Lollobrigida: "Facciamolo dealcolato, però non chiamiamolo vino". Ma molti produttori sono già oltre

Lollobrigida: "Facciamolo dealcolato, però non chiamiamolo vino". Ma molti produttori sono già oltre
Il ministro dell'Agricoltura interviene nel dibattito sui vini senza alcol. Frescobaldi: "Non escludiamo uno spumante nel futuro". Zonin: "Sarebbe sciocco non seguire il trend"
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“Facciamo le bevande dealcolate e non chiamiamole vino. Oggi stanno già sul mercato tante bevande non a base alcolica che derivano dall’uva e che possono avere un mercato a prescindere dal termine vino”. Sono le frasi, forti, con cui il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha segnato la presentazione dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly “Se tu togli il vino all’Italia. Un tuffo nel bicchiere mezzo vuoto”,  nel padiglione del Masaaf, durante la giornata di inaugurazione della Cinquantaseiesima edizione del Vinitaly. 
 

In una sala assiepata di persone, con il mondo del vino italiano, e non solo, che cominciava a brulicare tra padiglioni e corridoi, è quasi esplosa quella che è una delle tematiche più sentite degli ultimi anni se è vero, e lo è, che fin dall’approvazione del Regolamento UE 2021/2117 del 2 dicembre 2021 con cui ne veniva approvata la messa in commercio, i vini dealcolati non hanno mai smesso di far discutere. Una tematica sentita, quindi, che il Ministro Lollobrigida ha affrontato con decisione, affiancandola al ruolo identitario che ha la viticoltura per il nostro Paese. E rispondendo così alle numerose aziende che vorrebbero produrre dealcolato in Italia ma si scontrano con delle normative attuali che impediscono il procedimento di dealcolazione avvenga in cantina. Una chiusura, ma non del tutto, forse: “CI confronteremo - ha concluso il ministro - e arriveremo a una soluzione che io ritengo possa essere trovata in una lingua bella come l’italiano che ha la capacità di definire ogni cosa con una parola”. Dealcolato sì quindi, ma forse senza il nome vino.

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La domanda era arrivata da Micaela Pallini, presidente FederVini, che ha invece un approccio diverso all’argomento. “Stiamo assistendo a nuovi comportamenti del consumatore e a tendenze che sembrano guardare con maggiore curiosità a nuove categorie di prodotti, quali ad esempio i vini dealcolati e parzialmente dealcolati, soprattutto nei principali mercati di sbocco del vino quali Regno Unito, Usa e Germania” dichiara Micaela Pallini. “Anche se è presto per dire se siamo di fronte a veri e propri nuovi trend, non possiamo ignorare questi segnali che giungono dal mercato e l’Italia trovandosi attualmente in un’impasse normativo, si trova in una situazione di svantaggio: è importante mettere le aziende - continua la Pallini facendo  una richiesta istituzionale - nelle condizioni di intercettare e soddisfare le scelte dei consumatori producendo in Italia tali prodotti così da mantenere nel nostro Paese tutto il valore aggiunto creato. Francia e Spagna, ma anche Germania e Austria già stanno avanti, l’impostazione più corretta è quella di analizzare questo fenomeno potendo contare su regole chiare e sicure per affrontare il cambiamento”.

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Ma buona parte dei produttori, in realtà, la pensa diversamente e non si fa un cruccio del nome. Lo stesso Lamberto Frescobaldi, trentesima generazione dell'omonima storica azienda di famiglia toscana, mostra apertura alla categoria. "È un trend in crescita, che non sarebbe giusto ignorare. Certo, noi come Frescobaldi non siamo ancora pronti, ma non lo escludo. Magari un domani potremmo pensare a uno spumante low o zero alcohol". 

E come Frescobaldi, anche altri grandi gruppi del vino stanno sperimentando nuove etichette. Tra questi c'è Zonin, che da un anno produce una etichetta sparlking alcohol free, Cuvee Zero, 40mila bottiglie, che ha in Regno Unito, Germania, Usa, Canada e Scandinavia i suoi principali mercati. “Sarebbe sciocco non provarci – dice il patron Francesco Zonin - Quando è stato lanciato il decaffeinato nessuno ha gridato allo scandalo, non è  stato visto come un torto a chi invece vede il caffè come un booster per stare in forze. Lo stesso vale per la pasta senza glutine, il latte senza lattosio e la birra analcolica. E non vuol dire che quello che si faceva prima fosse sbagliato. Il vino senza alcol non nasce per togliere attenzione o respiro al vino con l’alcol.  L'uva ha bisogno dell’uomo per diventare vino. Ci sono però geografie e culture dove l’alcol non fa parte della storia, come invece è per noi. Gli antichi Romani si spostavano con le barbatelle perché dove arrivano portavano la coltivazione della vite. Oggi l’innovazione permette di fare molte cose in più, e meglio. Certo, non si parla di Barolo o Brunello senza alcol, e spero che le denominazioni storiche restino salde nel tutelare le proprie tradizioni. Si tratta semplicemente di prendere “un pezzetto” del modo tradizionale di fare vino e provare a farlo conoscere a chi non lo ha mai approfondito. Con questi prodotti, inoltre, si va incontro alle esigenze di sportivi, donne incinte e persone che non amano, non vogliono o non possono bere alcol per motivi di salute o religiosi. E siamo di fronte a un segmento del tutto diverso, che non può fare concorrenza al vino tradizionale perché è un'altra cosa”.

"Ritengo che la polemica innescata in Italia sia sterile e poco utile al comparto vitivinicolo del nostro Paese. A riguardo di questa categoria di prodotti in Italia purtroppo siamo ancora alla preistoria - afferma Martin Foradori Hofstätter, alla guida della omonima tenuta altoatesina che produce due etichette di dealcolati in Germania: Steinbock Zero Riesling Sparkling e il fermo Steinbock Riesling Zero - Il vino dealcolato non danneggia in alcun modo il vino classico, né toglie fette di mercato allo stesso. Anzi, tutt'altro: il vino dealcolato conquista nuovi consumatori che, per mille ragioni, non consumano alcolici e prima indirizzavano le loro scelte su altre categorie di prodotti analcolici. In questo modo, le quote di mercato rimangono nella filiera vitivinicola".

"Oramai tutto il mondo ha sorpassato l'Italia sul tema dei vini dealcolati. Nei principali mercati esteri si trovano vini dealcolati di tutte le nazionalità e le vendite sono in costante crescita. Ritengo che sia tempo di spegnere queste inutili discussioni e di guardare senza miopia a questo fenomeno per non  continuare a perdere importanti fette di mercato. Chi é contrario a questa evoluzione, danneggia seriamente il comparto vitivinicolo italiano", conclude Martin Foradori Hofstätter. 

Tra le aziende che storicamente producono dealcolati c'è la piemontese Bosca, casa spumantistica di Canelli (Asti)  specializzata proprio in prodotti sparkling a bassa gradazione alcolica, che ha negli Usa e nella Russia due i mercati principali del suo business. 

Sul tema Unione Italiana Vini organizza un convegno, martedì alle 10, nella sala Bellini al centro servizi arena (1mo piano corridoio tra padiglioni 6-7). Al forum prenderanno parte aziende che hanno visto in questo segmento una nuova opportunità.