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La pianta grassa può diventare una cella solare per produrre energia pulita

La pianta grassa può diventare una cella solare per produrre energia pulita
Gli studiosi dell'Israel Institute of Technology stanno lavorando ad un progetto di bio-fotovoltaico che sfrutta il processo naturale della fotosintesi
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Un team di biologi e chimici dell'Israel Insitute of Technology sta ultimando un progetto avanguardistico in ambito energetico finalizzato alla creazione di una cella solare biologica installata su una pianta grassa. L'intento è quello di rifornire di energia pulita le abitazioni tramite delle piante d'appartamento. Negli ultimi di anni la componente "biologica" nella ricerca solare si è ritagliata uno spazio sempre maggiore, con l'obiettivo di fornire una soluzione energetica che possa essere ecologica e contemporaneamente economica. Nel tempo si è passati dalle celle organiche con pigmenti vegetali a dispositivi in grado di replicare la fotosintesi. A questo filone scientifico appartiene il bio-fotovoltaico, tecnologia che sfrutta l'energia solare utilizzando microorganismi ingegnerizzati in laboratorio.

Gli scienziati dell'Israel Insitute of Technology, però, hanno fatto qualcosa in più. Lo studio riportato su Acs Applied Materials & Interfaces dimostra la creazione di una speciale cella solare biologica realizzata direttamente su una pianta grassa. Il lavoro, così come altri nel campo, ha sfruttato il processo chimico naturale della fotosintesi per generare una corrente.

Come funziona il bio-fotovoltaico

Durante la fotosintesi, infatti, la luce permette di convertire la CO2 e l'acqua metabolica in ossigeno e zucchero generando un flusso di elettroni che possono, in teoria, essere allontanati dalla cellula come "fotocorrente" e utilizzati per alimentare un circuito esterno. Finora il sistema di raccolta dell'energia elettrica da sistemi di fotosintesi biologica avveniva immergendo il sistema in una soluzione elettrolitica. La ricerca elimina questo passaggio: i particolari tessuti delle piante grasse sono in grado di contenere e trattenere grandi quantità di acqua che vanno a sostituire la classica soluzione elettrolitica utilizzata in passato. Con questo meccanismo, infatti, si crea una cella fotovoltaica vivente.

In pratica i ricercatori hanno creato una cella solare biologica utilizzando la succulenta Corpuscularia lehmannii, chiamata anche "pianta del ghiaccio". Hanno inserito un anodo di ferro e un catodo di platino in una delle foglie della pianta e hanno così scoperto che la sua tensione era di 0,28V. Collegandola a un circuito ed esponendola alla luce, la pianta ha prodotto fino a 20 µA/cm2 di densità di fotocorrente. Continuando a generare elettricità per oltre 24 ore. Sebbene questi numeri siano inferiori a quelli di una tradizionale batteria alcalina, sono rappresentativi di una sola foglia. Studi precedenti su dispositivi organici simili suggeriscono che collegando più foglie in serie si potrebbe aumentare la tensione.

Il team ha progettato specificamente la cella solare vivente in modo che i protoni presenti nella soluzione interna della foglia possano essere combinati per formare idrogeno gassoso al catodo, che potrebbe essere raccolto e utilizzato in altre applicazioni. Secondo i ricercatori, il loro metodo potrebbe consentire lo sviluppo di future tecnologie energetiche verdi sostenibili e multifunzionali. Magari combinando celle a base di piante grasse con celle a base di alghe.

Piante grasse e alghe per l'energia solare

Gli scienziati del dipartimento di Biochimica dell'Università di Cambridge hanno infatti messo a punto un sistema bio-fotovoltaico che contiene alghe in grado di immagazzinare la luce del Sole e produrre energia attraverso la fotosintesi. Perché il sistema funzioni, basta che ad alimentarlo ci siano luce ed acqua. Ancor prima delle piante grasse e alghe, però, ad aprire le porte del fotovoltaico vivente sono stati i batteri. Alcuni ricercatori della Scuola Politecnica Federale di Losanna (École Polytechnique Fédérale de Lausanne), in Svizzera, in collaborazione con i colleghi dell'Università del Salento e della Università Sapienza di Roma, sono riusciti a inserire nanotubi di carbonio all'interno di alcuni batteri fotosintetici, aumentando la loro capacità di generare elettricità quando illuminati. L'applicazione ha risvolti diretti anche nel settore solare.