Nel 1982 L'arca Di Noè è un disco che torna utile a Franco Battiato per depurarsi dall'isteria del successo de La Voce Del Padrone. È il ritorno a una dimensione più umana che gli si confà sicuramente di più rispetto alle folle in delirio (che in qualche caso, avvistatolo fuori da un bar, cercano addirittura di spogliarlo) di pochi mesi prima. Da ora in poi ogni album sarà un tassello in più per nuove avventure, Franco non farà mai passi indietro o tentativi di scrivere una nuova Centro di gravità permanente, si divertirà invece a spiazzare a più riprese il pubblico che ha conquistato e che da quel momento lo seguirà fedelmente, abbeverandosi a più riprese alle fonti della sua conoscenza, musicale e umana. Battiato contribuirà a far crescere generazioni di persone curiose e attente alle sfumature dello spirito, giunte a ciò grazie a un attento studio dei suoi brani. I suoi messaggi diverranno vere guide per una vita più profonda, critica e completa.

Come prevedibile L'arca Di Noè vende assai meno del disco precedente ma, forte delle copie prenotate, fa lo stesso un figurone nella classifica di fine anno.

I concerti del tour che seguono vedono in scena parte del suo team al gran completo, con esibizioni di Alberto Radius, Francesco Messina e Giusto Pio a preparare per il momento clou. Messina in questi giorni dà anche alle stampe un nuovo album, Medio Occidente, con la partecipazione del nostro che nel frattempo non ha messo da parte il suo harem di collaborazioni al femminile producendo i singoli di Farida (Rodolfo Valentino) e di Sibilla (Oppio).

Alice si sta invece lentamente affrancando dal suo pigmalione per cercare di dimostrare a se stessa e al pubblico le sue grandi capacità. La zampata di Franco nel suo Azimut è comunque ben presente, specie nel singolo Chan-son egocentrique che i due interpretano insieme.

Le collaborazioni continuano con il terzo album di Giusto Pio, Restoration, con Giuni Russo, che reduce dell'abbuffata di successo di Un'estate al mare dà alle stampe il suo Vox, e con la vecchia amica Ombretta Colli e il suo singolo Cocco fresco, cocco bello. Il nostro non si fa mancare nemmeno la scrittura di una colonna sonora per uno spettacolo teatrale: Quello Stolfo da Ferrara, riduzione dell’Orlando Furioso scritta da Raffaele Crovi e inscenata da Velia Mantegazza con il Teatro del Buratto.

Senza un attimo di respiro Franco trova anche il tempo per registrare il nuovo album. Se la casa discografica pensa che L'arca Di Noè sia stato un passo falso a livello commerciale ancora non sa che il nuovo Orizzonti Perduti non farà che insistere su atmosfere tutt'altro che scanzonate.

Per il nuovo album Franco radicalizza il suono: fa a meno di chitarre e batterie e torna all'elettronica che aveva contraddistinto i suoi lavori degli anni Settanta.

Il nostro continua diritto per la sua strada non dando retta a pressioni discografiche, come si evince dal nuovo disco, otto brani (non più sette come nella tetralogia precedente) realizzati insieme a un ensemble ridotto all'osso: tre tastieristi-programmatori come Filippo Destrieri, Gigi Tonet e Simone Majocchi, Gianfranco D'Adda, suo collaboratore sin dagli anni '70 alle percussioni, e il fido Giusto Pio. A parte le rade percussioni e l'onnipresente violino il resto è tutto suono sintetizzato a base di computer musicali di ultima generazione e batterie elettroniche.

In questo clima Francesco Messina propone una copertina con uno scatto domestico del nostro (con occhiali da vista) seduto su un divano al quale viene sovrapposta un'immagine di cieli. A rendere il tutto ambiguo e metafisico ci pensa la presenza di una misteriosa sfera bianca che sposta l'immagine verso atmosfere care a Renè Magritte, in particolare quelle dell'opera La voce dei venti.

Orizzonti perduti viene pubblicato il 15 dicembre 1983 facendo registrare un risicato quindicesimo posto in classifica. Poca cosa in confronto al successo stellare di La Voce del Padrone ma un qualcosa che evidentemente Battiato ha messo in conto. La cosa importante in questo momento è seguire il suo percorso, null'altro conta.

Orizzonti perduti, canzone per canzone
La stagione dell'amore. Il primo brano di Battiato che affronti l'argomento amoroso in maniera profonda è anche quello che comincia a farlo apprezzare da chi si accorge che egli non è solo capace di scrivere testi bizzarri ma è anche un poeta in grado di dar voce ai sentimenti. Da qui in avanti le canzoni d'amore di Franco non smetteranno mai di essere, a loro modo, ambigue (spesso non si capisce a chi si rivolga), nondimeno cattureranno migliaia di ascoltatori per il loro carattere universale che dà voce ai movimenti del cuore sempre con grande umanità e sincerità.

