Lo stambecco delle Alpi, come è tornata a prosperare una delle specie simbolo delle nostre montagne

Minacciato dai cacciatori, questo animale era diventato una rarità nel corso dell’Ottocento. Grazie a un programma di reintroduzioni e all’istituzione di aree protette si è salvato dall’estinzione e attualmente la sua popolazione, nonostante la distribuzione geografica alquanto frammentata, è in significativa crescita.
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Rubrica a cura di Federico Turrisi
22 Maggio 2020

Quella dello stambecco delle Alpi è una storia a lieto fine. Almeno per il momento. La Capra ibex (questo il nome scientifico dello stambecco) verso la metà dell'Ottocento si è trovata a un passo dall'estinzione. Se ne contavano pochissimi esemplari: solo in Valle d’Aosta, nell'area intorno al Gran Paradiso, sopravviveva un piccolo nucleo composto da un centinaio di animali.

Il motivo di questo declino? La caccia intensiva. Lo stambecco alpino era ricercato non solo per la sua carne, ma anche per alcune parti del suo corpo, tra cui le corna, che venivano utilizzate come ingrediente nella medicina popolare tradizionale. La svolta arrivò nel 1856 quando l'allora sovrano del regno di Sardegna Vittorio Emanuele II istituì una riserva reale per proteggere gli esemplari ancora rimasti in vita. Da quella riserva è nato poi, nel 1922, il parco nazionale del Gran Paradiso, sul cui logo campeggia la sagoma di uno stambecco delle Alpi.

Con il passare del tempo, grazie a diverse operazioni di reintroduzione e a successive ricolonizzazioni spontanee, la popolazione è tornata a crescere. Attualmente è possibile trovare esemplari di questa specie dalle Alpi Marittime, in Piemonte, alle Alpi di Carinzia, in Friuli Venezia Giulia. Ma non bisogna dimenticare che tutti gli stambecchi odierni presenti sulle Alpi sono originari proprio da quel ceppo del Gran Paradiso. Ciò ha determinato un livello di variabilità genetica tra i più bassi nei mammiferi.

Secondo la Banca Dati degli Ungulati Italiani curata dall'Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), nel nostro paese si contano al momento circa 65 colonie per un totale di oltre 16 mila unità. La buona notizia è che negli ultimi anni il numero di stambecchi sta crescendo in maniera vistosa. Dal 1980 a oggi l'incremento medio annuo è stato del 5% e in Italia il numero di colonie è salito negli ultimi 15 anni da 42 a 65. Di queste, 36 si sono originate a seguito di programmi di reintroduzione operati dall'uomo.

Anche alla luce di questi dati, lo stambecco alpino non è più considerato in pericolo di estinzione. Tuttavia, rimane un osservato speciale che necessita di ulteriori reintroduzioni in futuro. Rispetto alle potenzialità del territorio alpino italiano, la popolazione di stambecchi è infatti ancora piuttosto ridotta. Due sono gli ostacoli, in particolare: la discontinuità degli areali, che può creare situazioni di isolamento per alcune colonie, e la lentezza nella colonizzazione spontanea di nuove aree da parte di questi ungulati.

Sottolineiamo che lo stambecco delle Alpi è attualmente una specie non cacciabile in Italia. O meglio, non essendo menzionato nella legge 157/92 né tra le specie cacciabili né tra quelle particolarmente protette, è considerato di fatto una specie protetta. Si sta discutendo però sulla possibilità di ammettere il prelievo venatorio dello stambecco, dal momento che l'animale figura nell'Allegato V della Direttiva Habitat (92/43/CEE) tra le "specie di interesse comunitario il cui prelievo in natura potrebbe essere oggetto di misure di gestione". Staremo a vedere che cosa decide il legislatore.

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Laureato in lettere e giornalista professionista, sono nato e cresciuto a Milano. Fin da bambino ad accompagnarmi c’è (quasi) sempre stato un altro…