TORINP. Era una Torino irreale, quella ai tempi del terrorismo, tra la fine degli Anni 70 e i primi 80. Sirene continue, auto blindate che schivavano il traffico saltando i semafori, posti di blocco, luoghi presidiati. Quasi ogni settimana agguati, ferimenti, attentati, morti ammazzati, azioni dimostrative. Un nemico subdolo da fronteggiare, che poteva colpire chiunque e ovunque: forze dell’ordine, giudici, dirigenti industriali, giornalisti, avvocati, capisquadra, agenti di custodia. C’era paura a uscire, ad avvicinarsi a caserme, tribunali, fabbriche, sindacati, uffici comunali o regionali, sedi dei quotidiani.

La città in quel quinquennio ha pagato un conto altissimo nei confronti di Brigate Rosse, Prima Linea e delle altre formazioni minori. Tanto si è scritto, in proposito. Prime pagine su tutti i quotidiani, edizioni straordinarie di Stampa Sera, tg che a getto continuo davano notizie che nessuno avrebbe voluto sentire e che rimangono nella mente anche di chi allora era poco più di un ragazzino. Il lenzuolo che copriva il povero corpo dell’ingegner Carlo Ghiglieno freddato al mattino presto accanto alla sua auto in via Petrarca angolo corso Massimo D’Azeglio, gli occhi dello studente Emanuele Iurilli chiusi per sempre da un proiettile vagante vicino a scuola, in via Millio, borgo San Paolo. Sebastiano D’Alleo e Antonio Pedio, guardie giurate della Mondialpol: la loro colpa? Presidiare come sempre l’agenzia 5 del Banco di Napoli di via Domodossola, quartiere Parella, zona considerata tranquilla. Per loro una pallottola alla nuca dopo che erano stati fatti sdraiare a terra.
In prima persona
Claudio Giacchino, per anni cronista de La Stampa, ha seguito in prima persona quasi tutti quei terribili episodi. E li racconta ora dal punto di vista di chi li ha irrimediabilmente subiti. Gli sguardi che ci offre sono quelli di chi ha ricevuto un’inaspettata condanna a morte. Ecco allora susseguirsi le storie del vicedirettore della Stampa, Carlo Casalegno, del presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino, Fulvio Croce, del poliziotto Rosario Berardi. Ma anche del barista Carmine Civitate, del sorvegliante Carlo Ala, del vigile Bartolomeo Mana e di altre dieci vittime. Venti anni di terrorismo – La Torino del sangue innocente (Graphot) si legge un po’ come una Spoon River. Sono loro, i destinatari di quelle azioni, a cercare di analizzare il perché e il per come di un destino beffardo e gli ultimi concitati istanti delle loro vite. Giuseppe Ciotta: «A me il triste privilegio di inaugurare la scia di sangue che per tanti anni bagnerà le strade di Torino. Mi hanno ammazzato un sabato mattina, il 12 marzo 1977. Ero brigadiere di polizia, avevo una moglie e una figlia di quasi 2 anni». Viene fuori, forse per la prima volta, la dimensione di un fenomeno storico che ha lungo condizionato la vita della città sotto forma di un racconto a più voci. Per non dimenticare.

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