“Attendere fa parte della natura dell’uomo. Da tempo immemorabile l’uomo attende qualcuno, o con devozione attende a qualcuno: una divinità, un dio, una persona amata (…). Gli enigmi e i paradossi dell’attesa sono fra le creazioni più nobili della mente e dell’animo dell’uomo. Tutti coloro che hanno intrapreso grandi viaggi negoziano l’attesa (…). L’attesa è l’esperienza cruciale di chiunque cerchi di costruirsi i propri strumenti per sperimentare se stesso e gli altri. L’attesa, la lunga attesa, può essere salute e può essere malattia. Colui che attende trova. La non-attesa garantisce la non-scoperta…”

Da “Trasgressioni” di M. Masud Khan, psicoanalista

 

La lettura di queste parole ha attirato la mia attenzione, l’antica arte del saper aspettare, un’attesa silenziosa, attiva e fiduciosa che non è passività, non è inerzia, ma luminosa pazienza, quel saper attendere il naturale fluire degli eventi. Rispettare la loro ciclicità, l’imprevedibilità, gli eventuali ritardi, i probabili disagi. E intanto operare, attivarsi, impegnarsi, evolversi, dentro e fuori di sé, nel rispetto dei tempi di maturazione previsti e non prevedibili.

I nostri nonni lo facevano e hanno cercato di trasmetterlo, loro sì che sapevano aspettare, fluire col cielo e la terra, rispettare i tempi della natura, assecondare il susseguirsi delle stagioni. Accettare e accogliere con naturale serenità l’alternarsi delle cose…della luce e del buio.

Oggi siamo impazienti, spesso inconsapevoli, pretendiamo tutto subito, vogliamo avere i frutti di quel che abbiamo seminato, vedere il fiorire del nostro operare senza attese, solo smaniosi di avere. L’attesa è necessaria, anzi produttiva, l’attesa è desiderio, scoperta, conquista…godimento.

Il grande viaggio della Vita, negli affetti, nell’amore, come nella professione, dovrebbe apprendere la grande lezione del saper stare e aspettare.

Come la natura insegna, i frutti arrivano quando i tempi sono maturi, nulla è dovuto. Questo il senso delle stagioni, del tempo della semina, dei primi germogli, del fiorire e del maturare. Un ciclo continuo guidato dall’imprevedibilità, dal tempo, dal clima, dagli scherzi dell’universo che possono incidere anche pesantemente su tutto questo.

Così nella vita, ogni cosa ha il suo momento e il nostro accelerare, volere a tutti i costi, pretendere, è controproducente e rischia di produrre frutti acerbi, non buoni.

L’attesa silenziosa, attiva e fiduciosa è un atteggiamento prezioso per le pretese che abbiamo rispetto a noi stessi, sempre così dominati da un severo senso del dovere che allontana dal sé, dal reale bisogno, rendendo impossibile il gusto della conquista. È utile nelle relazioni, in amore, sul lavoro, dove l’ansia e il non saper aspettare possono portare a errori di valutazione, ad azioni precipitose, creare rigidità e fratture, rompere relazioni che, con un po’ di tempo in più, potrebbero naturalmente riprendere forma, colore, musica.

Questo richiede un costante lavoro su di sé, un’intima conoscenza dei propri bisogni, esige impegno per coltivare i propri talenti, affinare le proprie competenze, imparare a riconoscere e a liberare i propri sentimenti. Presuppone la capacità di uno sguardo d’insieme, uno sguardo complessivo ed empatico, su di sé e sul mondo, che è consapevolezza, trasformazione, crescita, evoluzione, scoperta.

L’arguto psicoanalista Masud Khan si sofferma a lungo su questo aspetto: “La non-attesa garantisce la non-scoperta”. L’impazienza non consente di conoscere e sviluppare le tante potenzialità nascoste, l’impazienza fa perdere di vista la bellezza e le qualità interiori che potrebbero fiorire se concedessimo loro il tempo di sbocciare. Talenti preziosi di cui nemmeno notiamo l’esistenza, perché non ci prendiamo il tempo di ascoltarli, osservarli, esprimerli, sperimentarli. L’attesa non è vuoto, demotivazione, assenza, non è tempo senza contenuti, sensazioni, emozioni, preparazione e cura. Questa è la sua parte ombra, il virus che infetta il tempo della giovinezza di tanti giovani d’oggi.

E il mio personale auspicio è che questa antica arte dell’attesa silenziosa, attiva e fiduciosa, possa essere ri-scoperta, coltivata, trasmessa, insegnata. Solo la pazienza, il silenzio, l’ascolto consentono quella consapevolezza che rende piena, colorata, luminosa ogni emozione, ogni conquista, qualunque risultato. E consente anche nell’errore di non di cadere o sentirsi un fallito, un perdente, ma di reagire, comprendere, trasformare, evolvere, dunque migliorare. E assaporare quel naturale gusto del piacere, che è un gusto semplice, immediato e accessibile a tutti.

Buona vita dunque, anzi, buon viaggio!