Paolo Sorrentino, 'È stata la mano di Dio': recensione, cast e trama del film candidato agli Oscar 2022

Il regista torna protagonista della notte delle stelle otto anni dopo la vittoria per 'La grande bellezza'

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Otto anni dopo il trionfo con La grande bellezza il cinema italiano è di nuovo in corsa per gli Oscar e di nuovo grazie al talento di Paolo Sorrentino. È stata la mano di Dio, il film più personale e intimo di Paolo Sorrentino, è il titolo su cui il nostro paese pone le sue speranze per vincere l'International Feature Film, ovvero la definizione che da un paio d'anni ha sostituito, con l'obiettivo di una visione più inclusiva, quella dell'Oscar al film straniero. Nella cerimonia di consegna degli Academy Awards in programma il 27 marzo ci saranno anche altri due talenti italiani per cui tifare: Enrico Casarosa con il cartoon Luca, prodotto da Pixar e Disney e il costumista Massimo Cantini Parrini per il film Cyrano.

 

'È stata la mano di Dio'. Paolo Sorrentino e Toni Servillo, vent'anni di cinema insieme

La trama di È stata la mano di Dio

Ambientato nella Napoli anni Ottanta dell'adolescenza del regista, È stata la mano di Dio (con Filippo Scotti, Toni Servillo, Teresa Saponangelo, Luisa Ranieri, Massimiliano Gallo tra gli altri) è un viaggio a ritroso nei ricordi, nei sentimenti, nei dolori e nelle emozioni di un ragazzo che si trova ad affrontare il dramma più grande: la morte di entrambi i genitori, in un passaggio delicato come quello della scelta del proprio destino. Mentre Diego Armando Maradona, con il suo arrivo messianico, si prepara a regalare alla città il momento più epico, la vittoria dello scudetto, il giovane Fabietto dovrà capire qual è la sua strada.

Gli sfidanti della cinquina straniera

Gli altri film candidati sono il giapponese Drive My Car (anche candidato come miglior sceneggiatura, miglior regia e miglior film), il danese Flee (altre due nomination come documentario e come film d'animazione), Lunana: A Yak in the Classroom dal Bhutan e il norvegese La peggiore persona del mondo

La recensione del film di Natalia Aspesi

C’è un prima e un dopo: prima c’è un adolescente insicuro in una bella famiglia affettuosa, dopo, per lui, c’è vuoto e sperdimento e dolore. A unire il prima e il dopo c’è un piccolo uomo miracoloso che glorifica la città, Napoli, con il virtuosismo delle sue gambe. A dividerli, come se fossero due film, un divano su cui siedono in silenzio un uomo e una donna: lui legge il giornale, lei lavora a maglia (e questo ci dice che siamo negli anni 80). Lei si appoggia alla testata e abbandona i ferri, lui smette di leggere e lascia cadere la testa in avanti: non stanno addormentandosi, stanno morendo, uccisi da una fuga di gas. È il ricordo della tragedia che ha sconvolto la vita del ragazzo Paolo Sorrentino, sedicenne, che oggi, nel pieno della sua maturità, 51 anni, e della sua fortunata carriera, gloria internazionale del cinema italiano, è riuscito a raccontare: non credo per liberarsi finalmente da quella amputazione, perché tracce così crudeli non si cancellano mai, ma forse perché, da autore, ha capito che la sua storia privata poteva diventare una storia per gli altri, un film: non una testimonianza autobiografica, ma proprio un film, tra l’altro un grande film, avvolgente, pacificante, che dà una strana sensazione di partecipazione, come se anche noi fossimo lì, con il ragazzo, a quella tavolata tumultuosa di parenti, amici e vicini a passarsi i maccheroni e il sartù, su quei balconi dei palazzi piccolo borghesi a urlare e applaudire tutti insieme per l’ennesimo trionfo di Maradona, del Napoli, di Napoli.

