta (di solito, ciò avviene stipulando un contratto di appalto dei lavori). A seconda dei casi, la responsabilità può anche essere attribuita a entrambi, in modo concorrente, sia pure per titoli diversi; bisogna, quindi, vedere, caso per caso, chi ha violato i propri rispettivi obblighi di sicurezza e di vigilanza sul fabbricato e sulle strutture montate attorno ad esso.

Impalcature che agevolano i furti: responsabilità della ditta

L’art. 2043 del Codice civile sancisce il fondamentale principio secondo cui: «Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno». Si tratta della responsabilità risarcitoria che deriva da un fatto illecito. Ma nel nostro caso può essere ritenuto responsabile chi, come una ditta esecutrice di lavori edili, colloca delle impalcature e, solo per questo, agevola indirettamente l’ingresso dei ladri nelle abitazioni?

Siccome la presenza di impalcature e ponteggi facilita le intrusioni, le imprese che posizionano queste strutture per eseguire i lavori sono tenute a predisporre appositi accorgimenti per scongiurare questo fenomeno. In concreto, queste cautele possono consistere nell’illuminazione notturna, nella guardiania e nel posizionamento di sistemi di allarme. L’impresa che non pone in essere questi basilari sistemi di sicurezza può essere ritenuta civilmente responsabile per i furti avvenuti nell’edificio interessato, se sono stati agevolati dalla presenza delle impalcature grazie alle quali i ladri sono riusciti ad entrare con più facilità negli appartamenti.

Ladri entrano grazie alle impalcature: il condominio è responsabile?

Anche il condominio ha voce in capitolo e deve intervenire nel posizionamento dei sistemi di sicurezza di impalcature e ponteggi, per proteggere le abitazioni private. Questo compito attribuito al condominio deriva sia dalla sua naturale qualità di custode del fabbricato (sancita dall’art. 2051 Cod. civ.), sia in quanto esso, attraverso l’amministratore, è il soggetto tenuto a sorvegliare costantemente sull’operato dell’impresa affidataria degli interventi di ristrutturazione deliberati dall’assemblea.

La Corte di Cassazione [2] afferma da tempo che in sede di stipula del contratto di appalto l’amministratore del condominio deve imporre alla ditta incaricata di adottare gli opportuni accorgimenti tecnici per evitare il facile ingresso dei ladri nelle abitazioni grazie alle impalcature collocate sulle facciate esterne dell’edificio. Il condominio, nella sua qualità di custode del palazzo, dovrà anche assicurarsi che queste misure siano efficaci e siano state effettivamente installate a cura dell’impresa esecutrice dei lavori: anche l’omessa vigilanza è fonte di responsabilità.

Quando c’è responsabilità congiunta dell’impresa e del condominio

Se i ladri utilizzano le impalcature e, avvalendosi di esse, riescono a penetrare negli appartamenti e a compiere dei furti, sussisterà una responsabilità civile congiunta e paritaria del condominio e dell’impresa nei confronti dei derubati, quando si accerta che questi soggetti sono venuti meno ai doveri che abbiamo esaminato. Infatti, in base alle normali regole sulla ripartizione dell’onere probatorio, il danneggiato dovrà provare che il furto avvenuto è stato reso possibile, o quantomeno facilitato, dalle omissioni dell’impresa e/o del condominio nell’adottare le cautele necessarie ad impedire eventi del genere. A tal fine basta una ragionevole probabilità, anche in via presuntiva, del fatto che la presenza di impalcature, ponteggi o altre strutture fisse ha agevolato l’intrusione dei ladri e, dunque, la commissione del furto.

Nell’ultima pronuncia sul tema, la Corte di Cassazione [1] ha condannato il condominio insieme all’impresa alla quale erano stati affidati i lavori di manutenzione straordinaria del fabbricato comune a pagare il risarcimento; questa ditta aveva montato le impalcature lasciandole prive di sistemi di sicurezza e il condominio non era intervenuto. Per l’affermazione della responsabilità solidale dell’impresa e del condominio è stata decisiva la testimonianza resa dai poliziotti intervenuti dopo la commissione del furto: gli agenti hanno riferito che l’azione dei ladri – penetrati in un appartamento situato al quinto piano – era stata «agevolata proprio dalla presenza di un’impalcatura posta a ridosso dell’edificio».

