Virgil Starkwell (Woody Allen), ladruncolo imbranato e insicuro dal cuore tenero, sogna, si innamora, si inserisce in modo maldestro nella malavita di quartiere e viene arrestato, tra mille equivoci e divertenti (dis)avventure. Già al suo secondo lungometraggio, Woody Allen dimostra tutto il suo talento comico ed esemplifica le direttrici entro cui si svilupperanno le sue fortunate pellicole dei primi anni '70. Sulla base di una comicità d'immagine che trova nelle gag slapstick del cinema muto e dei fratelli Marx gli ascendenti più espliciti, il cineasta newyorkese riesce a innestare una scoppiettante sceneggiatura che è un irresistibile collage di situazioni stralunate, dialoghi surreali e accumulo iper-cinetico di trovate non-sense. La geniale intuizione di girare il film come uno pseudo-documentario rende ancora più esilaranti alcune sequenze abitualmente presenti in un contesto “serio”. Nonostante un apparato formale ancora acerbo, tutto giocato sul montaggio frenetico, la pellicola conserva un invidiabile spirito libero che unisce buffo umorismo e effervescente romanticismo. Il rischio di una meccanica ripetizione degli espedienti comici, a causa dell'esile materia narrativa, è compensato dalla struttura rapsodica del film, che permette ad Allen di disinteressarsi della logica consequenzialità degli eventi e di comporre un quadro tanto sgangherato quanto divertente. D'altra parte, lo scopo del film era di causare una risata dopo l'altra. Musiche di Marvin Hamlisch. Un piccolo film di culto.