MILANO. “Viva l'Italia antifascista”. Il grido di Beppe Sala in piazza Fontana parla all'urlo del loggionista della Scala la sera della Prima e compatta la piazza riunita per la commemorazione della Strage alla Banca Nazionale dell'Agricoltura del 12 dicembre 1969. «Non ci sono incertezze sulla provenienza e sul ruolo dell'eversione nera come i giudici hanno ricordato - ricorda il sindaco di Milano dal palco della commemorazione -. Il presidente Mattarella quattro anni fa faceva cenno all'anima di un popolo, di una città. Oggi quell'anima è ancora qua e noi siamo ancora qui ad abbracciarla, a difenderci e a farci forte con lei. E a dire Viva l'Italia antifascista». E invece dal governo «sempre mezze dichiarazioni» dell'antifascismo mentre «una presa di distanza da certe posizioni» non antifasciste «sarebbe auspicabile». Sala chiama direttamente in causa Giorgia Meloni: «Chiederemo sempre, a qualunque governo, di aiutarci a cercare la verità - aggiunge ancora il sindaco -. A Milano non ci sarà spazio per odio e nazionalismi», aggiunge ancora ricordando che '«quando ci guardiamo in giro, anche nella nostra cara vecchia Europa, non possiamo dire che non ci siano segnali di fascismo montante. Non dobbiamo drammatizzare, ma dobbiamo responsabilizzare. Per questo non dobbiamo mai finire di ricordare il dramma che il fascismo è stato per il nostro continente».

Quella di piazza Fontana «è una ferita ancora aperta, sicuramente per Milano, da 54 anni», dichiara Federico Sinicato, presidente dell’Associazione Familiari vittime, tenendo in mano lo striscione alla testa del corteo che ha marciato da Palazzo Marino fino alla Banca nazionale dell'Agricoltura. «Per quanto si sia ormai chiarito in gran parte quello che è successo, resta una ferita aperta e per sanarla si può partecipare come noi oggi e fare memoria perché nessuno se ne dimentichi e perché l’Italia non sperimenti più una cosa simile».

L'invito a continuare a testimoniare, a «esercitare la memoria» è anche il cuore del messaggio di Sergio Cofferati, ex segretario Cgil. «La presenza a questa commemorazione è segno del valore della memoria, serve a ricordare che qualcosa non è ancora risolto come sarebbe giusto in un Paese democratico», spiega in avvio di intervento dal palco della commemorazione. «La democrazia è fondamentale, il tentativo di ridimensionarla, di reintrodurre pratiche violente di carattere fascista, o addirittura nazista, va combattuto con grandissima decisione, non dobbiamo avere timore, paura, delle reazioni che in ogni caso i criminali che sono in campo cercheranno di produrre», aggiunge. Cofferati ricorda che «l'esercizio della memoria non deve mai venire meno. Per questo credo utile tornare a parlare del 1968 e del 1969, anni lontani ma importanti per questo paese in cui erano maturate condizioni tali per cui ci fosse una lotta con obiettivi mirati nei luoghi di lavoro». In quegli anni, «c'era un piano nazionale che è stato anche confermato e inizialmente trascurato, una grande organizzazione che voleva rovesciare la democrazia italiana», spiega ancora. «Pensate se quello capitato qui si fosse riprodotto a Roma e in altre città cosa sarebbe stato della democrazia. Ma la reazione dei cittadini è stata molto determinata», conclude Cofferati.

«Nel 1969 - commenta Luca Stanzione, segretario della Camera del Lavoro di Milano - la strage di Piazza Fontana fu un attacco alla costituzione democratica, in un Paese che provava a onorare quella Costituzione riducendo il divario tra la Carta scritta e quella reale. Oggi, come allora, i lavoratori chiedono la realizzazione di quei diritti scritti nella Costituzione: giustizia climatica, diritto allo studio, parità di genere. E quando la destra parla di una nuova italianità, liscia il pelo a chi poi vedrà tradite queste promesse e si affiderà a una destra non più costituzionale».

Alle 16.37, orario in cui nel ‘69 esplose la bomba che uccise 17 persone, il sindaco, i rappresentanti delle associazioni delle famiglie e le autorità hanno deposto corone d'alloro davanti alla sede della Banca.

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