Grande Rassegnazione: la grande rinuncia del posto fisso

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Introduzione

Un nuovo orizzonte di valori. Il fenomeno della Grande Rassegnazione (o Great Resignation) è un mix sapientemente bilanciato di disillusione nei confronti del futuro, salvaguardia della qualità della vita e opposizione alle dinamiche lavorative che subordinano la salute psico-fisica al mito della produttività. 

Qual è l’identikit degli italiani che lasciano il posto di lavoro? 

Per scoprirlo è necessario ridimensionare l’importanza del contratto a tempo indeterminato e della carriera costi quel che costi, con l’intento di abbandonare l’idea di un’occupazione basata sulla gerarchia e sulle performance. 

Dati alla mano, il fattore realmente allarmante non riguarda la percentuale delle “Grandi Dimissioni”, che in Italia non si sono rivelate consistenti come in America, quanto piuttosto i sintomi di un virus sotteso: quello dell’insofferenza nei confronti di rapporti lavorativi che non tengono fede alle reali esigenze di tanti (troppi) neo-impiegati.

Approfondiamo.

Grande Rassegnazione: definizione e significato

Si tratta di un SOS generazionale che invita a riorganizzare il mondo del lavoro. Negli Stati Uniti d’America, il fenomeno prende il nome di Big Quit: un fiume in piena di professionisti dimissionari, insofferenti ai lunghi periodi di burn-out e di stress sul posto di lavoro. A seguito delle difficoltà pandemiche, dal 2020 ai giorni nostri, sembra chiaro quanto gli impiegati di ogni ordine e grado siano stati guidati dall’urgenza di cambiare attività, mettersi in proprio, perseguire la strada della libera professione e adottare sistemi di lavoro da remoto al fine di massimizzare la gestione del tempo. 

Nel 2021, quattro statunitensi su dieci hanno compiuto il grande passo. In Cina, moltissimi giovani si sono rifiutati di diventare meri ingranaggi di sistemi capitalistici su larga scala. In Australia, una persona su due pensa di dare uno scossone alla propria carriera. 

Un fenomeno, dunque, che si è diffuso a larga scala ed in ogni angolo del pianeta, nutrito da una diversa consapevolezza delle persone. 

E che dire, invece, della situazione nostrana?

Great Resignation in Italia

Sebbene la Great Resignation tricolore abbia avuto una portata ridotta, nel quarto trimestre dell’anno scorso il 3% della popolazione dipendente ha lasciato/cambiato lavoro. I motivi sono da rintracciare tanto nel sostanziale stravolgimento degli equilibri professionali post-COVID-19, quanto nel timore di rimanere indietro rispetto al rapido stravolgimento degli schemi lavorativi. 

Tuttavia, nonostante il fenomeno della Grande Rassegnazione abbia avuto nel Bel Paese dimensioni contenute, soprattutto se paragonate a quelle statunitensi, il trend continua a mietere vittime anche nel 2022. 

E in molti si interrogano sulle sue cause. 

Le 3 principali motivazioni alla base della Great Resignation 

Uno studio condotto dall’IBM Institute for Business Value (IBV) ha intervistato oltre 14mila partecipanti dimissionari in tutto il mondo. L’obiettivo? Indagare le ragioni psicologiche sottese al fenomeno della Great Resignation. 

Il 32% dei partecipanti ha dichiarato di essere alla ricerca di una realtà professionale più flessibile, complice l’incremento dello smart-working. 

Il primo motivo, quindi, è legato ad una mancanza di flessibilità da parte di diverse aziende. Il problema si individua nell’ancoraggio ad un sistema obsoleto, legato alla quantità di lavoro piuttosto che alla qualità. Restare in ufficio a tutti i costi, nelle classiche otto ore, piuttosto che rispettare l’avanzamento di lavoro attraverso task da portare a termine. O ancora, gerarchie non scalabili che non premiano sempre la professionalità dell’individuo e la sua specializzazione. 

Il secondo motivo vede una percentuale altrettanto alta. Il 27% si è detto poco soddisfatto degli incarichi ottenuti, non conformi ai talenti e/o ai titoli di studi conseguiti.

Questo si traduce in frustrazione legata, non solo al ruolo ricoperto, ma anche al riscontro economico ottenuto. Sempre più persone si sono rese conto che essere capi di se stessi permette di strutturare tempi, modi, qualità del lavoro e anche selezione della clientela. 

Infine, il 43% ha sottolineato che, in aggiunta alle opportunità di un avanzamento di carriera, l’aspetto realmente pregnante sia correlato ai valori dell’azienda: in mancanza di motivazione e di team-working, anche il dipendente più fedele viene spinto a cercare un’altra occupazione, magari con possibilità di formazione e di apprendimento. In cerca, anche, di un lavoro che valorizzi le soft skills, oltre che le abilità tecniche. 

Una questione di salute emotiva

Di conseguenza, non sorprende che la priorità di molti sia diventata la ricerca di un’attività che metta al primo posto la salute fisica e mentale dei professionisti. 

Secondo studi, 4 lavoratori su 10 si sono assentati almeno una volta nell’ultimo anno a causa di un crollo emotivo. 

I fenomeni di burnout contribuiscono a esaurire le energie produttive di dipendenti e liberi professionisti, trasformando gli impegni della routine in ostacoli apparentemente insormontabili. Dati alla mano, infatti, soltanto il 17% dei lavoratori si sente coinvolto e compreso dalla propria azienda.

Se poi analizziamo le prospettive dei giovanissimi, non possiamo che riconoscere una tendenza all’abbandono del posto fisso a causa della cosiddetta YOLO Economy (You Only Live Once): mettersi in proprio è il desiderio di molti, e ne è testimonianza diretta la fame di nuove esperienze che accomuna i Millenials e gli appartenenti alla Generazione Z. 

Conclusioni

Libertà di scelta. 

A prescindere dai dati, dai numeri, dalle statistiche e dalle grandi mode, mi viene da dire che questo fenomeno è sintomatico di quella voglia di libertà di scegliere. Scegliere con chi lavorare, senza sottostare a malumori di alcun genere. 

Scegliere quante ore dedicare alle attività. 

Scegliere da dove e come farlo. 

Libertà. Credo che il mondo del lavoro stia cambiando perché semplicemente ora c’è la possibilità di scegliere un’alternativa personale, individuale, che ci valorizzi e che ci permetta di bilanciare felicemente vita privata e lavoro.

Era ora, aggiungerei.

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