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Distanze legali tra gli edifici per evitare demolizione

30 Settembre 2022 | Autore:
Distanze legali tra gli edifici per evitare demolizione

Quando una costruzione troppo vicina alle proprietà confinanti può essere abbattuta o arretrata; quali sono le soluzioni alternative; cosa possono fare i vicini lesi.

Si dice sempre che è più facile distruggere che costruire, ma nel mondo giuridico è vero il contrario. Infatti, per arrivare all’emissione di un provvedimento drastico e irreversibile, come la demolizione di un fabbricato che non rispetta le distanze legali, bisogna compiere numerosi passaggi legali e giudiziari, altrimenti l’immobile resta in piedi. Prevale, insomma, un tendenziale principio di conservazione dell’esistente.

Ad esempio, per capire quanto succede tutti i giorni, una recentissima sentenza della Cassazione [1] ha detto no alla demolizione di un immobile che non rispettava le distanze, perché il limite era diventato consentito da norme più favorevoli, sopravvenute in corso di causa. In questi casi, infatti, spetta al giudice stabilire, d’ufficio, qual è la normativa applicabile al caso esaminato, al di là delle domande formulate dalle parti. E in quella vicenda (che riguardava un edificio adibito ad albergo, completamente ristrutturato e sopraelevato di due piani), durante il giudizio era intervenuta una nuova normativa regionale, che derogava ai consueti limiti legali in favore delle strutture ricettive: i giudici hanno dovuto prendere atto e respingere la richiesta di demolizione.

Gli addetti ai lavori riconosceranno facilmente in questa decisione un’applicazione del noto principio giuridico “iura novit curia“, in base al quale il giudice è libero di dare alla vicenda prospettata dalle parti la qualificazione giuridica che preferisce, così scegliendo le norme applicabili che ritiene più attagliate al caso (si presuppone, cioè, che il giudice conosca talmente bene le leggi da saper sempre trovare quella giusta). In sostanza, esistono parecchie “scappatoie”, perfettamente legali, per evitare la demolizione o, quantomeno, per ridurne l’entità e le conseguenze. Vediamo, dunque, quando e come può essere disposta la demolizione di un fabbricato che non rispetta le distanze legali.

Quali sono le distanze legali minime tra i fabbricati?

L’art. 873 del Codice civile stabilisce che la distanza minima fra due costruzioni non può essere inferiore a 3 metri. È una previsione di massima, che può essere derogata dalle normative edilizie locali, alle quali bisogna sempre fare riferimento.

Per i fabbricati antistanti, di cui almeno uno ha una parete finestrata, la normativa pubblicistica [2], dettata per la tutela della salubrità e dell’igiene (dunque non precipuamente per regolare i rapporti di vicinato) impone una distanza minima di 10 metri.

Quando le costruzioni sono separate da strade destinate al traffico veicolare, le distanze da rispettare sono le seguenti:

  • 5 metri per lato, per le strade larghe meno di 7 metri;
  • 7,50 metri per lato, per le strade di larghezza compresa tra 7 e 15 metri;
  • 10 metri per lato, per strade larghe più di 15 metri.

Il recente Decreto “Sblocca cantieri”, con una norma interpretativa [3], dispone che le distanze legali si riferiscono esclusivamente alle zone urbanistiche omogenee destinate a nuova edificazione (le cosiddette «zone C»), non anche alle zone già totalmente o parzialmente edificate.

Costruzioni in aderenza e sul confine: quali distanze?

Le costruzioni in aderenza, ad esempio quelle che avvengono sul muro di confine o su un muro divisorio, sono soggette ad una disciplina specifica, che può derogare alla distanza minima generale di 3 metri. E, in base al cosiddetto «principio di prevenzione», in queste situazioni di regola “vince” chi ha costruito prima, anche senza aver ottenuto il preventivo consenso del proprietario confinante, così riuscendo a mantenere intatta la propria costruzione. Per alcune applicazioni pratiche, leggi “Tettoia in aderenza: quando va rimossa?” e “Quando è possibile costruire sul confine?“.

