Il diritto all’acqua potabile ed ai servizi igienico sanitari è stato solo di recente riconosciuto in quanto diritto essenziale alla vita ed all’esercizio di tutti i diritti dell’uomo. Tale diritto però rischia di non essere garantito a causa delle privatizzazioni, dei progetti di sviluppo e del cambiamento climatico. Inoltre, l’acqua potabile, che diventa sempre più importante man mano che diminuisce, diventa il centro di quella che prende il nome di “geopolitica dell’acqua”. Tutto ciò mette in luce l’importanza di riflettere sul legame che intercorre tra ambiente e migrazioni.

Il diritto umano all’acqua

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Nel luglio del 2010 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 64/292, la quale sancisce che “il diritto all’acqua potabile ed ai servizi igienico sanitari è un diritto dell’uomo essenziale alla qualità della vita ed all’esercizio di tutti i diritti dell’uomo. La risoluzione, seppure atto non giuridicamente vincolante, è un passo particolarmente significativo da un punto di vista politico poiché per la prima volta il diritto all’acqua viene riconosciuto come “un diritto umano universale e fondamentale”, estensione del diritto alla vita affermato nell’articolo 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 e parte integrante del diritto “ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della famiglia” – sancito nell’articolo 25 della stessa Dichiarazione, in cui viene riservato un “particolare riguardo all’alimentazione”.

Il diritto all’acqua viene quindi riconosciuto nella sua imprescindibilità dalla vita umana, in quanto essenziale per la dignità della persona e per il pieno godimento della vita. Nello stesso anno, inoltre, il Consiglio per i Diritti Umani, organo sussidiario dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha approvato la risoluzione 15/19 la quale afferma che “il diritto fondamentale all’acqua ed ai servizio igienico-sanitari si associa al diritto ad una vita dignitosa ed è indissolubilmente legata a migliorare lo stato della salute fisica e mentale ed ai servizi igienico sanitari in quanto diritto alla vita ed alla dignità.

Una prima “concretizzazione” del diritto umano all’acqua ed ai servizi igienico-sanitari si ha però con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile. Questa è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015 con lo scopo di affrontare la povertà, le diseguaglianze e le altre sfide globali. In generale, viene stabilità una lista di 17 obiettivi – denominati Sustainable Development Goals (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile) – ai quali sono correlati 169 “sotto-obiettivi” che riguardano tutte le dimensioni della vita umana e del pianeta. Questi, in linea teorica, dovranno essere raggiunti da tutti i paesi del mondo entro il 2030.

All’obiettivo 6, intitolato “Acqua pulita e servizi igenico-sanitari”, i membri delle Nazioni Unite si pongono l’obiettivo di “Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie” e di affrontare i temi della qualità e della sostenibilità delle risorse idriche in tutto il mondo. Con l’obiettivo 6 si riconosce che un’ampia serie di fattori antropici (quali il riscaldamento della superficie terrestre, la continua crescita dell’irrigazione e dei consumi idrici, la progressiva scomparsa degli habitat acquatici ed i numerosi fenomeni di inquinamento) influenzano profondamente il sistema idrico globale.

Per comprendere quanto sia importante tutelare il diritto all’acqua in quanto diritto umano occorre evidenziare come altre Convenzioni internazionali che si occupano delle cosiddette “categorie vulnerabili” abbiano consacrato tale diritto. A tal proposito, si pensi alla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW)del 1979 che all’art. 14 (h) dichiara che gli Stati devono garantire il “diritto alla fornitura d’acqua alle donne in zone rurali”. Inoltre all’art. 24(2,c) della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989 si dichiara che gli Stati devono garantire il “diritto del minore alla fornitura dell’acqua e degli elementi nutritivi”. Infine la Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006 afferma all’art. 28(a) che occorre adottare misure adeguate per “garantire alle persone con disabilità parità di accesso ai servizi di acqua salubre”.