È stata la mano di Dio è la frase che il mitico calciatore argentino dice del suo gol contro l’Inghilterra nel 1986, è quella che dopo la tragedia uno zio dice a Fabietto abbracciandolo, e così ingigantendo il suo furibondo rimorso: perché per non perdere l’ennesima meraviglia di Maradona, non ha seguito i suoi genitori nell’appartamentino delle vacanze a Roccaraso. Loro sono morti e lui no, e il santo cui deve la vita è stato quell’eroe, quel mago, quel dio del calcio che aveva incantato la città e il mondo e non ancora dimenticato. Sorrentino si è dato il nome Fabietto e la faccia di un neo attore, Filippo Scotti, alto, magro, carino e ricciuto, e cui fa tenere la bocca spalancata per la beatitudine davanti allo schermo, in ricordo di se stesso al cinema. Il padre non poteva essere che Toni Servillo, non solo perché ha lavorato con lui fin dal primo film, ma perché può essere tutto, tanti personaggi pur rimanendo se stesso: e anche credo perché è napoletano e oggi, basta vedere il programma della 78° mostra, è da Napoli che arrivano i registi più amati e gli attori più bravi: come in questo film dove gli interpreti che spesso non conosciamo, non recitano ma vivono i personaggi, con il loro aspetto qualunque, i vecchi, le grasse, i brutti, le strambe. Addirittura meravigliosa Teresa Saponangelo, così mamma, così moglie, così casalinga, così lieta, così qualsiasi, da incantare. Fabietto ha l’esempio di questi genitori che ancora si amano, si fanno gli scherzi, giocano, e del fratello maggiore Marchino che ha già la sua vita e la sua ragazza, mentre Fabietto ha i turbamenti e la scontrosità dei suoi coetanei di sempre e curiosità e paura verso i corpi degli altri, i corpi sconosciuti delle femmine, i suoi nebulosi desideri.  Sorrentino ha voluto ridare vita alla sua prima giovinezza sino a girare il film nello stesso palazzo in cui abitava, sia pure in un altro appartamento che però ha fatto arredare seguendo i suoi ricordi, ha chiesto al regista Antonio Capuano, per il quale aveva scritto la sua prima sceneggiatura, di essere se stesso, poi è stato vago nel ricostruire le emozioni più personali: si inventa, dice, una zia Patrizia per ricordare una creatura un po’ suonata che incontra San Gennaro, ma anche di rara bellezza (la bellissima Luisa Ranieri), che lui vede nuda o forse lo è davvero, distesa su un barcone in mezzo a tutti gli altri, che lo provoca e lo fa fuggire; poi quando la sua vita fluttua senza l’ancoraggio dei genitori, una coinquilina lo chiama: pare che abbia promesso al papà di Fabietto (si assicura non di Paolo) di aiutarlo ad affrontare l’esperienza del sesso. È una bella signora in età (Betti Pedrazzi) una nobildonna dai capelli grigi, piena di collane, molto gentile: si stende sul letto, si solleva un po’ la gonna, invita il ragazzo di cui pare di sentire il batticuore a mettersi al suo fianco. Non è una divoratrice di fanciulli, non è Colette col suo figliastro Bertrand, è piuttosto una dama di carità che si offre per il bene dei bisognosi, restando signorilmente immobile e rifiutando i baci. Secondo il film, l’esperimento funziona, Fabietto finalmente si è svegliato e corre con la sua moto verso l’avvenire e tutti quei suoi film, compreso questo, che, diventato Paolo Sorrentino, hanno reso la nostra vita più bella.

La recensione del film di Emiliano Morreale

Non solo per gli italiani era attesissimo È stata la mano di Dio, nel quale Paolo Sorrentino rievoca la propria vicenda familiare e la tragica morte dei genitori, lui adolescente, a causa di una fuga di monossido di carbonio. Per affrontare una materia così dolorosa il regista sceglie la via di uno stile più sorvegliato del solito, e riscopre le doti di sceneggiatore e dialoghista che tutti avevano apprezzato nei primi film (è autore unico del copione). Il film è diviso in pratica in due parti: la prima è un quadretto familiare sullo sfondo dell'arrivo a Napoli di Maradona: pieno di personaggi, può ricordare alcuni momenti di Amarcord ma soprattutto certe commedie di Eduardo De Filippo. Colorato, trascinante, con un ritmo serrato, affettuoso e ironico, anzi francamente comico, sul filo della macchietta si dirà (ma i ricordi lontani, e forse più ancora quelli oscurati dalla fine di un mondo e della tragedia, non permangono spesso sotto forma di figurine buffe e colorate, di aneddoti piccoli e luminosi?). Come molti registi nella piena maturità, Sorrentino ha sempre più scoperto l'importanza degli attori, qui tanti e tutti bravissimi (straordinario Toni Servillo nel ruolo del padre, molto bravo il giovane protagonista Filippo Scotti, e la nostra simpatia massima va a Teresa Saponangelo nel ruolo della madre). La seconda parte del film è invece romanzo di formazione malinconico, con gli incontri che il giovane fa e la scoperta della sua vocazione. C'è anche un omaggio diretto a Fellini, il Maradona del cinema, che ha il valore di un coming out: ma i rimandi al suo cinema sono più d'uno, dall'inizio di 8 ½ al finale dei Vitelloni.

Paolo Sorrentino premiato alla rassegna di Pascal Vicedomini 'Los Angeles Italia 2022' all’Hollywood Chinese Theatre per miglior film e regia
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