Demolizione fabbricato per mancato rispetto delle distanze

Se un fabbricato risulta costruito in violazione della normativa sulle distanze legali, può essere demolito, con un provvedimento emesso dal giudice civile in accoglimento del ricorso proposto dai vicini e dai confinanti lesi, o con un ordine di demolizione emanato dal Comune competente, nel caso in cui la costruzione realizzata integri anche un abuso edilizio (per conoscere l’iter dettagliato, leggi “Chi demolisce un’opera abusiva?“). Ma tutto ciò, come vedremo adesso, non è un risultato scontato.

L’arretramento della costruzione che viola le distanze legali

Ci sono delle soluzioni intermedie tra la demolizione totale e il mantenimento della struttura edilizia che viola le distanze legali: la più frequente nella pratica è quella dell’arretramento della costruzione, in modo da ripristinare il limite tra un fabbricato e quelli circostanti o prospicienti.

L’arretramento è una valida alternativa alla cosiddetta «riduzione in pristino stato», cioè il classico provvedimento che le parti lese dalla violazione delle distanze chiedono al giudice di emanare, in base a quanto dispone l’art. 872 del Codice civile, per eliminare la situazione illegittima e ristabilire le corrette proporzioni di distanza tra gli edifici; si noti che, oltre alla riduzione in pristino, la norma civilistica consente anche di chiedere il risarcimento del danno arrecato dalla violazione delle distanze legali. Infatti questa «azione di ripristino» delle distanze è una sorta di risarcimento in forma reale anziché pecuniaria, mediante la quale il giudice condanna il soccombente a fare qualcosa (rimuovere, o spostare, la costruzione) anziché a pagare una somma risarcitoria; ma le due azioni possono cumularsi.

Demolizione parziale: quando?

Secondo la giurisprudenza, il proprietario confinante non può pretendere la demolizione di tutto il fabbricato quando è sufficiente abbattere solo la parte di esso che, alla stregua delle misurazioni effettuate, risulta in contrasto con le disposizioni di legge. Ad esempio, nel caso del balcone eccessivamente sporgente, e perciò invasivo, basterà riportare il prospetto della costruzione entro i limiti legali, così demolendo solo le parti eccedenti, e non certo l’intero edificio.

Quando l’ordine di demolizione viene emesso dal Comune

Il Comune del luogo ove è ubicato l’immobile può emettere un ordine di demolizione del fabbricato costruito abusivamente, cioè senza il preventivo rilascio del titolo edilizio richiesto, come il permesso di costruire o la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività). La giurisprudenza [4] ritiene legittimo l’ordine di demolizione comunale anche quando è fondato sulla violazione delle distanze legali tra i fabbricati, che integra pur sempre una violazione della normativa urbanistica ed edilizia vigente.

In alcuni casi, però, e specialmente quando le difformità sono lievi, il proprietario responsabile della costruzione può sanare gli abusi chiedendo ed ottenendo il rilascio del permesso di costruire in sanatoria [5] Per conoscere la procedura da seguire, i tempi ed i costi leggi “Sanatoria edilizia: come funziona?“. In ogni caso, l’accoglimento della domanda in sanatoria da parte del Comune non preclude ai confinanti lesi la possibilità di agire in sede civile per ottenere il rispetto delle distanze violate, attraverso i provvedimenti giudiziari che abbiamo indicato, fino alla demolizione con ripristino dei luoghi nel precedente stato.

note

[1] Cass. ord. n. 28264 del 28.09.2022.

[2] D.M. n. 1448/1968.

[3] Art. 5, co. 1, lett. b-bis) L. n. 55/2019.

[4] Cons. St. sent. n. 3793/2022.

[5] Art. 36 D.P.R. n. 380/2001.

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