Messe da parte le atmosfere apocalittiche de L'Arca di Noè la base musicale si fa intima, con una cassa elettronica e un delicato tema di tastiere a cui rispondono altri tappeti più ritmici. Quando entra la voce la scena è tutta per lei, con un testo carico di rimpianti (“Se penso a come ho speso male / il mio tempo che non tornerà, / non ritornerà più”) ma anche di toccante saggezza nel suo corrispondere esattamente a uno stato d'animo facile a provarsi (“La stagione dell'amore viene e va, / all'improvviso senza accorgerti / la vivrai, ti sorprenderà”. Oppure “Ancora un altro entusiasmo / ti farà bruciare il cuore”). Altri momenti del testo visualizzano esattamente quello che succede a molti. Franco riesce a dare parola a chi sente le cose ma non sa come esternarle. Nessuno si sarebbe aspettato un Battiato tanto accurato nel toccare i sentimenti, con descrizioni così esatte da mettere in moto un ampio meccanismo di riconoscimento. Alcune sue canzoni più intime saranno un vero specchio nel quale qualsiasi persona potrà trovare parti di sé, parti che magari ha solo intuito e che qui gli vengono presentate con un linguaggio semplice ma mai banale, carico di verità.

In questo clima il tappeto di suoni sintetici diventa un caldo abbraccio nel quale le tastiere arpeggiate entrano ed escono fino al ritornello in cui le sonorità si distendono, con un suono quasi sferico (quella della copertina?) che trasla l'atmosfera verso gli spazi siderali.

Tramonto occidentale. L'atmosfera si fa inquieta, solo ingentilita dalla batteria elettronica dal suono mai roboante. Gli Orizzonti Perduti del titolo dell'album si riferiscono alla perdita del vero senso della vita che, secondo Franco, dovrebbe essere orientato verso la conoscenza, lo studio, la ricerca profonda di sé e del mondo, piuttosto che l'essere costretti a esistenze basate sulla frivolezza (di musica e tv) o sui riti di massa (calcio). Tramonto occidentale già dal titolo la dice tutta sulla filosofia del nostro che con un timbro sottile si mette nei panni di colui che riconosce la nobiltà di pensiero di grandi figure del passato (Nietzsche) ma allo stesso tempo non riesce e a superare l'apatia, la non-voglia di leggere o studiare. Preferisce bighellonare avanti e indietro per le vie del centro (di Milano) e godere il piacere di una sigaretta.

Nella seconda parte del brano Battiato riflette sull'assenza di padri che caratterizza il mondo moderno. Secondo lui la mancata trasmissione di valori è una delle cause dell'abbrutimento progressivo della società. Il protagonista poi riflette su quanto sia difficile operare su di sé dei veri cambiamenti, “Per avere disciplina ci vuole troppa volontà”, afferma, meglio lasciar perdere e farsi il solito giro senza meta, evitare di pensare, perdersi a osservare gli altri e sentire di condividere un destino comune che conduce verso il nulla.

Zone depresse. Altra caratteristica di Orizzonti Perduti è il riflettere sul tempo passato. In questo campo il nostro ha da tempo maturato un linguaggio che riesce a evocare un languore nostalgico anche da parte di chi non ha condiviso i ricordi che egli mette in campo.

Spesso è la Sicilia del Battiato bambino la protagonista delle immagini dei testi, in questo caso le zone depresse del titolo rappresentano quei momenti di stasi, di attesa, prima di una festa o di un qualunque altro evento. I preparativi, i profumi, le assonnate domeniche d'estate, sotto il caldo sole del sud a chiacchierare nell'aria ferma del pomeriggio. Poi i primi movimenti del cuore, lo scrutare di nascosto i saggi ginnici delle ragazze. Tutte sensazioni esposte dal nostro su un tappeto in 4/4 sottolineato dalla cassa della batteria elettronica, con arpeggi di tastiere intervallati a suoni più ampi, quasi desertici, che sembrano raffigurare i momenti di stasi.

Il ritornello vede l'ingresso del ritmo completo mentre i ricordi vanno via per sempre, tornano solo a sprazzi e poi svaniscono. Sulla coda del brano il nostro si improvvisa insegnante di collegio e trasla la scena verso la Francia. Nell'idioma di tale paese, infatti, eccolo dare riferimenti per una marcia sottolineata dalla musica marziale (“Due passi in avanti / due indietro / a destra / a sinistra / poi al contrario / Fare un giro su se stessi / Fermarsi”) alla quale viene poi sovrapposto il ritornello.

