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La paura di volare: un disturbo d’ansia

La paura di volare o aerofobia è un disturbo estremamente disabilitante e molto diffuso. Negli Stati Uniti è presente nel 7-9% della popolazione. Nei paesi europei i tassi di prevalenza si aggirano attorno al 9-11% della popolazione.

Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM V) l’aerofobia è un disturbo d’ansia e appartiene alla categoria delle fobie specifiche.

Per fobia specifica s’intende la paura persistente e irragionevole nei confronti di un oggetto specifico, ad esempio di animali (cani, gatti, ragni) o di una situazione particolare, come trovarsi in un luogo elevato, prendere l’ascensore, viaggiare in aereo. Chi soffre di fobia specifica tende a evitare o a sopportare lo stimolo temuto. In entrambi i casi il disagio e l’ansia crescono.

La sintomatologia del paziente che soffre di aerofobia è piuttosto ampia: tachicardia, sudorazione, aumento del ritmo respiratorio, senso di oppressione toracica, cefalea, aumento della pressione arteriosa, aumento della vigilanza spesso unito alla paura di perdere il controllo.

Coloro che soffrono di una fobia particolare manifestano spesso altri tipi di fobie: la fobia per il volo può essere associata alla fobia per le altezze e per il vuoto.

Secondo il DSM V i criteri che permettono di diagnosticare una fobia specifica sono:

A) Timore o ansia marcata verso un oggetto o una situazione specifici;
B) La situazione o l’oggetto fobici provocano quasi sempre immediata paura o ansia;
C) La situazione o l’oggetto fobici vengono attivamente evitati oppure sopportati con paura o ansia intense;
D) La paura o l’ansia sono sproporzionate rispetto al reale pericolo rappresentato dall’oggetto o dalla situazione specifici e al contesto socio-culturale;
E) La paura, l’ansia o l’evitamento sono persistenti e durano tipicamente per sei mesi o più;
F) La paura, l’ansia o l’evitamento provocano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale e lavorativo o di altre importanti aree;
G) Il disturbo non è meglio spiegato dai sintomi di un altro disturbo mentale.


I modelli di riferimento per spiegare la fobia specifica

La letteratura a indirizzo psicodinamico ritiene che alla base di una fobia ci sia un conflitto tra un desiderio profondo rimosso e la sua realizzazione. Quando pensieri inconsci, ritenuti inaccettabili dal Super-Io, tentano di emergere alla sfera cosciente, s’innesca un segnale d’ansia crescente che induce l’attivazione di tre meccanismi di difesa, lo spostamento, la proiezione e l’evitamento, attraverso i quali si cerca di rimuovere il pensiero inconscio ritenuto insostenibile e di rendere lo stimolo fobico più sopportabile. In realtà, tali meccanismi di difesa provocano una nevrosi fobica.

Le recenti ricerche di neuroimaging e gli studi sul genoma umano, ovvero gli studi che analizzano la struttura genetica dell’uomo, hanno confermato l’ipotesi secondo la quale tali disturbi sarebbero influenzati da fattori genetico-biologici predisponenti.
I neurotrasmettitori che si ritiene siano principalmente ricollegati ai disturbi d’ansia e, nello specifico, alle fobie appartengono al gruppo delle catecolamine: serotonina, noradrenalina e noreprinefina. Un’alterazione di queste sostanze a livello cerebrale può spiegare da un punto di vista neurofisiologico lo sviluppo e la manifestazione sintomatologica delle fobie e dei disturbi d’ansia in generale. Fulcro centrale è l’amigdala, una struttura facente parte del sistema limbico, circuito sottocorticale deputato all’elaborazione e trasmissione dei segnali emotivi.

