Artista totale: Miró tra pittura, poesia e sogno

Il percorso artistico di Joan Miró i Ferrà (Barcellona, 20 aprile 1893 – Palma di Maiorca, 25 dicembre 1983) è caratterizzato da un continuo processo di esplorazione, sperimentazione e rinnovamento, che rende la sua produzione così ampia e diversificata da non permettere il suo inserimento all’interno di una corrente definita.

Quando io raccolgo un sasso, è un sasso. Quando lo raccoglie Miró, è un Miró.

Joan Prats

Il collezionista e amico di lunga data Joan Prats racconta in questo modo la capacità di Miró di trasformare in arte qualsiasi oggetto con cui interagisse. Tali parole lasciano trasparire la sensibilità straordinaria dell’artista catalano, che crea un linguaggio pittorico unico, permeato di musica e poesia.

Joan Miró, Femme, oiseaux, constellations , 1976, olio su tela. Foto Joan Ramon Bonet. Archivio Successió Miró © Successió Miró  ADAGP, Paris, by SIAE 2021

GUARDARE IL MONDO CON GLI OCCHI DI UN BAMBINO

Alla base del processo creativo di Miró risiede la sua abilità innata di guardare con stupore il mondo circostante: anche gli oggetti quotidiani e apparentemente più semplici trovano spazio nella sua arte. «Sono le cose più semplici a darmi delle idee. Un piatto in cui un contadino mangia la sua minestra, l’amo molto più dei piatti ridicolmente preziosi dei ricchi», afferma. Proprio come il fanciullino pascoliano, che con incontenibile meraviglia entra in contatto con tutto ciò che è intorno a lui, alla stessa maniera Joan Miró fa esperienza del mondo. Gli occhi attraverso cui l’artista catalano osserva tutto ciò che lo circonda sono carichi di incanto come quelli del fanciullino che vede tutto per la prima volta, giungendo alla verità delle cose in modo istintivo e irrazionale. Nel caso di Pascoli, tale verità trova una nuova vita sotto forma di poesia attraverso un linguaggio analogico e suggestivo. Nel caso di Miró, l’intuizione si traduce sulla tela attraverso macchie di colore, pennellate e gesti.

LA PITTURA SINESTESICA DI MIRÓ

Il processo creativo, dunque, inizia molto prima del momento in cui l’artista si trova di fronte alla tela ancora intonsa. Miró è solito fare lunghe passeggiate quotidiane, durante le quali fa tesoro dei rumori e delle vedute che costituiscono la cornice del suo percorso: il rumore dei cavalli nella campagna, la musica di un organo all’interno di una chiesa, l’immensità del cielo, le onde del mare. Riferendosi alla sua arte, egli dichiara:

Ho difficoltà a parlare della mia pittura, poiché nasce sempre in uno stato allucinatorio, suscitato da un contraccolpo qualsiasi, oggettivo o soggettivo che sia, e di cui non sono in nessun modo artefice. Quanto ai miei mezzi d’espressione, sempre più mi sforzo di giungere al massimo grado di chiarezza, di potenza e di aggressività plastica, ossia di risvegliare dapprima una sensazione fisica, per poi arrivare all’anima.

Tale attitudine creativa presenta diverse affinità con quella del poeta William Wordsworth (1770 – 1850), considerato uno dei padri del Romanticismo Inglese. Nella sua celebre poesia I wandered lonely as a cloud, Wordsworth spiega al lettore come durante una passeggiata venne profondamente colpito dalla visione di una distesa di giunchiglie dorate. Da quel momento, tale immagine riappariva periodicamente nella sua memoria (descritta come l’occhio interiore, o “inward eye“), rendendo il lettore partecipe di quello che è il concetto di poesia per gli autori romantici dell’epoca: un flusso spontaneo di sensazioni potenti, che nasce a partire dalle emozioni rielaborate in tranquillità.

Joan Miró, Personnage et oiseaux devant le soleil, 1976, olio su tela. Foto Gabriel Ramon. Archivio Successió Miró © Successió Miró  ADAGP, Paris, by SIAE 2021

Miró costruisce il suo linguaggio pittorico partendo proprio da queste sensazioni, che confluiscono sulla tela richiamandosi e interagendo tra loro. Come descritto da Charles Baudelaire (1821 – 1867) all’interno del suo componimento Correspondances, i suoni, i colori e i profumi dialogano tra loro, ed è compito del poeta interiorizzarne gli echi per tradurli sotto forma di verso. Nel caso di Miró, è anche l’amore sconfinato per la musica a ispirare numerose delle sue creazioni. Spaziando da Bach a Stravinskij, l’artista catalano riproduce le note sulla tela sotto forma di pennellate dense, attraverso le quali il colore diventa portatore di un significato espressivo mai visto prima. Il risultato finale è la nascita di un linguaggio inconfondibile, frutto di un vocabolario composto da infinite influenze sensoriali. A tal proposito, lo scrittore Raymond Queneau (1903 – 1976) affermava che «La pittura di Miró è una scrittura che bisogna saper decifrare. Una poesia deve essere letta nella sua lingua originale; bisogna imparare il miró, e una volta che si sa (o che si crede di sapere) il miró, ci si può mettere a leggere le sue poesie».

LA POESIA DI MIRÓ

All’interno di questo repertorio poetico l’uccello e la donna sono due protagonisti indiscussi. L’uccello è la rappresentazione dello stesso Miró, il quale indaga lo spazio pittorico attraverso la dinamica del volo. Si tratta della raffigurazione della libertà che l’artista professa: il volo permette alla creatività di schiudersi e di muoversi nello spazio, concedendo all’artista la possibilità di osservare il mondo da una prospettiva ogni volta differente. Questa idea può ricordare il paragone operato da Charles Baudelaire all’interno della poesia L’albatros, in cui l’omonimo uccello protagonista (rappresentazione del poeta) solca i mari grazie alle sue grandi ali, elevandosi a una dimensione superiore rispetto al resto dell’umanità.

Joan Miró, Peinture, 1973, olio su tela squarciata. Foto Joan Ramon Bonet. Archivo Successió Miró © Successió Miró  ADAGP, Paris, by SIAE 2021

Per Miró l’arte è vita, e la donna, entità generatrice di vita per eccellenza, non può ricoprire un ruolo marginale all’interno del suo operato. Durante il primo periodo produttivo questa è raffigurata con particolare attenzione verso gli aspetti geometrici, mentre nell’ultima fase della produzione la figura femminile viene sublimata e ridotta a gesto pittorico. Complice di questa evoluzione artistica fu senza dubbio l’interazione di Miró con gli scrittori e i poeti a lui contemporanei quali Max Jacob, André Breton, Tristan Tzara e Ernest Hemingway, che all’interno delle loro opere cercano di liberarsi delle metafore abusate per dare spazio alla più diretta impressione dei sensi.

Nonostante la continua e progressiva minimalizzazione nella rappresentazione dei soggetti, Miró sottolinea come le sue tele rimandino sempre a forme concrete, dichiarando che «Una forma non è mai qualcosa di astratto; è sempre segno di qualcosa. La pittura non è mai la forma per la forma». Attraverso queste forme Miró crea un universo all’interno del quale la realtà viene rielaborata dal sogno, invitando lo spettatore a perdersi in una dimensione inconscia che sfugge alle leggi del mondo razionale.

Autore: Davide Lanzi

Laureato in Civiltà e lingue straniere moderne a Parma e attualmente laureando in Languages for communication in international enterprises and organizations a Modena. Appassionato di letteratura e amante della scrittura nelle sue diverse forme e lingue.


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