Un'altra vita. Il logorio del quotidiano può fare impazzire, per sfuggire si possono inventare rimedi di vario genere ma la vera soluzione è una sola: una vita diversa. Le influenze esterne che precludono il cammino dell'uomo sono un riferimento all'insegnamento del maestro di Battiato, quel G.I. Gurdjeff che mette in guardia dalle catene dei pensieri compulsivi e da tutto ciò che impedisce di esistere con consapevolezza. Qui il tappeto di tastiere si fa più orchestrale con alcune sovraincisioni di violino, salvo poi rientrare nell'elettronica con un suono ossessivo che prepara al testo: il sonno disturbato dai pensieri, il cattivo umore, l'arrabbiarsi senza vere ragioni. Quando parte la ritmica computerizzata la scena si sposta nel traffico del mattino, con tutte le frustrazioni del caso. Al ritornello che invita a scappare verso nuove vite seguono scene di abbrutimento casalingo e il ritorno nella propria dimora con “la noia e la stanchezza”. Un'importante presa di posizione avviene prima del secondo ritornello, quando Franco avverte che “non servono più eccitanti o ideologie”. E' l'atto finale delle utopie degli anni Settanta nelle quali si era pensato di cambiare il mondo tramite la cultura, l'impegno politico e l'espansione della mente. Ora tutto questo è passato, c'è solo il consumismo più sfrenato dal quale bisogna fuggire a ogni costo inventandosi nuove esistenze. Al termine del brano si fa strada una coda straniante, con voci in arabo e una divagazione tastieristica mediorientale.

Mal d'Africa. La seconda facciata di Orizzonti Perduti torna al tema del ricordo già espresso in Zone depresse. L'Africa del titolo altro non è che la Sicilia, con Franco che, come si è visto anche dai pezzi precedenti, non fa nulla per nascondere la stanchezza nei confronti della sua vita milanese, anelando presto un ritorno alla terra natia.

La nostalgia per i luoghi della sua infanzia trova spazio grazie a immagini di riposi post-prandiali, con le zanzariere, i rumori di cucina e il ricordo del padre, con il suo odore di brillantina. Anche qui Battiato ha la miracolosa capacità di immergere con poche frasi l'ascoltatore verso una dimensione diversa, lontana, quasi ultraterrena.

Il tessuto sonoro segue di pari passo la malinconia del testo, con pochi cenni di elettronica a fare da tappeto alla melodia, una delle più belle scritte fino a questo momento, che rendono Mal d'Africa una curiosa hit (il brano sarà pubblicato come singolo riscuotendo un discreto successo e diventerà anche sigla finale di Domenica in) pur non avendo nulla del pezzo da classifica. Da notare, quando Franco pronuncia il titolo del brano, l'inserimento di voci che intonano un canto africano. Poi il ritornello in lingua inglese: “Sabato notte / sono un sognatore / non posso vivere senza di te / da me giace una fotografia / per favore ritorna e stai con me”.

Sul finale torna un espediente utilizzato diverse volte nella carriera di Battiato: la voce in reverse che recita il ritornello.

La musica è stanca. Squilli di trombe (elettroniche) e drastico cambio d'atmosfera. Sin dagli anni della sperimentazione Battiato non può fare a meno di lanciarsi a inveire contro la musica di consumo, quella senza alcun spessore artistico che sembra fatta apposta per stimolare le orecchie dei meno smaliziati e gonfiare i portafogli di chi la crea. Franco è stato spesso duro nei confronti di questo mondo, nelle interviste, in Up patriots to arms e in Bandiera bianca.

La musica è stanca non può dirsi tra i suoi brani più riusciti, anzi, è probabilmente la peggior canzone che il nostro abbia concepito fino a questo momento, ma sembra quasi fatta apposta per far riflettere su quanta brutta musica arrivi alle orecchie di molti. La ritmica è ossessiva, la voce altissima che canta troppe parole, i finti coretti femminili (sono le voci del nostro accelerate) sono irritanti. Il testo si concentra sulle brutture musicali di cui era circondato il pubblico del 1983 (in realtà un eden rispetto a ciò che gira nel 2023). Anche in questo caso ci vuole un'altra vita.

Gente in progresso. Si cominciano a tirare le somme di un disco sospeso tra languidi ricordi del passato e amare consapevolezze del presente. Dopo tutti i ragionamenti messi in campo si guarda al futuro, a qualcosa di nuovo che deve accadere a tutti i costi per dare speranza nel domani. La delicata batteria elettronica fa da tappetto a una malinconica descrizione di “gente che lavora per avere un mese all'anno di ferie”. Ecco tornare i temi di Tramonto occidentale, di Un'altra vita e di La musica è stanca, che sfociano (dopo un appassionato ritornello) in un semplice Hare Krishna.

Campane tibetane. Il finale torna in una Sicilia mascherata da Tibet, ormai la nostalgia ha fagocitato il nostro che auspica a breve un ritorno al ventre materno della sua isola. Le campane tibetane usate spesso nella meditazione servono a riportare la calma dopo tutte le sensazioni comunicate finora. Le immagini si accavallano belle e toccanti (I temporali estivi con lenzuola appese, i castagni in fiore, le rondini in primavera, le terrazze a mare, i mobili stile impero, i tavolini in radica di noce, i canterani con i marmi dalle venature grigie, il Vicks vaporoub, le scampagnate, l'oratorio, i letti di ottone a baldacchino) evocando vite proprie e altrui sul solito manto di sintetizzatori e pacati ritmi elettronici. Tra citazioni di Jingle bells e di Don't let me be misunderstood Franco si cala definitivamente all'interno delle sue emozioni e lo ammette senza più nascondersi: “tornerò, ritornerò”.

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