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La vera (terrificante) storia di Cappuccetto Rosso e l’evoluzione dello storytelling

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Nel mondo del digital marketing una storia ben raccontata è l’ingrediente principale di una strategia vincente. Una volta creata, una storia respira, evolve, assume nuovi significati. La trama originale di Cappuccetto Rosso, ad oggi sconosciuta e a dir poco terrificante, regala una preziosa lezione a tutti gli aspiranti storyteller.

Molestie sessuali, cannibalismo, depravazione: ecco cosa racconta la vera storia di Cappuccetto Rosso. Una trama che intreccia eventi atroci ad allusioni perverse e che non lascia spazio ad alcun lieto fine. Ma facciamo il punto ricordando come la raccontiamo oggi ー come ce la racconta Wikipedia, perchè in questo caso è d’obbligo far riferimento a una fonte nazional-popolare:

Cappuccetto Rosso è una bambina che vive con la sua mamma in una casetta vicino al bosco e porta un cestino pieno di cose buone alla nonna ammalata. Nel bosco intanto incontra un lupo nero che con l’inganno si fa rivelare dove abita la nonna. Il lupo arriva prima di lei alla casetta e bussa alla porta, si presenta alla nonna come la nipote, apre la porta senza dire una parola e se la mangia in un boccone. Cappuccetto Rosso lo trova a letto travestito da nonna e viene a sua volta divorata in un sol boccone. Poi arriva il cacciatore amico della nonna, che taglia la testa al lupo e gli apre la pancia. Subito escono la nonna e Cappuccetto Rosso. Il cacciatore intanto prende il lupo stordito e si avvia verso casa.

Quella di Cappuccetto Rosso è una storia antica, più antica di quanto si possa immaginare. Il primo a metterla per iscritto fu Charles Perrault che nel 1697 la incluse alla sua collezione di racconti popolari. La storia che Perrault conosceva aveva origine nelle Alpi settentrionali, veniva tramandata in forma orale da secoli ed era radicalmente differente da quella che conosciamo oggi.

Innanzitutto, quando il lupo incontra la fanciulla nel bosco, le chiede quale sentiero preferisca percorrere, tra quello delle spille e quello degli aghi. I nomi non sono casuali. In molti villaggi francesi situati proprio nell’area in cui si crede che la favola abbia avuto origine, all’età di 7 anni le ragazze cominciavano il loro lavoro come apprendiste alle dipendenze di una sarta. Il periodo di apprendistato terminava con il compimento del 15esimo anno d’età, quando la ragazza diventava ufficialmente adulta. Durante gli anni di apprendistato, ogni ragazza accumulava e teneva per sé alcune spille. Per questo, la spilla era considerata il simbolo della ragazza che diventa donna: con una spilla si festeggiava il fidanzamento e allo stesso tempo la si poteva all’occorrenza usare come piccola arma contro spasimanti indesiderati. Cappuccetto Rosso ha proprio 15 anni. L’ago era invece comunemente associato a una simbologia sessuale e molto spesso era usato per rappresentare il matrimonio. In alcune delle versioni tramandate Cappuccetto Rosso sceglie il sentiero delle spille, in altre quello degli aghi.

Il lupo, che si precipita a casa della nonna della ragazza, uccide la vecchia, ne divora una parte, ripulisce i resti, versa il sangue in una bottiglia, e ripone ordinatamente la carne nella dispensa. Una tradizione italiana aggiunge addirittura che prima di andare a letto il lupo “appende le viscere della sua vittima alla porta al posto del catenaccio e mette in serbo nella credenza il sangue, i denti e la mascella”. La ragazza, entrando, afferra quindi le viscere della nonna senza rendersene conto.

Il lupo, tutto imbacuccato a letto, invita Cappuccetto Rosso a preparare la cena e a gustarsi il delizioso pasto accanto al fuoco. Al primo boccone le sussurra: “Stai mangiando la carne di tua nonna!”, e una versione proveniente dal comune francese di Tours aggiunge addirittura che la ragazza mangia i seni dell’anziana signora.

Ma non finisce qui. Prima di invitarla a ficcarsi sotto le coperte con lui, il lupo le ordina di spogliarsi nuda: “Getta i tuoi vestiti nel fuoco, bambina mia; non ti serviranno più”. In alcune versioni addirittura il lupo pretende che la ragazza si spogli ancor prima di mangiare. La storia si conclude inevitabilmente con il lupo che divora Cappuccetto Rosso.

Nella Francia di fine Seicento questa storia non poteva funzionare. Per questo, Perrault decise di indorare la pillola ed eliminare tutte le scene più cruente, mantenendo comunque il finale tragico. Perchè non optare per un lieto fine? Semplice, perché per la sua raccolta Perrault aveva in mente un target ben preciso, quello dei bambini. Il finale svolgeva in questo senso la funzione di spaventare i bambini per scoraggiarli dal dare ascolto agli sconosciuti. La maggior parte dei genitori non aveva tempo per badare ai propri figli durante la giornata ed era indispensabile che gli stimoli che ricevevano fossero particolarmente convincenti, abbastanza da dissuaderli dall’avventurarsi in giro per conto proprio. La storia quindi faceva sì che il lettore si affezionasse al personaggio di Cappuccetto Rosso, per poi rimanere terribilmente colpito dalla sua macabra fine.

Ma allora quando arriva il cacciatore? L’uomo che interviene per salvare la ragazza e la nonna squarciando il ventre del lupo fu inventato dai fratelli Grimm nel 1812. Cappuccetto Rosso divenne così la favola che conosciamo oggi, completamente epurata da qualsiasi perversione ed elemento macabro, portatrice di una morale ma pur sempre con il lieto fine che serviva per conquistare i cuori dei bambini dell’era vittoriana.

Non a caso, nel 1850 anche Charles Dickens raccontò di aver nutrito, durante l’infanzia, la segreta speranza di sposare la bella Cappuccetto Rosso. “Fu lei il mio primo amore”, scrisse.

Oggi, la ricerca di “Cappuccetto Rosso” in Google News restituisce esattamente 7.310 risultati. Ma come ha fatto un racconto a sopravvivere per oltre 500 anni e ad acquisire una tale popolarità? Semplicemente si è evoluto di pari passo con la società. Nato come raccomandazione all’umanità intera in una società in cui il valore della vita umana ー specialmente quella della donna ー era pressoché nullo, si è adattato alle nuove regole morali trasformandosi in un monito severo per adulti e bambini, assumendo le sembianze di un concreto strumento educativo per le nuove generazioni.

Questo è esattamente ciò che ogni storyteller dovrebbe essere in grado di fare. Le storie animano la vita umana. Le storie funzionano con la gente e per la gente, e al tempo stesso lavorano sulla gente, condizionando quello che siamo capaci di percepire come reale, possibile, ciò che ha un valore e ciò che andrebbe evitato. Nessuna storia è mai stata raccontata per il fine stesso di raccontare una storia. Così come oggi nessuno acquista un prodotto per il prodotto in sé: dall’alba dei tempi, l’uomo è alla ricerca di un’esperienza. E i brand più forti sanno che il loro racconto deve cambiare, giorno per giorno, insieme alle persone a cui parlano. Perchè in fondo una strategia di marketing efficace non è altro che ciò che accade tra il “C’era una volta” e il “vissero felici e contenti”.

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Sei sul blog di Laura Bartoli

Da anni studio, colleziono e traduco Charles Dickens. Sono una digital strategist appassionata di libri antichi e viaggio alla ricerca dei luoghi dove il tempo si è fermato all’età vittoriana. Clicca qui per conoscermi meglio!