TORINO. In prima elementare si è fatto stampare lo spartito della Marcia Turca di Mozart e, pur non sapendo leggere le note, ha iniziato a suonarla. A 7 anni ha cominciato a studiare seriamente pianoforte. A 12 è stato ammesso al Conservatorio e ha pure scritto un libro. E a 23 sarà solista di un evento del «Regio Metropolitano». Lorenzo Nguyen ha bruciato parecchie tappe e domani alle 20, 30 sarà protagonista del concerto ospitato al Conservatorio Giuseppe Verdi con l’Orchestra del Teatro Regio guidata dalla bacchetta di Dmitry Matvienko. «Mi sembra incredibile salire sul palco insieme con i professori – confessa –. Sono felice e sento il peso della responsabilità perché, essendo torinese, ho sempre vissuto gli appuntamenti dell’ente lirico fra il pubblico. Trovarmi dall’altra parte è emozionante».

A dirigerla sarà il trentunenne maestro bielorusso, com’è stato il vostro incontro?
«Per me lavorare con lui è un onore e un piacere, oltre a essere un ottimo professionista, ha solo 8 anni in più di me. È impressionante vedere come un mio coetaneo abbia una maturità, un’autorevolezza e un carisma così forti. È riuscito a mettermi a mio agio, siamo entrati in sintonia e ci siamo capiti senza tante parole».

Come si è avvicinato alla musica?
«Non sono figlio d’arte, è successo per caso alle elementari. Sono nato a Torino nel 1998, mia madre è di Alessandria, mio padre è vietnamita e fanno dei mestieri normali».

Quando la scintilla?
«Un giorno il mio maestro si mise alla tastiera a suonare la Marcia Turca e ne rimasi colpito. Arrivato a casa pregai i miei genitori di stamparmi lo spartito, e nonostante non sapessi distinguere le note imparai da solo. Un po’ a orecchio iniziai a suonare. Poi a 7 anni cominciai le lezioni di pianoforte».

E a 12 anni con Loescher ha pubblicato «Un’altra isola», la storia di suo padre.
«Fu un caso perché tutto iniziò come compito per le vacanze. La professoressa di italiano ci aveva assegnato l’incarico di scrivere un testo senza darci nessun argomento. Quelli erano gli anni in cui si sentiva parlare di flussi migratori perché c’era la guerra in Libia e questa cosa mi aveva colpito tanto profondamente da farmi decidere di scrivere qualcosa sul tema. Iniziando a pensare cosa esporre, mi sono reso conto di avere una storia di migrazione in casa. Mio papà è stato uno dei “boat people”, cioè uno dei profughi che vennero soccorsi dalle navi italiane, ma fino ad allora non me ne aveva mai parlato. Dopo un po’ di reticenza da parte sua, sono riuscito a farmi raccontare qualcosa. Per lui non è stato facile, visto che a 11 anni, proprio l’età che avevo io allora, ha rischiato la vita. L’idea del libro è arrivata per avere una testimonianza della sua avventura».

Lei ha visitato il Vietnam?
«Ci sono stato un paio di volte, lì c’è ancora parte della famiglia di mio padre, alcuni fratelli e i miei nonni. È stata una bella esperienza, ma purtroppo non parlo la lingua e non è stato facile comunicare».

Quante ore al giorno dedica allo studio dello strumento?
«Suono sempre, almeno quando non viaggio, ma non ho una routine precisa. Capita che sia alla tastiera per 12 ore, mentre alcuni giorni solo 2, anche perché ho altre passioni».

Che sono?
«Il calcio. Gioco a livello amatoriale e sono tifoso delle Juventus».

Non ha paura di infortunarsi?
«Sono preoccupato solo quando devo stare in porta,prego i miei compagni di non tirare troppo forte. Però la passione è tanta e mi dispiacerebbe rinunciare alla partita». —

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I commenti dei lettori