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Perfezionismo “utile” e perfezionismo “clinico”

Se sei un perfezionista pretendi da te la perfezione, forse la esigi anche dagli altri e compi sforzi sovrumani per raggiungerla. Se sei un perfezionista sei metodico, puntiglioso e presti un’attenzione meticolosa a ogni minimo dettaglio, fino all’esasperazione. Non  sei in grado di accettare la minima eccezione alla regola in qualsiasi campo o in settori specifici che consideri di tua competenza: che si tratti della casa, della forma fisica, dell’educazione di un figlio, del rapporto di coppia, del lavoro. Se sei un perfezionista molto probabilmente sei una persona che ha raggiunto risultati superiori alla media delle persone, ma ciò che fai fatica a fare è rilassarti, vivere serenamente le relazioni, godere la vita e i tuoi successi e trarne soddisfazione a vantaggio della tua autostima.

 

Consultando il Dizionario di Psicologia di Galimberti il “perfezionismo” viene definito come la “tendenza a chiedere a se stessi e agli altri delle prestazioni al massimo delle proprie o delle altrui possibilità se non addirittura al di sopra delle rispettive capacità, allo scopo di soddisfare delle aspirazioni che la psicoanalisi vede originate dalle ambizioni dei genitori (perfezionismo parentale) e poi introiettate dall’Ideale dell’Io, che si fa esigente nei confronti dell’Io, con la possibilità di generare una situazione conflittuale tra le mete prefissate e le possibilità a disposizione per attuarle”. In base a questa definizione il perfezionista è quindi una persona costretta dal proprio ideale di personalità a imporsi obiettivi sempre più ardui, un adulto che è in conflitto con un “bambino del passato” che lotta ancora per conquistare l’accettazione da parte dei suoi genitori, cosa che gli è stata negata a causa del loro incessante incitamento, più o meno esplicito, a “fare meglio e di più”:ad essere più forte, più bravo, più responsabile.

 

Nella nostra cultura, intrisa di perfezionismo, il perfezionista è spesso considerato come un individuo di successo, chi lotta incessantemente per migliorarsi e raggiungere degli obiettivi è visto come una persona vincente. In effetti, non sempre cercare di eccellere equivale ad essere perfezionisti in senso patologico: esiste anche un perfezionismo utile e funzionale, un sano desiderio di automigliorarsi.

 

Proviamo quindi a tratteggiare la differenza tra perfezionismo funzionale o normale e perfezionismo disfunzionale o clinico.

 

Perfezionismo funzionale o normale Perfezionismo disfunzionale o clinico
Standard alti, ma possibili e realistici

 

Standard adattati alle situazioni

 

Desiderio di eccellere

 

Competizione

 

Valorizzazione indipendente dalla

performance

 

Attenzione sul fare la cosa giusta

 

Pensiero equilibrato

 

Serenità nell’affrontare

 

Capacità di creare buone relazioni

 

Capacità di soddisfazione e piacere

 

 

 

Standard altissimi e irragionevoli

 

Forte paura del fallimento

 

Credenza che uno solo può eccellere

 

Competizione esasperata e impaurita

 

Valorizzazione totalmente dipendente dalla performance

 

Attenzione ansiosa sull’evitamento dell’errore

 

Pensiero dicotomico (bianco-nero)

 

Tendenza ad evitare le prove

 

Tendenze compulsive al dubbio

 

Difficoltà a costruire legami

 

Incapacità di sperimentare piacere

 

La Psicologia Invividuale adleriana ci offre un’interessante e tutt’ora attuale visione complessiva dell’uomo che, a partire dal concetto di sentimento sociale e di direzione socialmente utile dell’aspirazione alla perfezione, propone un illuminante criterio che consente di dare ragione della distinzione tra perfezionismo funzionale e disfunzionale e di chiarire il legame tra perfezionismo disfunzionale e disagio psichico.