La visione andina dell’acqua

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Dal 4 al 10 aprile del 2000 si è svolta un’insurrezione popolare a Cochabamba, in Bolivia, conosciuta anche come “La guerra dell’acqua”. L’insurrezione nacque a causa della privatizzazione, avvenuta sotto l’egida della Banca Mondiale, dell’impresa municipale SEMAPA che gestiva l’acqua a Cochabamba. Il Governo boliviano di Hugo Panzer Suarez nel 1999 cedette il servizio municipale al consorzio Aguas del Tunari, controllato dalla londinese International water, sussidiaria della multinazionale statunitense Bechtel Corporation. Nel giro di pochi mesi gli abitanti di Cochabamba videro aumentare le proprie tariffe per la fornitura di acqua del 300% mentre, parallelamente, le condizioni delle reti idriche e fognarie continuavano a peggiorare senza che venisse portata avanti alcuna operazione di mantenimento o miglioramento delle stesse. L’episodio scosse l’opinione pubblica internazionale e diede vita a diversi movimenti per la difesa dell’acqua, stimolando allo stesso tempo una riflessione sul legame che lega la cultura andina all’acqua. 

La cultura ancestrale andina vede infatti un profondo legame tra uomo, acqua e natura nel quale l’acqua è l’elemento “generante” e “regolatore”.  Nella mitologia Inca, ad esempio, si narra che Wiracocha (traducibile con “riserva di sostanza vitale” o con “principio generatore”) apparve dove oggi si trova il Lago Titicaca e creò i primi uomini, disponendoli nel sottosuolo in modo che si diffondessero per le terre attraverso le vene acquatiche sotterranee. I luoghi da cui riaffiorarono assunsero il nome di Paqarinas, attualmente consideratiluoghi sacri da cui sgorga l’acqua, la vita e la cultura.

Oltre ai miti sulla creazione, la cosiddetta “Visione dell’acqua” dei popoli andini vede la circolazione universale tra tutte le fonti d’acqua. Secondo tale concettualizzazione, l’acqua è ciò che mette in ordine il “caos” e che collega il mare alle cime innevate attraverso un movimento ciclico. Questo movimento viene inteso sia in termini spaziali (in quanto incorpora l’universo intero) sia in termini temporali (in quanto, ad esempio, i ghiacciai col tempo creano riserve idriche fondamentali per il futuro delle produzione agricole). Tale visione dell’acqua si può riscontrare ancora oggi in alcune pratiche quotidiane – ad esempio per organizzare l’agricoltura si usa la lettura di bioindicatori e dei movimenti dell’acqua – ed in riti che hanno dato vita a quelle che sono state definite come “società idrauliche” o “culture anfibie”, ovvero di culture costruite attorno alla gestione comunitaria dell’ambiente naturale e dell’acqua.

L’esempio delle cultura andina è simbolico per comprendere che nel corso della storia, ovunque nel mondo, la sacralità e il rispetto per l’acqua è ed è stato fondamentale per la nascita di culture e società.  Storicamente, inoltre, i corsi d’acqua sono stati punti di riferimento per lo sviluppo delle società di ogni epoca e luogo. Il caso andino pertanto, invita ad immaginare nuovi percorsi basati sulle esperienze ed i saperi profondamente legati all’ambiente così da andare oltre la concettualizzazione del diritto all’acqua come diritto utile per la “sopravvivenza” e riconoscerne piuttosto la sua “dimensione esistenziale” e culturale. Occorre quindi notare che il diritto all’acqua rientra tra i diritti culturali dei popoli indigeni.

L’accesso all’acqua e gli effetti del cambiamento climatico

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Attualmente il 36% della popolazione mondiale ancora non dispone di un punto d’accesso all’acqua potabile e, secondo le stime delle Nazioni Unite, la domanda d’acqua aumenterà sia per la crescita demografica che per la crescita dei consumi d’acqua dell’industria e dell’agricoltura. Attualmente lo stress idrico colpisce soprattutto le aree rurali delle zone più povere del pianeta ed ogni 15 secondi un bambino muore per malattie dovute al consumo di acqua non potabile, 748 milioni di persone nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile e 2,5 milioni non hanno accesso ai servizi igienici essenziali. A ciò si aggiunge che secondo il Quinto rapporto di valutazione dell’IPCC circa il 7% della popolazione mondiale dovrà far fronte a una riduzione di quasi il 20% della disponibilità di risorse idriche a causa dei cambiamenti climatici.

