La fotografia come uno sguardo: l’occhio di chi sta per scattare. Mi ha sempre accompagnato, questa consapevolezza di non dover documentare la realtà. Semmai, di interpretarla. Perché la realtà è intorno a noi, ma è soggettiva. È chi fa la foto, a decidere cosa vuole rappresentare. Una bottiglia smette di essere quello che appare a tutti, diventa soggettiva quando un artista la ritrae. Che sia Picasso, o - concedetemelo - Franco Fontana …
La realtà fotografata ha sempre coinciso, proprio per questo, con il mio pensiero. E con il mio sentire. Corrisponde all’interpretazione di una realtà immaginaria, fantastica. Non ho mai voluto fotografare quello che vedevo: piuttosto, quello che pensavo mentre stavo guardando. Così il paesaggio che avevo davanti diventava un pretesto: qualcosa capace di restituire e testimoniare il mio mondo. C’è sempre stata una specie di simbiosi, in realtà, con quei paesaggi: come se i luoghi davanti agli occhi, attraverso il mio sguardo, volesse farsi un autoritratto e identificarsi con la rappresentazione che io davo nelle fotografie. Penso ai paesaggi in Puglia: si sono identificati nei miei scatti, agli occhi del pubblico delle mie mostre sono diventati il paesaggio che ho ritratto. È un po’ come dare un’identità ai luoghi: la gente vede quelle fotografie e guarda quei paesaggi come non li vedeva prima, attribuisce loro un’identità nuova, quella che coincide con il mio sguardo.
Certo, mentre scatti non te ne rendi conto: tutto accade in modo molto istintivo. Insieme a me c’erano altre persone, quando quella foto è nata, ma probabilmente loro non vedevano quello che ho visto io, ed è diventato poi la fotografia che ha fatto il giro del mondo. Ognuno vede quello che sente, e consegna allo scatto quello che ha dentro, la sua anima probabilmente. La mia è fatta sicuramente a colori: perché il mondo, noi, lo vediamo così. Con colori che vanno interpretati, e ai quali ho sempre cercato di dare un significato perché il mio sguardo sul mondo diventasse un soggetto. Provo un senso di similitudine, quando guardo le opere di Hopper. I suoi quadri, le mie immagini: c’è un senso di “familiarità”. Ma io non lo conoscevo, prima di cominciare, e non ho nessuna dipendenza dalla pittura. La mia non è fotografia concettuale o minimalista. Resta solo e semplicemente una fotografia, quello che penso e quello che vedo mentre si accende il mio scatto sul mondo.