La duplice affermazione di responsabilità è stata fondata su un diverso titolo per ciascuno dei soggetti coinvolti:

  • nei confronti dell’impresa appaltatrice, «per avere omesso la dovuta diligenza nel posizionare l’impalcatura»;
  • a carico del condominio «per omessa custodia» del fabbricato e delle opere presenti.

È stata, infine, esclusa ogni corresponsabilità del derubato: l’appartamento era dotato di porta blindata e le finestre erano regolarmente chiuse. Invece ha pesato contro l’impresa e il condominio la totale «assenza di sistemi di allarme e di illuminazione sulle impalcature». Di seguito puoi leggere per esteso l’ordinanza della Cassazione che abbiamo sintetizzato.

note

[1] Cass. ord. n. 41542 del 27.12.2021.

[2] Cass. sent. n. 6435/2009, n. 26900/2014 e n. 5677/2018.

Cass. civ., sez. VI – 3, ord., 27 dicembre 2021, n. 41542

Presidente Amendola – Relatore Moscarini

Considerato che:

1. F.M.L. , con atto di citazione del 23/6/2006, convenne davanti al Tribunale di Salerno il Condominio (omissis) (di seguito il Condominio) e la ditta (omissis) (di seguito (…)) deducendo di aver subito, nell’appartamento dei propri genitori presso il quale aveva il domicilio, sito al quinto piano del Condominio, un furto di oggetti preziosi per un valore complessivo di Euro 33.925,00, furto agevolato, a suo dire, dalla presenza di una impalcatura, posta a ridosso dell’edificio dalla ditta (omissis) , esecutrice dei lavori di manutenzione straordinaria, di cui i ladri si erano serviti per raggiungere l’appartamento. Chiese, pertanto, la condanna di entrambi i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni.

Il Condominio si costituì in giudizio, sollevando una serie di eccezioni preliminari e chiamandosi fuori da ogni responsabilità, mentre la ditta (…) rimase contumace.

2. Il Tribunale adito, acquisite prove testimoniali e i verbali di polizia giudiziaria redatti dall’agente che era intervenuto sul posto nell’immediatezza dei fatti, ritenne che entrambi i convenuti fossero responsabili: l’impresa appaltatrice, ai sensi dell’art. 2043 c.c., per aver omesso la dovuta diligenza nel posizionare l’impalcatura, ed il condominio, ai sensi dell’art. 2051 c.c., per omessa custodia. Li condannò, entrambi in solido, a risarcire la somma di Euro 33.925,00 alla luce del preventivo in atti.

3. La Corte d’Appello di Salerno, adita dal Condominio, con sentenza del 18/11/2019, ha, per quanto ancora qui di interesse, confermato che la responsabilità di entrambi gli originari convenuti fosse stata provata, sia a mezzo di prove testimoniali sia con riscontri oggettivi, effettuati dagli agenti di Pubblica Sicurezza del Commissariato di (omissis) ; ha escluso l’omessa valutazione di un preteso comportamento colposo della F. nel custodire i gioielli ed ha accolto soltanto il motivo di appello, relativo al quantum di cui ha ridotto l’importo, in via equitativa, ad Euro 10.000.

4. Avverso la sentenza il Condominio (omissis) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.

Ha resistito F.M.L. con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c.. La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Ritenuto che:

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce ” violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avvenuta assunzione di testimonianze de relato actoris, affette da nullità, inutilizzabili ed inidonee a provare il fatto storico del furto, l’utilizzo dell’impalcatura e dei ponteggi da parte dei pretesi ladri nonché in ordine all’appartenenza all’attrice dei beni presuntivamente oggetto di furto”.

La Corte d’Appello avrebbe basato la decisione unicamente su testimonianze de relato actoris, senza che vi fosse la prova diretta del furto, con ciò ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte (Cass., n. 12477 del 31/1/2017) secondo la quale le suddette testimonianze sono nulle se non suffragate da ulteriori risultanze probatorie.

