AOSTA. «E noi siamo tutti in fila davanti a un sogno…» è uno dei versi de “La ballata dell’uomo ragno” di Francesco De Gregori. Il “sogno” da realizzare è da qualche giorno il Dente del Gigante. Alpinisti in fila alla “gengiva” di questo monolite sul confine italo-francese. Gengiva che è una comoda cengia nel grigio granito, passaggio obbligato per raggiungere le prime placche della via normale, la sud-ovest, la più abbordabile. E lì due giorni fa si sono messi in coda dieci alpinisti, davanti al loro sogno, mentre altri due stavano salendo in cordata i primi tratti verticali. Fra loro c’era anche il presidente delle guide alpine valdostane Ezio Marlier. Anomala concentrazione di scalatori. E Marlier si domanda preoccupato: «Che possiamo fare?». Aggiunge: «Forse dovremmo iniziare a pensare al modo in cui si frequenta la montagna, analizzare i cambiamenti di frequentazione avvenuti con la massa che si avvicina. E’ venuto il momento di domandarsi se si debba cambiare qualcosa per evitare che questo modo di fare alpinismo diventi irreversibile». L’immagine della coda al Dente del Gigante assomiglia alle tante fatte negli ultimi anni sulla cresta dell’Everest, dove salgono in contemporanea anche 300 alpinisti. Reinhold Messner, proprio facendo riferimento a quanto accade sul “tetto del mondo” con le spedizioni commerciali, ha sottolineato come «sarebbe un dramma ambientale se cose analoghe accadessero sulle Alpi». Lungo la via normale del Monte Bianco sul versante francese la massa è giunta da tempo. Ora tutto è regolamentato. Sul Dente del Gigante la coda non è consueta. Questione di mete simbolo. Fare un Quattromila è ritenuto importante, un trofeo da portare con sé e da raccontare a parenti e amici. E il Dente, che supera di 13 metri i 4.000, fa parte proprio dei sogni di un alpinista non professionista e che abbia acquisito una buona preparazione. Proprio la ricerca della vetta conosciuta induce la massa degli alpinisti a evitare salite altrettanto belle, ma meno note. Paolo Comune, direttore del Soccorso alpino valdostano e guida del Monte Rosa, dice: «E’ così in tutti i gruppi montuosi. Sul Rosa la meta preferita è la Capanna Margherita perché è sulla punta Gnifetti a 4.554 metri ed è il rifugio più alto d’Europa. Non c’è concorrenza possibile, anche se la Dufour è la vetta più alta a 4.634 metri. Dire, per esempio, di aver salito la Parrot sulla stessa cresta, non provoca alcun effetto». Di fronte alle foto della coda al Dente del Gigante dice: «Non saprei proprio che fare. Situazione che toglie… poesia, ecco. Ma quando sei arrivato lì, dopo un’ora e mezza o due di cammino, hai poche alternative, torni indietro e rinunci, aspetti il momento di poter salire, o, ancora, sali su altre vie, ma si tratta di arrampicate molto più complesse». A parte l’effetto coda, più cordate sulla stessa via presuppongono maggiori pericoli. Ancora Comune: «Da un lato c’è il rischio che le cordate possano far cadere alcuni sassi o attrezzi, dall’altra c’è l’effetto tempo. L’attesa ne fa perdere a chi è in coda e la sua salita può essere condizionata per poter recuperare e avere così le ore necessarie per il rientro». I «cambiamenti della frequentazione» di cui parla Marlier devono essere analizzati. Fra le possibili soluzioni quella di proporre altre vette e di farle conoscere come importanti dal punto di vista alpinistico. Sul Bianco non c’è cima che non abbia un posto di rilievo nella storia dell’alpinismo.