Analisi Bioenergetica

Il Bambino Rifiutato e il Carattere Schizoide

Scritto da Cristiana Gallo

“In una giornata si possono vivere i terrori dell’inferno. Di tempo ce n’è più che abbastanza.”

Ludwig Wittgenstein

Una persona può essere schizoide a qualunque livello, da quello più inabilitante a quello più sano nella media. Anche se è provato che il tipo di personalità premorbosa più frequente tra coloro che diventano schizofrenici è quello schizoide, non c’è nessuna base empirica per affermare che tutte le persone schizoidi sono a rischio di rottura psicotica.

All’origine del carattere schizoide e della sua struttura difensiva si verifica il rifiuto della madre a minare il diritto all’esistenza in vita del bambino fin dalla fase prenatale. Avvertire il pericolo a quel livello di evoluzione organismico equivale a vivere letteralmente il pericolo della morte. Di conseguenza si instaura la paura che, qualunque tentativo di uscita dal ritiro, primario tra le difese utilizzate dallo schizoide, porti all’annichilimento.

Importante è sottolineare che quando si parla delle dinamiche madre-bambino favorenti la formazione del carattere schizoide, si parla di situazioni in cui il bambino percepisce nel rifiuto di sua madre un odio inconscio, generatore in lui di terrore e furia omicida. Unica difesa dinanzi a tale stato di cose diventa per il bambino non sentire dissociandosi dalla realtà, tramite l’attività fantasmatica, e dal corpo, sviluppando nel tempo un’intelligenza astratta.

Il ritiro nella fantasia è un meccanismo di difesa primitivo. La personalità schizoide è infatti frequente tanto nel paziente catatonico ospedalizzato che nel genio creativo. Nonostante il contenuto spesso violento delle loro fantasie, i soggetti schizoidi non danno l’impressione d’essere molto aggressivi, essi seppelliscono la loro aggressività sotto una spessa copertura difensiva.

Pur non avendo la tendenza a percepire il mondo negativamente, i soggetti schizoidi hanno difficoltà a contattarlo senza ricorrere periodicamente alla loro difesa preferita, il ritiro nella fantasia, quindi si ritrovano davanti all’esigenza di conservare spazi, interiori e non, dove nessuno può accedere.

Il loro desiderio di intimità con l’altro, che pure si fa sentire forte, non può mai essere soddisfatto fino in fondo poiché è più grande la paura e la minaccia di essere inghiottiti; questa percezione investe qualunque tipo di relazione, sentimentale, sessuale, amicale, terapeutica, ecc. Essi cercano la distanza per garantirsi la loro sicurezza e separatezza, ma si lamentano della propria alienazione e solitudine.

Il fatto che il Carattere schizoide si proietti nella vita non potendo avere un rapporto con un’altra persona e non potendone fare a meno allo stesso tempo, dipende dalla difesa che utilizza.

Il bambino che ha vissuto su di sé lo sguardo rifiutante della madre, cova nei confronti di questa una rabbia enorme. Tale rabbia aggiunge altro terrore al terrore derivante dall’essere rifiutati da chi si dovrebbe prendere cura del bambino. Il terrore paralizza il bambino che reprime la sua aggressività, diviene incapace di muoversi nel mondo e di affermarsi a tutti i livelli, laddove questo comporta coinvolgimento emotivo.

Questa condizione schizoide di rigidità equivale alla paura di sentire ciò che si è rimosso ed è così forte la repressione del sentire che in queste persone non c’è più la possibilità di desiderare e sapere ciò che si vuole.

Evitare il terrore coincide con l’evitare i contatti emotivi poiché questi causerebbero vulnerabilità nel livello di controllo necessario a garantirsi il non ricontattare specifiche ed antiche emozioni.

Questi sono i meccanismi che tengono sotto scacco lo schizoide nell’isolamento e in grado variabile, asseconda della gravità del livello della problematica schizoide, nella diminuzione del contatto con la realtà e con la propria identità. L’identità per lo schizoide è fornita da uno schema di comportamento filtrato dal meccanismo di difesa dell’intellettualizzazione.

L’intellettulizzazione è la più allenata tra le difese mature dello schizoide che, attraverso tale meccanismo, riesce a separare l’emozione dall’intelletto potendo pensare razionalmente in situazioni cariche dal punto di vista emotivo.

Questo meccanismo di difesa rende allo schizoide la possibilità di assumere dei ruoli che gli forniscono un’identità. Non abbassare il livello della difesa sostiene il senso d’identità e agisce da salvagente verso il terrore, ma  l’intellettualizzazione risponde anche al bisogno di preservare la separatezza dall’altro, anche se è proprio nella solitudine che può avvenire il contatto col vero Sé a minare il senso della stessa identità.

Queste le radici su cui poggiano il non potersi avvicinare emotivamente all’altro e nello stesso tempo la paura di stare solo dello schizoide.

Il terrore schizoide è una risposta all’ambivalenza materna. Gli effetti dell’ambivalenza materna sono attivi già durante il periodo della gestazione, periodo nel quale producono uno shock sull’organismo in formazione.

Si tratta di madri che come donne non sono in contatto con la propria sessualità e con il suo corrispondente corporeo nell’area del bacino. Non avere sensazioni rispetto a quest’area corporea permette alla donna di non sentire l’angoscia relativa alle sensazioni sessuali.

Il feto che deve svilupparsi in un luogo dove non è consentita la circolazione di energia si ritrova  a subirne gli effetti. Primo fra tutti è il ritiro dell’energia dalla superficie corporea e poiché la muscolatura è prossima alla superficie, questa si svilupperà meno essendo impegnata a contrarsi per proteggere l’interno. Si verifica in tal modo il congelamento dell’organismo che si riflette nell’assenza di motilità, di sensibilità, di aggressività.

Oltre la vita intrauterina gli effetti dello shock perdurano poiché perdurano anche le problematiche inerenti il mondo emozionale della madre.

Un bambino arriva al modo indifeso, totalmente dipendente dalla madre e, per quanto possa essersi congelato contraendosi, resta un organismo altamente ricettivo.

Se il bambino continua ad essere sottoposto all’ambivalenza materna continua a subire da parte di questa il rifiuto, l’ostilità, la violenza, etc. Ciò, che avvenga in modo aperto o coperto, ripropone lo stato di shock, confermandolo, poiché anche se non può esserci ricordo cosciente dei precedenti fattori che hanno prodotto il trauma, i suoi effetti sono registrati nel terrore che ha congelato il corpo.

Autore

Cristiana Gallo

Psicologa iscritta all’Albo degli Psicologi del Lazio con il numero 15468. Psicoterapeuta ed Analista Bioenergetica specializzata in Psicoterapia Individuale e di Gruppo. Grafologa.
Conduttrice di Esercizi di Bioenergetica e Insegnante Yoga.