TORINO. Conduttore in radio e tv, attore teatrale, di fiction e anche cinema. Prossimo scrittore e pure novello boxeur. Gabriele Corsi è ed è stato tante cose, da solo o con il Trio Medusa, che resta una costante: «Giorgio e Furio sono i miei fratelli».  

Chiamate Roma Triuno Triuno non è stato fermato dall’emergenza coronavirus. È sempre lì dalle 7 alle 9, su Deejay: avete fatto dei cambiamenti?
«La nostra missione prima era regalare un sorriso a chi fa magari lavori meno appaganti del nostro, in questo momento cerchiamo di mantenere questa leggerezza. Anche se è difficile. Abbiamo provato a dare voce a chi ha continuato ad andare a lavorare anche nell’emergenza e ad associazioni benefiche. E poi abbiamo tenuto compagnia chi era a casa da solo: un antidoto alla solitudine».

In radio riuscite a mantenere le distanze?
«Sì, abbiamo mascherine e guanti, puliamo tutto, sediamo lontani. Stiamo attenti. Anche a non abbracciarci. Pure nei momenti di dolore, come quando per il Covid è morto mio suocero. Furio e Giorgio sono dei fratelli per me: morivo dalla voglia di farmi abbracciare, loro di farlo. È stato straniante. Il rapporto di amicizia è essere spalla sulla quale piangere e cercarla. Quanto mi mancano gli abbracci. A consolarmi sono arrivati 1700 messaggi di persone che non conosco: è stato importantissimo ricevere tanto affetto».

Facciamo un salto nel passato: ricordi quando hai conosciuto Giorgio e Furio?
«E come no? A 16 anni, tutti e tre passavamo l’estate a Tarquinia. Prima di conoscere Giorgio, che ha due anni in più, sono diventato amico del fratello Gianluca. Ma eravamo parte di una stessa compagnia, come succede al mare. A unirci fu la passione per la radio. Creammo Radio Medusa, una roba totalmente abusiva. Tornati a Roma, iniziammo a trasmettere da un garage. Il nostro editore era un macellaio». 

Sei diplomato all’Accademia Silvio d’Amico: ti immaginavi un futuro da attore?
«Ma io lo immagino ancora. Il palco teatrale è il mio luogo. Sono contento di come è andata ma recitare mi piace tantissimo. Certo, coniugare l’attività di conduttore e quella di attore è difficilissimo. Ma io un Oscar voglio vincerlo...».

Hai recitato nel cortometraggio da cui è nato «Ecco fatto», il primo film di Gabriele Muccino. Non ti ha più cercato per un altro ruolo?
«Eh no, mi sa che non l’ho colpito così tanto...»

Avrà pensato che era difficile superare un “capolavoro” come «Alex l’Ariete»...
«Sicuro - ride -. Quel film è comunque diventato un cult, mi avevano raccontato che organizzano proiezioni con il pubblico che recita la battute a memoria. Incredibile. Ricordo che il regista Damiano Damiani mi disse: “Mi sembra che tu sia molto bravo, tieni il cappello basso così non ti riconoscono”. Pensate che è uno dei lavori per il quale mi hanno pagato di più».

La tua esperienza in Rai come conduttore si è conclusa bruscamente: sei finito travolto dai conflitti della politica?
«Nessuno dalla Rai mi ha mai chiamato. Quello che so l’ho letto sui giornali. Era nel pieno diritto dell’azienda non proseguire con me, nonostante gli ascolti, ma almeno una telefonata me la sarei aspettata. Anzi alla mia agenzia avevano detto di tenermi libero per i nuovi programmi. Per fortuna ho subito avuto molte richieste da altre tivù».

Torneresti in Rai?
«Scelgo in base ai programmi e non agli editori. Anche se ora a Ra1 c’è Stefano Coletta, un grande direttore. A Rai3 ci ho lavorato davvero bene». 

Discovery ti ha dato l’alternativa che cercavi?
«Mi ha proposto una serie di programmi che mi piacevano, a partire da “Deal with it”. Mi diverto e lo stesso succede a chi viene ospite».

Prossimamente su Nove partirà la nuova stagione: quando le avete realizzate le puntate?
«Dal 7 gennaio al 28 febbraio. Prima del lockdown. Sarebbe stato impossibile altrimenti, visto che il gioco è ambientato nei ristoranti».

«Deal with it» funziona per la spavalderia dei concorrenti, la collaborazione degli ospiti-suggeritori o il montaggio?
«Funziona se chi partecipa è disposto a mettersi in gioco. Noi giriamo il doppio degli scherzi che vanno in onda. Sono molto più lunghi dei dieci minuti ciascuno che vedete in tv. Per 4 puntate ci sono 5 giorni di riprese. È l’unico modo per tenera alta la qualità».

Torniamo al Trio: a «Le Iene» eravate i guasconi che mettevano in mezzo i politici, è un format che funziona ancora?
«No, serve un altro linguaggio. Nel ’98 ad andare davanti al Parlamento c’eravamo solo noi... Ormai la realtà ha superato la satira: nessuno di noi avrebbe mai immaginato che un leader politico si sarebbe messo a recitare “L’eterno riposo” in diretta tv. Noi abbiamo smesso quando ci siamo accorti che erano i politici ma loro a cercare noi».

A luglio ’21 compirai 50 anni: cosa ti aspetti dal futuro?
«Magari non starò più davanti alla macchina da presa ma dietro: mi piacerebbe fare una serie tv tipo “After Life”, viaggiare, leggere e finire quel libro che mi hanno commissionato dieci anni fa. Ah sì, ho l’Oscar da vincere».

Una bella sfida…
«Ma non l’unica. Da settembre faccio boxe nella palestra in cui va Valerio Mastandrea. Ci saremmo dovuti sfidare per beneficenza. L’incontro è solo rimandato: io mi sto allenando. Valerio, preparati».

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