Il film è “rosa”, com’era il colore della sua barca, “Ella's Pink Lady”. Si chiamava Pink Lady, in principio, finché non è salita a bordo la casa cosmetica francese Ella Baché. E’ un bel film, True Spirit, ora in distribuzione planetaria su Netflix, che celebra i sogni e la forza della determinazione di Jessica Watson, allora una ragazzina quando circumnavigò il mondo in barca a vela, sola, non stop e senza assistenza navigando per 210 giorni da Sydney a Sydney in buona parte nell’emisfero australe, passando i Quattro Capi (Horn, Buona Speranza, Leeuwen, South West Cape in Tasmania). E non conquistando, ma la situazione è ancora controversa, il record della più giovane ad averlo fatto.

Teagon Croft, l'attrice che interpreta Jessica Watson in True Story

 

Jessica, classe 1993, nasce a Gold Coast nel Queensland, Australia, da genitori neozelandesi (ha doppio passaporto). Genitori con il gusto dell’avventura, gente normale, non certo ricconi. La famiglia - Jessica, la sorella maggiore Emily, i minori Tom e Hannah - vive per cinque anni in barca, poi su un autobus a due piani riattato. Lei, ovviamente, come tanti altri bambini in Australia, si avvicina alla vela, la pratica, in barca si sente a casa. Tanto da sognare, quando ha undici anni, di emulare un ragazzo tedesco-australiano, Jesse Martin, che nel 1999 a 18 anni compie il giro del mondo in solitaria e non stop in 328 giorni. Legge il libro di quest’ultimo e sogna.

Nel film, Jessica ha un coach. Un personaggio inventato. Nella vita reale ne ha due, di angeli custodi. Sono Don McIntyre e Bruce Arms, valenti velisti, il primo oggi organizzatore di regate intorno al globo e già in gara nel Boc Challenge, il giro del mondo in solitaria a tappe; il secondo con un record del giro dell’Australia in solitaria non stop nella sacca da marinaio. Sono loro a prepararle la barca, uno Sparkman & Stephens 34 Classic vecchio di vent’anni (10,23 metri di lunghezza), ad assisterla, a guidarla. Si aggiungono a suo sostegno, poi, un altro velista, Tony Mowbray, e il milionario Richard Branson.

La barca di Jessica era uno S&S di 34 piedi

 

L’impresa

Ci sono voci contrarie al suo progetto. Le autorità del Queensland sconsigliano l’impresa, ma nessuno la ferma. Del resto, non ci sono leggi che lo possano fare. Non di meno i genitori, Roger e Julie, che nonostante la comprensibile paura, preoccupazione la appoggiano.

E la sua sarà davvero una grande impresa. Pensate che cosa significhi passare capo Horn a sedici anni su una barchetta come quella. Da sola. E che cosa voglia dire stare 210 giorni in mare, sempre in solitaria, tra tempeste, bonacce, pericoli, sette tra scuffie e “ribaltamenti”. Ne corre parecchi, Jessica. A cominciare dalla collisione cui va incontro, con una nave cargo da 63 mila tonnellate, durante la prima prova in mare (s’era addormentata, l’allarme non è scattato, ci rimette l’albero). Ma non prende scorciatoie, non osserva tappe, non passa nemmeno nello Stretto di Bass, sulla via del ritorno, tra l’Australia e la Tasmania, che è un tratto di mare comunque tosto, ma traguarda l’estremità a Sud della Tasmania (il quarto Capo).

Start il 1° maggio 2009, arrivo il 15 maggio 2010 - tre giorni prima del suo 17° compleanno. Le regole dicono che debba passare l’Equatore, lo fa due volte, modificando la rotta che assume la forma di una cuspide e poi ritorna verso Sud (Jarvin Island, Kiritimati). Ovviamente, quando tocca terra a Sydney, davanti a una folla di 80 mila persone e alla sua famiglia, è il tripudio. Giustamente meritato.