Come s’interviene

Negli ultimi decenni numerose ricerche hanno comprovato l’efficacia della psicoterapia, da sola o in combinazione con interventi farmacologici, per la cura dei disturbi d’ansia e delle fobie.
In una ricerca condotta nel 2008, Mark J. Boschen ha mostrato che, nel panorama scientifico anglofono degli ultimi trent’anni, le pubblicazioni sui disturbi d’ansia sono aumentate in maniera considerevole e che il loro numero è destinato a crescere.
Solo per i disturbi da attacchi di panico e le fobie lo studioso ha infatti recensito circa 4000 articoli.
La creazione di una rivista monografica come il Journal of Anxiety Disorders, pubblicata a New York, è emblematica dell’interesse crescente e testimonia la pluralità di approcci, anche in ambito psicoterapeutico.
L’ipnosi costituisce una delle modalità terapeutiche più affidabili e rapide, in termini sia di risoluzione del disturbo sia di ristrutturazione degli schemi e dei modello di pensiero sottostanti il problema in essere.
Uno studio recente conferma l’efficacia dell’ipnosi nel trattamento delle fobie specifiche, in particolare della paura di volare (E. G. Volpe, M. R. Nash, “The Use of Hypnosis for Airplane Phobia With an Obsessive Character. A Case Study”, Clinical Case Studies 11(2), 2012, 89-103).
Lo studio documenta l’efficacia dell’applicazione dell’ipnosi in pazienti che presentano disturbi fobici ricollegati all’idea del volo.
Attraverso un trattamento di dodici sedute, durante le quali sono stati analizzati stili d’attaccamento, eventi psico-traumatici recenti, l’ipnosi è stata utilizzata come strumento di desensibilizzazione e ricostruzione soggettiva dell’esperienza di volo.
Ciò ha permesso ai pazienti di superare la fobia e riprendere l’aereo.
La casistica clinica fornisce molti risultati interessanti.

Un caso clinico descritto da Milton Erickson nell’opera intitolata Ipnoterapia, è particolarmente significativo.
Una paziente affetta da una grave forma di fobia per il volo e i luoghi elevati superò le sue paure attraverso lo spostamento del sintomo fobico all’esterno, ovvero sulla sedia dove era seduta durante la trance ipnotica.

La paziente riuscì a prendere l’aereo: “Era assolutamente fantastico”, riferì poi, “Il letto di nuvole al di sotto era così bello che avrei voluto una macchina fotografica”.
Racconta Erickson:Alcuni mesi più tardi quando lei ebbe occasione di ritornare nella stessa stanza, era divertente vedere come evitava quella sedia e impediva agli altri di sedervisi”. In un incontro successivo, avvenuto dopo sei mesi dalla prima seduta, Erickson approfondi la problematica eziologica della fobia.
Durante l’ipnosi portò la paziente all’evento che ne aveva determinato l’insorgere. Attraverso un complesso lavoro di ristrutturazione emotiva e cognitiva, riuscì a modificare la percezione di quella memoria traumatica, al punto da eliminare la sintomatologia del disturbo e agire anche sulla causa che l’aveva prodotto.

Il mio approccio
La prima seduta è dedicata all’analisi della struttura personologica e dello stile di funzionamento del paziente. Sin dal primo incontro, indago sulla presenza di eventuali esperienze traumatiche vissute durante il volo e sui primi esordi del disturbo.
Se necessario, nella seconda seduta approfondisco quanto rilevato nel corso della prima, altrimenti procedo con l’induzione ipnotica attraverso tecniche di rilassamento progressivo. Scopo principale della seduta è indurre il paziente in uno stadio di trance sufficientemente profondo, affinché si senta a proprio agio, raggiunga uno stato di tranquillità e di serenità e sperimenti una sensazione di pace e di benessere psico-corporeo.
A partire dagli incontri successivi, propongo di rivivere l’esperienza del viaggio in aereo, dalla partenza da casa fino al decollo.
Durante questa fase il lavoro è rivolto all’esperienza soggettiva del paziente, di cui si modificano progressivamente gli schemi cognitivi ed emotivi ricollegati all’esperienza temuta.
La durata del trattamento varia da individuo a individuo, ma i primi benefici effetti sono riscontrabili dopo poche sedute sedute.

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