Negli anni ’70 lo psicoanalista austriaco Heinz Kohut elabora la psicologia del sé, una teoria psicoanalitica che ha come cardine centrale l’istanza del Sé, ovvero la totalità psichica che l’individuo forma, dal primo al terzo anno di vita, attraverso il riconoscimento dell’altro come diverso da Sé, e per la quale l’individuo si concepisce nella sua esistenza come polo autonomo di percezione e di iniziativa.

Heinz Kohut, laureatosi in medicina a Vienna nel 1938, esercitò inizialmente la professione di neurologo, per poi specializzarsi in psichiatria e psicoanalisi negli Stati Uniti. La psicologia del sé è il frutto del suo lavoro con pazienti affetti da disturbi narcisistici della personalità, che presentavano alcuni tratti comuni come: un senso indefinito di insoddisfazione nei rapporti interpersonali, una forte vulnerabilità della stima di sé e di conseguenza una estrema sensibilità alle offese da parte degli altri, la mancanza di empatia o di umorismo, e infine una modalità arrogante di porsi legata ad eccessi di rabbia.

Secondo la psicologia del Sé di Kohut questi disturbi sono riconducibili al deficit di funzioni che avrebbero dovuto essere svolte dalle figure parentali nei primi anni di vita del bambino: al Sé materno spetta il compito di guidare il senso di grandezza e di perfezione del bambino (funzione speculare), al Sé paterno quello di fornire un ideale da prendere a modello (funzione idealizzante). La carenza o mancanza di tali funzioni, dovute in parte, secondo Kohut, alle mutate condizioni sociologiche che tengono spesso lontano i genitori dai figli, impediscono all’individuo di strutturare la parte di Sè solida, stabile e fiduciosa, che nel corso della vita genererà ideali, principi, talenti e ambizioni personali che costituiscono il nucleo esistenziale dell’essere umano.

La psicologia del Sé concepisce la vita psicologica dell’individuo, sin dalla sua origine, come un rapporto tra il Sé e l’oggetto Sé, ovvero quegli oggetti, originariamente rappresentati dagli altri parentali e in seguito interiorizzati, che esercitano la funzione di supporto nel processo di formazione dell’identità del Sé. Si sposta dunque da una teoria pulsionale (istintiva/biologica) proposta da Freud, ad una teoria del deficit, che ritiene le mancanze sopra-descritte, dovute a relazioni significative fallimentari e deficitarie, le vere responsabili dei disturbi narcisistici.

Il terapeuta che si affida alla teoria psicoanalitica della psicologia del Sé deve mostrare un atteggiamento empatico, di comprensione e di rispetto nei confronti del paziente, e deve attivare i processi traslativi di idealizzazione, rispecchiamento speculare e gemellarità, le frustrazioni ottimali, (delusioni tollerabili che portano ad accettare la realtà), e le successive riparazioni emotive/affettive, in modo tale da consentire al Sé una nuova possibilità di strutturarsi in maniera solida, sicura e fiduciosa.

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