Il record negato

Chi compie imprese del genere lo fa per ispirare gli altri, come ha detto Jessica, ma anche per passare alla Storia. In questo caso, c’è il primato del più giovane ad aver circumnavigato il mondo in solitaria - migliorando dunque quello di Jesse Martin -, e il relativo record di velocità, che è assegnato dal World Sailing Speed Record Council. E qui, qualcosa non torna. E’ Sail-world, una testata specializzata anglofona, a ripercorrere la sua navigazione e a contestarla. Dicono che non ha circumnavigato il mondo, perché non ha coperto le 21.600 miglia necessarie, quelle della circonferenza della terra. Ne avrebbe fatte 2 mila in meno, perché non si sarebbe spinta abbastanza a Nord dell’Equatore. Jesse Martin, ad esempio, avrebbe aggiunto 70 miglia alla fatidica quota delle 21.600.

E’ polemica, delusione. La manager di Jessica contesta questa conclusione, afferma che la sedicenne ne avrebbe coperto ben di più (23 mila era l’obiettivo). I giornalisti specializzati - c’è tra loro Bob Fischer, decano delle penne della vela britanniche, oggi scomparso - insistono. Jessica spiega in alcune interviste che aveva chiesto lumi al World Sailing Speed Record Council, sulla rotta da seguire, preventivamente e inutilmente. E poi, ancora da parte sua, è stato detto che l’obiettivo era quello della più giovane, non un record mondiale. Anche perché l’organo di controllo, sempre il WSSRC, alla fine ha detto che non riconosceva record per velisti sotto i 18 anni, così da non invogliare possibili emulatori.

Gli altri

Non è stato così. Se ripercorriamo l’epopea della vela “young”, c’era stato Robin Lee Graham, che aveva 21 anni e 56 giorni quando fece il giro del mondo da solo, nel 1974, ispirando il film “The Dove” prodotto da Gregory Peck. In tempi più recenti, oltre a Jesse Martin nel 1999, ci sono stati David Dicks, australiano, 17enne, che circumnaviga il globo nel 1996 ma riceve assistenza; Zac Sunderland, americano, 17enne, che compie il giro del globo ma a tappe in 396 giorni nel 2009 (la sorella Abby lo emulerà nel 2010, sarà dichiarata dispersa nell’Oceano e poi salvata). E ancora, Mike Perham, inglese, che nel 2009 sempre a 17 anni gira il mondo in solitaria in 284 giorni, ma il suo non era non stop ed era passato dal canale di Panama (era stato però il più giovane ad attraversare l’Atlantico, a 14 anni nel 2007).

Infine, Laura Dekker, la più giovane di tutte, olandese-neozelandese-tedesca, il caso più clamoroso. Vuole partire a 14 anni, le autorità la bloccano, glielo impediscono, l’affidano ai servizi sociali. Ma alla fine lei riesce a salpare, a 15 anni, nel 2010 e a portare a termine il suo sogno, dopo 366 giorni di navigazione. Il primato è il suo, anche se non riconosciuto sempre per non incoraggiare questo tipo di imprese.

La vita di Jessica

Spesso ci si chiede che cosa accada dopo le grandi imprese. Nel caso di Jessica, ci sono stati premi, riconoscimenti, fama (l’Ordine d’Australia, la onorificenza massima). E’ stata anche la prima donna skipper della Rolex Sydney-Hobart, una regata tostissima, in cui è arrivata seconda nella sua classe con un equipaggio di giovani, e la più giovane ad averla terminata. Ha studiato (MBA), è stata nominata Giovane rappresentante delle Nazioni Unite per il World Food Programme, che l’ha portata nei campi profughi in Laos, Giordania, Libano. Ha scritto due libri, quello sulla sua storia (True Spirit, da cui è stato tratto prima un docufilm narrato da Richard Branson e ora il film) e un romanzo (Indigo Blue). E ancora, ha fondato una start-up nel campo marino, Deckee; tiene conferenze come speaker ed è consulente di Deloitte’s Human Capital.

Pochi giorni fa ha preso parte alla “prima” di True Spirit a Melbourne. Prima della proiezione, Jessica ha promosso il programma sociale in cui è impegnata. Nel 2010 ha perso il suo compagno, un altro velista, ucciso da un ictus cerebrale a 29 anni. E lei, oggi è in prima fila una campagna per la prevenzione di queste tragedie con la Stroke Foundation.

“Dal mio viaggio - scrive - ho imparato che ciascuno di noi può gestire le sue paure e sviluppare la resilienza necessaria per superare le battute d’arresto e raggiungere i piccoli traguardi che, messi insieme, portano a un grande e audace obiettivo”.

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