2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce “violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 116 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per mancata valutazione di fatti controversi oggetto di discussione nel precedente grado di giudizio, segnatamente in relazione alla conclamata assenza di un quadro indiziario – oltre che probatorio – idoneo a giustificare la pronunzia di soccombenza del condominio”.

Il ricorrente insiste nella tesi dell’assenza di riscontri oggettivi del furto, di testimoni oculari e del valore meramente indiziario della testimonianza indiretta dell’Agente di Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato di (omissis) .

3. Con il terzo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., dell’art. 116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – l’impugnante censura il ragionamento presuntivo svolto dal giudice del merito, contestando che gli indizi presi in considerazione fossero gravi, precisi e concordanti al netto della inutilizzabilità della testimonianza de relato actoris e dell’assenza di testimoni oculari.

4. Con il quarto motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente lamenta che la corte di merito abbia fatto ricorso alla valutazione equitativa del danno, essendo la stessa subordinata alla dimostrata esistenza di un danno risarcibile non meramente eventuale ed ipotetico ma certo ed alla circostanza dell’impossibilità o estrema difficoltà di prova nel suo preciso ammontare. L’indimostrata esistenza del fatto storico e degli elementi minimi del danno “risarcibile” avrebbe determinato una violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c..

5. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente prospetta “la violazione dell’art. 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – illegittimità della motivazione -mancata valutazione di fatti decisivi ai fini della controversia, oggetto di discussione tra le parti- illogicità della motivazione” per avere omesso di illustrare i criteri per la liquidazione equitativa del danno.

6. Il ricorso è inammissibile.

Tutti i motivi sono volti ad evocare un inammissibile riesame degli elementi di prova, elementi che, lungi dall’essere costituiti dalla sola testimonianza de relato actoris, come ritenuto dal ricorrente, sono stati tutti “oggettivamente riscontrati” dall’agente di polizia intervenuto nell’immediatezza del fatto e confermati da altri testi. Tutti gli elementi riscontrati hanno consentito di ricostruire, in modo univoco, il furto, le modalità di accesso all’appartamento, l’assenza di sistemi di allarme e di illuminazione sulle impalcature, la presenza di porta blindata nell’appartamento.

Ciò premesso, si evidenzia che le singole censure sono tutte prive dei requisiti per la formulazione dei vizi di legittimità che pure enunciano in rubrica di voler denunciare.

6.1 La pretesa violazione dell’art. 116 c.p.c., è in palese contrasto con l’insegnamento di questa Corte, secondo il quale “In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c., è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce

ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.” (Cass., S.U., n. 20867 del 30/9/2020).

6.2 La pretesa violazione dell’art. 2697 c.c., è in palese contrasto con l’insegnamento di questa Corte secondo il quale “La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5) (Cass., 3, n. 13395 del 29/5/2018; Cass., 6-3, n. 18092 del 31/8/2020).

6.3 La pretesa violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in più motivi evocata, contrasta palesemente con l’art. 348 ter c.p.c., che preclude, a fronte di una cd. “doppia conforme”, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione. Esula, peraltro, dal vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato, ex art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass., 3, n. 15276 dell’1/6/2021).

6.4 La pretesa violazione dell’art. 1226 c.c., è in palese contrasto con l’insegnamento di questa Corte secondo il quale “Il giudice deve, anche d’ufficio, procedere alla liquidazione equitativa dei danni di cui riconosca l’esistenza, tanto nell’ipotesi in cui sia completamente mancata la prova del loro ammontare, a causa dell’impossibilità di fornire congrui ed idonei elementi a riguardo, quanto nell’ipotesi in cui, pur essendosi svolta attività processuale per fornire tali elementi, per la notevole difficoltà di una precisa quantificazione, non siano stati ritenuti di sicura efficacia” (Cass., 3, n. 2745 del 27/3/1997; Cass., 2, n. 15585 dell’11/7/2007).

7. Il ricorso è inammissibile.

Il ricorrente è condannato alle spese.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di una somma a titolo di contributo unificato, corrispondente a quella già versata per il ricorso, se dovuta.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.200 (oltre Euro 200 per esborsi), accessori e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

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