Quello che viene definito stress idrico però non riguarda solo le aree desertiche e predesertiche ma anche zone caratterizzate da precipitazioni intense concentrate nel tempo che rendono complesso l’immagazzinamento e lo sfruttamento dell’acqua piovana, oltre che il suo utilizzo per gli usi civili. I paesi che ne soffrono principalmente sono quelli del Sud Globale – ossia aree come l’Africa settentrionale e Subsahariana, il Medio Oriente, l’Asia centrale e meridionale ma, sempre di più, anche paesi come la California, la Spagna e l’Italia.

Scenari futuri: la geopolitica dell’acqua

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Una delle preoccupazioni principali è che in un mondo “assetato” le riserve di acqua saranno desiderate quanto o più delle riserve di petrolio in quanto le risorse idriche rivestono un’importanza fondamentale per le Nazioni del mondo. Il Forum economico mondiale, meglio conosciuto come Forum di Davos, già nel 2011 aveva messo in rilievo il legame molto stretto che lega risorse idriche, alimentazione ed energia. Per questi motivi la geopolitica delle risorse idriche sarà fondamentale per il prossimo futuro in quanto “le acque” incidono sul sistema produttivo, la sopravvivenza delle popolazioni, l’agricoltura e la logistica.

L’acqua rappresenta già oggi un elemento di tensione tra gli Stati ed all’interno degli Stati stessi. A tal proposito lo stress idrico ha diverse dimensioni: la scarsità, la difficoltà di accesso e di gestione della risorsa.  Queste dimensioni possono portare al sorgere di un conflitto per le risorse idriche per diversi motivi (ad esempio per ottenerne il controllo o per utilizzarle come strumenti politici), oppure i bacini idrici possono essere obiettivi militari sensibili ed oggetto di atti terroristici. Inoltre possono nascere conflitti sociali legati ai modelli di sviluppo economico imposti in determinati territori e fondati sulla gestione idrica. In altre parole, l’acqua ha una funzione di asset strategico per lo sviluppo sociale, umano ed economico di un paese. Per questi motivi la cosiddetta “geopolitica dell’acqua” ed il controllo delle risorse idriche può avere diverse funzioni:

  1. Regolare il regime idrico col fine di garantire l’agricoltura e raggiungere attraverso di essa l’autonomia alimentare;
  2. Ridefinire i confini post-coloniali attraverso la rivendicazione di fiumi di confine;
  3. Deviare i consumi elettrici interni dal petrolio e dal gas naturale verso l’idroelettrico, attraverso la costruzione di dighe, in modo da rendere disponibile per l’export una maggiore quantità di idrocarburi;
  4. Fungere da strumento di guerra asimmetrica o di gestione dei rapporti nei confronti dei vicini;
  5. Favorire al Paese una minore dipendenza dagli aiuti internazionali.

Un caso esemplare è la tensione geopolitica suscitata dal progetto turco del Southestern Anatolia Development Project, meglio conosciuto come Gap, che prevede la costruzione di 22 dighe e 19 impianti di energia idroelettrica. Prima dell’inizio della guerra civile siriana del 2011, vi erano state infatti delle tensioni tra Siria e Turchia in quanto il piano turco intendeva utilizzare in modo massiccio le acque dell’Eufrate, fonte di sostentamento idrico fondamentale per la Siria in quanto mantiene ad un livello accettabile le acque del Lago Assad, a sua volta importante per garantire la produzione di energia idroelettrica e per l’irrigazione.

