Petroliera

AMOCO CADIZ

233.564 G.T.

 

QUARTO DISASTRO DEL GIGANTISMO NAVALE

 

16 MARZO 1978

Il relitto della AMOCO CADIZ a Portsall (Finistèrre) Francia

 

Armatore :…. Amoco Transport Company

  1. Lunghezza:334 Mt Larghezza:51 Mt – Puntale:26,18 Mt -Portata Lorda:230.000 T. – Impostata:28/06/1973

    Entrata in linea: 11/05/1974

     

Dopo aver caricato greggio in Golfo Persico, navigava verso la costa da Limebay a Rotterdam, percorso abituale negli ultimi anni.

 

NOTA: Passaggio di Fromveur


Il Passaggio di Fromveur (« Passage du Fromveur » in francese) è situato tra l’arcipelago di Molène e l’isola di Ouessant, nel mer d’Iroise (Finistère, Francia). Questo tratto di mare è percorso da correnti molto violente: fino a 8 o 9 nodi localmente, e circa 7 nodi in mare aperto.

 

La navigazione è molto pericolosa anche perché il vento che vi spira è contrario rispetto alla direzione della corrente, per questo il mare risulta essere sempre molto agitato.

 

Per proteggere e aiutare i naviganti, ci sono due fari, tra i più famosi della Bretagna: la Jument e Kéreon.

 

Prima della creazione della Torre Radar di Ouessant nel 1982, questo luogo è stato teatro di una serie di tragici naufragi, tra cui le petroliere Olympic Bravery (1976) e Amoco Cadiz (1978) che causarono disastri naturali gravissimi.
 Infatti questo tratto di mare è frequentato annualmente da circa 50.000 navi.

Cronaca del disastro

Alle ore 09,45 del 16 Marzo 1978, il timone del “colosso” và fuori uso, tutto l’equipaggio della nave viene messo al corrente della situazione, la navigazione prosegue e il comandante Bardari comunica, via radio, all’armatore il problema. C’è uno scambio di pareri, ma il Comandante rifiuta ogni offerta d’aiuto. Purtroppo la nave senza la possibilità di governare finisce incagliata.

 

Le condizioni del tempo peggiorano, due rimorchiatori Olandesi navigano a tutta velocità verso la Amoco Cadiz. La nave continua ad avvicinarsi pericolosamente verso la costa.

 

Verso le ore 22,00 i rimorchiatori riescono ad agganciare la Amoco Cadiz, che si trova a sole tre miglia della costa di Portsall. Il comandante della Amoco Cadiz lancia un disperato SOS, il vento è tanto forte che rende difficilissimo il salvataggio dei 44 uomini dell’equipaggio, la nave ferita a morte, comincia a perdere greggio e le 230.000 tonnellate di prodotto finiscono in mare. Durante quella forte tempesta la nave si spezza in due e affonda.

 

La sistematica ricerca di trasporti a bassissimo costo spiega la lunga litania di disastri petroliferi, soprattutto nell’Europa occidentale: Torrey-Canyon nel 1967, Olympic-Bravery, Urquiola e Boehlen nel 1976, Amoco-Cadiz nel 1978, Gino nel 1979, Tanio nel 1980, Haven nel 1991, Aegean-Sea nel 1992, Braer nel 1993 e Sea-Empress nel 1996 (anno in cui sono naufragate, in tutto il mondo, 70 petroliere). Ultimo in ordine cronologico, quello della petroliera Erika che, partita da Dunkerque alla volta di un porto italiano, si è spezzata ed è colata a picco in seguito a una tempesta al largo di Penmarch, il 12 dicembre scorso.

 

La “AMOCO TANKER COMPANY“, ordinò presso gli stessi cantieri una serie di quattro navi che hanno avuto i seguenti numeri di costruzione:

– C 93 AMOCO MILFORD HAVEN (affondata in rada a Genoa)

 

– C 94 AMOCO SINGAPORE

 

– C 95 AMOCO CADIZ (affondata a Portsall)

 

– C 96 AMOCO EUROPA

Una delle caratteristiche salienti di questa classe è la prua filante con il bulbo molto pronunciato, questo particolare rende subito riconoscibile la nave di questa classe, lunga 334 metri, larga 51, l’altezza della linea di costruzione è di 26,18 metri, la sovrastruttura è alta sette ponti.