 

Secondo Alfred Adler tutti aspirano al proprio miglioramento, ad eccellere e questa spinta è tanto più forte quanto più forte è il bisogno di compensazione di un originario senso di insicurezza. Nelle persone che hanno una sufficiente stima di sé, che si sono sentite amate e apprezzate, la meta di superiorità non è un ideale irrigidito, ma è una linea guida flessibile che accetta il lento accrescersi delle competenze e ammette l’insuccesso e, di conseguenza, la spinta ad automigliorarsi ha la possibilità di rivolgersi verso il lato utile della vita, in un’ottica di cooperazione e partecipazione socialeNelle persone con tratti perfezionistici disfunzionali, invece, l’aspirazione alla superiorità è vissuta come un “dover essere” immediato, una necessità estrema e finzionalmente vitale di superare l’inadeguatezza in termini definitivi e “quasi magici” (essere perfetto, essere davvero bravo), è un processo ipercompensatorio ad un accresciuto sentimento di disvalore personale che polarizza il mondo in superiorità ed inferiorità estreme e allarmanti. In questi casi la stima di sé è sempre legata alla performance attuale, come se non esistessero talenti e competenze passate e la continua ricerca di una perfezione esasperata e irrealistica non può che muovere verso il lato non utile della vita e assorbire in modalità solitarie, escludenti o evitanti. Paure, angosce, vergogna e panico sono pane quotidiano del perfezionista clinico che si trova a cercare, suo malgrado, di mettersi alla prova o evitare le prove in una continua altalena di bisogno di conferma del proprio valore e di terrore di fallimento.

 

Le persone con tratti perfezionistici disfunzionali, proprio per le dinamiche psicologiche descritte, mostrano molto frequentemente stili relazionali solitari e difficoltà nei rapporti affettivi, nei contatti intimi. Poichè il perfezionista sta sempre combattendo per raggiungere una meta irrigidita (la promessa ideale di una totale accettazione), una normale relazione interpersonale, il bisogno universale di intimità, la rivelazione all’altro dei propri sentimenti sono ambiti in cui può trovarsi in difficoltà. Questi rapporti si basano sull’indulgente accettazione della propria e dell’altrui imperfezione e vulnerabilità, ma la sua aspettativa ideale e la costante autodenigrazione ne corrodono la base. Anche il rapporto sessuale potrà essere vissuto più in termini di prestazione che di scambio emotivo e la paura di fallire potrà creare ostacoli in questa attività.

 

Il perfezionismo disfunzionale o clinico che tende, in modo di solito inconscio, verso l’onnipotenza e la grandiosità personale da ottenersi attraverso percorsi di perfezione esasperata, viene,non solo da Adler ma da molte correnti psicologiche, riconosciuto come presente in numerose forme psicopatologiche: disturbi d’ansia, fobia sociale, disturbo ossessivo compulsivo, anoressia nervosa, problematiche relazionali sono le forme psicopatologiche più spesso associate.

 

In una psicoterapia adleriana, la limpidezza interpretativa che consente  alla persona di riconoscere le proprie mete finzionali rafforzate e il suo continuo meccanismo di autosvalutazione e, accanto a ciò, la costante ed empatica presenza di un terapeuta incoraggiante permettono, con il tempo, di rinunciare alle proprie speranze di grandiosità, di allentare la tensione e di fare spazio a una nuova sensibilità. Lentamente si fa strada il senso di sollievo per una vita più serena, meno competitiva, più aperta all’empatia, all’accettazione di sé e degli altri.

 

Fonti bibliografiche:

Hugh Missildine W. (1963), Il bambino che sei stato, Erikson

Galimberti U. (1992), Dizionario di psicologia, UTET

Ponziani U. (2014) Il concetto di perfezionismo nella ricerca attuale e nella teoria adleriana della compensazione. Riflessioni teoriche e cliniche, Rivista di Psicologia Individuale n.75