Un altro caso esemplare è il conflitto per l’acqua tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese. In questo caso Israele ha utilizzato sia acque marine desalinizzate, sia acque delle aree montane per soddisfare il proprio fabbisogno idrico, destinando quote d’acqua ai palestinesi in base agli accordi di Oslo del 1993. La criticità viene rappresentata dal fatto che Israele controlla le tre principali fonti di acqua nei territori palestinesi occupati: l’acquifero montano della Cisgiordania, il fiume giordano e l’acquifero costiero. Nel corso del 2020 Israele ha ridotto in modo significativo la quantità di acqua destinata alla Cisgiordania negandone l’accesso alla popolazione palestinese e rifornendo i coloni israeliani nei territori occupati. Pertanto la “guerra per le acque” rappresenta e rappresenterà sempre di più uno dei fattori chiave alla base della tensione tra i due popoli.

A questi casi si aggiungono le azioni portate avanti da paesi, come l’Arabia Saudita, la Cina o l’India, che attraverso fondi sovrani acquistano vaste terre, soprattutto in Africa e in Asia, determinando fenomeni di Land Grabbinge Water grabbing.

Scarsità d’acqua e migrazioni

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Come possiamo vedere la questione della gestione delle risorse naturali diventa sempre più importante ed è sempre più riconosciuto il legame tra risorse naturali e migrazioni. L’impatto del cambiamento climatico e la costruzione di mega progetti da parte degli Stati, come nel caso della costruzione di dighe che causano lo sfollamento di intere popolazioni, mettono a rischio la disponibilità e la qualità dell’acqua. Ciò, a sua volta, mette in pericolo la stabilità sociale e le opportunità economiche delle popolazioni interessate. A tal proposito la scarsità d’acqua ha almeno due conseguenze importanti.

In primo luogo, la scarsità d’acqua può pregiudicare la sicurezza alimentare e costringere le persone a migrare alla ricerca di ambienti con più acqua. Tale fenomeno, solitamente, è collegato ad altri fattori come l’instabilità politica, i problemi di governance e le sfide che si presentano alle economie agricole ed alle opportunità di sostentamento.

In secondo luogo, soprattutto nelle regioni altamente dipendenti dall’agricoltura e dalla pesca, si registra un cambiamento nella disponibilità o nell’accesso all’acqua ed ai relativi servizi ecosistemici (ovvero quei servizi offerti dall’ecosistema che sono utili al proprio autosostentamento ed al sostentamento dell’essere umano), pregiudicando direttamente il benessere e la sicurezza socio-economica della popolazione locale, come nel caso di Boko Haram e la regione del Lago Ciad.

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Fonti e Approfondimenti

A/HRC/RES/15/9 – Human rights and access to safe drinking water and sanitation, Resolution adopted by the Human Rights Council.

A/RES/64/292 – The human right to water and sanitation, Resolution adopted by the General Assembly on 28 July 2010.

Altiero S., Marano M. (a cura di), Crisi ambientale e migrazioni forzate. L’ondata silenziosa oltre la fortezza Europa, Roma, 2016

Cerreti C., Marconi M., Sellari P., Spazi e poteri: Geografia politica, Geografia economica, Geopolitica, Bari, 2019

Diritto all’acqua – Consiglio nazionale forense presso il ministero della giustizia

IPCC, 2014: Climate Change 2014: Synthesis Report. Contribution of Working Groups I, II and III to the Fifth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change [Core Writing Team, R.K. Pachauri and L.A. Meyer (eds.)]

UN WATER – The United Nations World Water Development Report 2020: Water and Climate change

Valori G. E., Geopolitica dell’acqua: la corsa all’oro del nuovo millennio, Milano: Rizzoli, 2012

Yaku (a cura di), La visione dell’acqua: un viaggio dalla cosmogonia andina all’Italia dei beni comuni, Roma: Nova Delphi, 2011

Vice-presidente Large Movements APS | Climate Change e Migration Specialist | Dottore in Relazioni Internazionali | Blogger in Geopolitica, Geoeconomia e tematiche Migratorie | Referente LM Environment

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