 

Il viaggio della nave iniziò nel Golfo Persico con destinazione il porto di Le Havre (Francia) ed il disastro causato è considerato il 5º nella storia delle maree nere. Il carico era di 230.000 tonnellate di petrolio greggio iraniano trasportato, al quale si aggiunsero 3.000 tonnellate di gasolio, che si riversarono insieme lungo 400 km di coste bretoni della Francia.

 

La mattina del 16 marzo del 1978, verso le ore 09.00, le condizioni meteorologiche erano davvero proibitive: mare in burrasca, temporali e forti venti causarono, per le fortissime sollecitazioni, la rottura dell’impianto idraulico del timone. L’equipaggio della nave non ebbe altra scelta che richiedere soccorsi e assistenza alle autorità francesi. Nonostante l’arrivo di un potente rimorchiatore d’altomare, ci fu un ritardo operativo dovuto all’attesa dell’autorizzazione da parte della società Amoco. “Ritardo burocratico” che si protrasse a causa della TRATTATIVA in corso tra le parti sulla formula NO CURE NO PAY (Pago se mi salvi). Il comandante fu costretto ad attendere l’ordine dei dirigenti, ma a causa dei fortissimi venti, la superpetroliera raggiunse in poco tempo gli scogli affioranti in prossimità della costa e qui s’incagliò, si spezzò in due riversando il suo carico inquinante.

 

La mobilitazione

 

 

 

Centinaia di volontari si mossero immediatamente organizzati da Associazioni Ecologiste si rimboccarono le maniche per scongiurare una contaminazione dei litorali. In seguito, le Autorità locali dichiararono che non bastarono sei mesi per pompare e disperdere il petrolio che aveva ricoperto le spiagge colpite. Ben 90 comuni ebbero le spiagge invase dalla marea nera.

 

 

 

Le reazioni

 

 

 

La catastrofe nel paese transalpino suscitò notevole sconcerto e apprensione. Poco dopo l’accaduto, alcune Organizzazioni Ecologiste diramarono un appello per boicottare la SHELL, la società destinataria del carico, anche perché la stessa multinazionale non si era affatto impegnata nelle operazioni di bonifica delle aree contaminate.

 

Le conseguenze all’ambiente e il danno causato

 

 

 

Questo incidente fu il decimo per gravità nella storia dei naufragi di petroliere. I decessi non sono avvenuti immediatamente, bensì la più alta mortalità di animali avvenne nell’arco di due mesi dalla catastrofe. Già dopo un paio di settimane, milioni di molluschi e echinoidee (ricci di mare) morirono, a cui si aggiunsero circa 9.000 tonnellate di ostriche. Per molti mesi i pescatori raccolsero animali con ulcere e tumori alla pelle, e quelli che a “prima vista” apparivano sani, avevano uno sgradevole sapore di petrolio.

 

 

 

Nel 1988 il danno al turismo ed ai pescatori fu stimato in circa 250 milioni di dollari. Il Governo francese presentò un “conto” di 2 miliardi di dollari da destinare ai richiedenti: Stato, Comuni, singoli privati, associazioni professionali e ambientali.

 

 

A seguito di questo incidente, nel 1982 sull’isola di Ouessant fu costruita una Torre Radar che assicura da allora il controllo e l’assistenza ai naviganti che transitano in questo trafficatissimo tratto di mare.

 

 

 

Anziché adoperarsi per impedire che il greggio raggiungesse le coste della Cornovaglia, emerse in modo evidente l’inesistenza di coordinamento tra gli Stati confinanti per la salvaguardia del mare e delle coste, al contrario fu chiaro fin dall’inizio il tentativo estremo di salvare la petroliera con il suo carico. Solo quando fu chiaro che la Torrey Canyon era definitivamente perduta fu presa la decisione di far levare in volo otto aerei Buccaneers della RAF per bombardare la nave provocandone l’affondamento per evitare danni maggiori. L’uso massiccio ed indiscriminato di sostanze chimiche, molte delle quali tossiche, per il trattamento e la bonifica delle coste invase dal petrolio, finì per causare danni peggiori e duraturi all’ambiente. Il naufragio della Torrey Canyon fu un’Apocalisse nel vero senso del termine, cioè una rivelazione: la fiducia pressoché illimitata del pubblico nella possibilità di poter trasportare senza alcun rischio sostanze altamente inquinanti come il petrolio, colò a picco con essa.

