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Lo studio

Nell'acqua in bottiglia migliaia di nanoparticelle di plastica

Nell'acqua in bottiglia migliaia di nanoparticelle di plastica
(afp)
Secondo una ricerca negli Usa ci sono fino a 370mila frammenti per ogni litro nei prodotti in plastica. E non c'è solo il PET. Cresce l'attenzione sul fenomeno, con l'Italia tra i maggiori consumatori, ma c'è chi frena: "Ancora poco chiari i danni per l'uomo"
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Insieme all'acqua che beviamo potremmo inconsapevolmente ingoiare centinaia di migliaia di microscopici frammenti di plastica. Con potenziali danni alla nostra salute. Arriva dagli Stati Uniti l'ultimo allarme sul rischio di ingerire microplastiche, ma soprattutto nanoplastiche, attraverso il consumo di acqua commerciale in bottiglie di plastica: qui un team di ricercatori ha analizzato i prodotti di tre celebri marche, alla ricerca di frammenti di grandezza anche inferiore a 100 nanometri. E trovandone molti più di quanto accaduto nelle stime precedenti: in un litro di acqua in bottiglia, in media, sono stati individuati 240 mila frammenti di plastica. Fino a cento volte di più rispetto al passato, molto più di quanto non si riscontri nell'acqua di rubinetto. Nulla, naturalmente, di percepibile all'occhio umano. La ricerca, pubblicata sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences, organo ufficiale della National Academy of Sciences) ha immancabilmente aperto un ampio dibattito sugli Stati Uniti. E minaccia, sin d'ora, di incidere sui comportamenti dei consumatori. Su scala globale.

 

Non solo PET

Le analisi di laboratorio, che hanno utilizzato strumenti di ultimissima generazione con il puntamento di due laser in grado di osservare e "leggere" la risposta delle diverse molecole, hanno individuato da un minimo di 110 mila a un massimo di 370mila particelle di plastica. Si tratta in larga parte (circa il 90%) di nanoplastiche, riconducibili a sette tipologie differenti. Tra queste, come ci poteva attendere, figurano quantità significative di PET, il polietilene tereftalato, utilizzato su larga scala per imbottigliare il 70% delle bottiglie per bevande e liquidi alimentari di tutto il mondo.


Ma più presente del Pet è risultato, stavolta un po' a sorpresa, il poliammide, una classe particolare di nylon speciali: secondo Beizhan Yan, coautore dello studio e chimico ambientale al Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, potrebbe derivare dai filtri di plastica utilizzati per purificare l'acqua prima dell'imbottigliamento. Un vero paradosso, insomma. E ancora: polistirene, polivinilcloruro e polimetilmetacrilato, materiali utilizzati nei processi industriali. E l'incognita di un'alta percentuale (circa il 90%) di nanoparticelle che i ricercatori non sono stati in grado di identificare.

Il dibattito sui rischi per la salute

Quanto basta, insomma, per accendere la luce dei riflettori su un grande business mondiale, proprio mentre la presenza di micro e nano plastiche viene certificata un po' ovunque, negli ecosistemi. Persino in Antartide. Ma stavolta il rischio è di ingerirle direttamente, non attraverso la catena trofica degli ecosistemi dai quali preleviamo il nostro cibo. "E le nanoplastiche presenti nelle nostre bottiglie d'acqua sono potenzialmente pericolose per la salute umana, ancor più delle microplastiche", ammonisce Wei Min, docente di chimica alla Columbia e tra gli autori del nuovo articolo.


Ma non manca il coro di chi predica prudenza. Ne fa parte, per esempio, Jill Culora, portavoce dell'International Bottled Water Association, che sottolinea come manchino "metodi standardizzati e un consenso scientifico sui potenziali impatti sulla salute delle particelle nano e microplastiche". E denuncia come gli articoli dei media su queste particelle nell'acqua potabile "non facciano altro che spaventare inutilmente i consumatori". Ad onor del vero la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità aveva, a margine di un ampio studio pubblicato nel 2019, "frenato" sul legame tra microplastiche e nanoplastiche e salute umana, suggerendo la necessità di nuove ricerche.

Eppure, sottolineano con malcelata preoccupazione i ricercatori coinvolti nell'ultimo studio, in linea teorica le nanoplastiche sono abbastanza piccole da poter entrare nel sangue, nel fegato e nel cervello di un essere umano. Di più: invadere le singole cellule e attraversare la placenta arrivando fino agli embrioni, come peraltro dimostrato da uno studio pubblicato sulla rivista Environment International e condotto dai ricercatori dell'Università delle Hawaii a Manoa e del Kapi'olani Medical Center for Women & Children su placente donate da donne che hanno partorito alle Hawaii tra il 2006 e il 2021.

 

"Occhio alle condizioni di stoccaggio"

"Oggi i rischi per la salute dovuti alla presenza di contaminanti emergenti nell'acqua imbottigliata suscitano un crescente interesse. - commenta invece Antonio Limone, che guida l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, ente sanitario in prima linea nei processi di sicurezza alimentare - Composti di origine antropica come alchifenoli, ftalati e le ormai note nanoplastiche possono, anche a basse concentrazioni, causare effetti tossici agendo in modo additivo. A quanto ci risulta, l'acqua imbottigliata in plastica può essere contaminata in diverse fasi della catena di produzione e distribuzione, considerando che le condizioni di stoccaggio - luce, temperatura - favoriscono la migrazione dei contaminanti nell'acqua. Di sicuro, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, siamo agli albori di un nuovo approccio sull'approfondimento delle questioni legate ad ambiente e salute".


Di microplastiche si occupa, nel dettaglio, Carola Murano, ecotossicologa del Dipartimento di Ecologia Marina Integrata della Stazione Zoologica Anton Dohrn: "Non è semplice comprendere i complessi e dinamici meccanismi di interazione tra micro e nanoplastiche con l'ambiente e con l'uomo. - spiega - Ad oggi, l'assenza di metodi standardizzati e talvolta poco sostenibili per la caratterizzazione e la manipolazione di oggetti di plastica di dimensione sub-micrometrica e nanometrica non ci consente a pieno di trarre conclusioni scientificamente chiare, soprattutto se in ballo ci sono molteplici variabili. Ma quel che possiamo dire è che affrontare il problema richiede un approccio articolato, che includa migliori pratiche di riciclaggio e gestione dei rifiuti, lo sviluppo di materiali alternativi e sicuri per l'ambiente e una maggiore consapevolezza tra i consumatori".

L'Italia paese poco virtuoso

Anche per questo l'ultimo studio minaccia di aprire un nuovo fronte di ricerca sul business dell'acqua, e in generale delle bevande, in bottiglie di plastica: un segmento che non conosce crisi (secondo il "Guardian" ogni minuto a livello globale viene acquistato un milione di bottiglie di plastica) e che vede l'Italia tra i principali consumatori (terzo Paese al mondo, secondo diverse stime), con il +100% delle vendite in 10 anni, dal 2009 al 2019, quando - secondo un dossier di Ismea, l'Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare - sono stati superati i 10 miliardi di bottiglie all'anno. E questo malgrado l'84,8% dell'acqua potabile da rubinetto provenga da fonti sotterranee naturalmente protette e di qualità, che richiedono limitati processi di trattamento. Quanto alla produzione globale di plastica, non sembra conoscere crisi: si è passati dai 2 milioni di tonnellate negli anni '50 agli oltre 400 del 2022.