 

 

 

Disastri navali e inquinamento da idrocarburi: il bilancio di un quarantennio.

 

Anche se in realtà dal 1959 i disastri navali con conseguente sversamento di idrocarburi erano già stati almeno una quarantina, fu solo nel 1967, cioè all’indomani dell’incidente della Torrey Canyon che l’opinione pubblica mondiale ebbe la reale percezione dei pericoli ambientali legati al trasporto del greggio via mare e che sul piano normativo e della gestione delle emergenze si prese coscienza della necessità di intervenire in modo più incisivo di quanto non si fosse fatto fino a quel momento. Tralasciando la ricostruzione cronachistica dei singoli incidenti e tentando una sia pure sommaria analisi dell’elenco di questi incidenti nell’arco dei decenni successivi al 1967 in base alla quantità di greggio rilasciato in mare e nell’ambiente circostante (Tabella 1), è possibile avanzare alcune interessanti riflessioni.

 

Tabella 1. Elenco dei maggiori disastri petroliferi (in milioni di galloni) (in corsivo gli incidenti provocati da petroliere)

 

1. Guerra del Golfo (1991)

240.0

2. Piattaforma Deepwater Horizon, Golfo del Messico (2010)

205.8

3. Piattaforma Ixtoc, Golfo del Messico (1979)

140.

 

4. Abt Summer, largo della Angola (1991)

80.8

 

5. Nowruz, Arabia Saudita (1980)

80.0

 

6. Fergana, Uzbekistan (1992)

80.0

 

7. Castillo de Bellver, largo del Sudafrica (1983)

78.5

 

8. Amoco Cadiz, Nord Ovest al largo della Francia (1978)

68.7

 

9. Atlantic EmpressAegean Captain, largo di Trinidad e Tobago (1979)

48.8

 

10. MT Haven, largo di Genova (1991)

44.4

 

11. Pozzo petrolifero, 480 miglia a sud-est di Tripoli (1980)

42.0

 

12. Odyssey, largo della Nuova Scozia (1988)

40.7

 

13. Pozzo di Lakeview, California (1910)

37.8

 

14. Irene’s Serenade, Grecia (1980)

36.6

 

15. Torrey Canyon, largo delle isole Scilly (1967)

35.0

 

16. Sea Star, largo dell’Oman (1972)

34.0

 

17. Shuaybat, Kuwait (1981)

31.2

 

18. Urquiola, largo della costa Nord della Spagna (1976)

29.0

 

19. Hawaian Patriot, Nord del Pacifico (1977)

29.0

 

Premesso che quantificare con precisione la effettiva quantità di sostanze nocive, in questo caso idrocarburi, riversate nell’ambiente per cause accidentali è molto difficile e che le stime tendono a divergere, spesso anche notevolmente, a seconda delle fonti, si può infatti affermare che, a dispetto della loro fama le petroliere, pur restando una delle maggiori cause di sversamenti di petrolio (considerati convenzionalmente quei disastri che provocano il rilascio di più di 700 tonnellate di idrocarburi nell’ambiente), non solo non sono responsabili di almeno delle tre più gravi catastrofi della storia, ma che molti degli incidenti più gravi presenti nell’elenco sono prevalentemente concentrati tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta (dalla Torrey Canyon alla Amoco Cadiz e alla Atlantic Empress, fino alla Castillo de Bellver) fino ai primi anni Novanta (la Haven e soprattutto la ABT Summer entrambe affondate nel 1991, vero e proprio annus horribilis nella storia di questo tipo di disastri ambientali).

 

 

Carlo GATTI

8 Aprile 2015