Non ci resta che ridere: “L’ironia fa stare bene”

Verba vana aut risui apta non loqui: non pronunciare parole vane o che inducano al riso. È Jorge da Burgos, il venerabile bibliotecario cieco del Nome della Rosa di Umberto Eco, a sentenziarlo, in qualità di custode dell’unica copia del secondo volume della poetica di Aristotele: un libro (in verità mai rinvenuto) che, secondo una leggenda, tratterebbe proprio della risata, quella che abbonda nella bocca degli stolti. L’intransigente dogmatismo del vecchio Jorge, in verità, è fuori luogo. La scienza ha da tempo certificato le proprietà taumaturgiche della risata: tra i primi a comprenderne il valore terapeutico è stato Robert Provine, psicologo e neurologo statunitense appena scomparso, autore di Laughter: a scientific investigation, un libro del 2000 che è la summa di quanto sappiamo sul tema. Il ridere, in particolare, agirebbe su più livelli, girando le rotelle che mettono in circolo sostanze benefiche per il corpo e per la mente. Qualche dato che emerge dagli studi più recenti in materia: una ricerca della Mayo Foundation for Medical Education and Research ha svelato che ridere riduce drasticamente gli ormoni dello stress (39% di cortisolo in meno, 70% di epinefrina in meno, 38% di dopamina in meno), mentre un’indagine della Loma Linda University, in California, ha evidenziato come alla vista di un video comico le beta-endorfine aumentino del 27%; gli scienziati della University of Maryland hanno scoperto che la risata provoca la dilatazione del rivestimento interno dei vasi e aumenta il flusso sanguigno, proteggendoci cosi dalle malattie cardiocircolatorie. E ancora: il riso aumenta il numero di cellule produttrici di anticorpi e migliora l’efficacia delle cellule T, rendendo così più forte il sistema immunitario. I clinici lo certificano: «Quando si ride – dice Marina de Tommaso, neurologa dell’Università di Bari ed esperta della Società italiana di neurologia – entrano in circolo serotonina ed endorfine: si attivano cioè tutti i circuiti neurotrasmettitoriali associati a piacevolezza e benessere». La ricetta, dunque, è quella di ridere di più. Per capire come farlo viene spontaneo chiedersi come e perché si rida. «Tra i primi a indagare il funzionamento della risata – spiega Federica Mazzeo, psicoterapeuta dell’Ordine degli psicologi del Lazio – è stato Sigmund Freud, secondo cui ridere consente di “agganciare” un sottotesto di natura sessuale, di liberarsi delle sovrastrutture e di sprigionare l’eros e la fantasia. Per questo che di solito quello che fa ridere ha sempre un sostrato “indicibile”, legato per l’appunto alla sessualità, al politicamente scorretto, alla volgarità». La risata, dunque, come una sorta di “scarica”, che in qualche modo alleggerisce, disinnesca la concentrazione eccessiva, rigenera la mente. Ma ci sono anche spiegazioni che coinvolgono la sfera evolutiva, sociale e intellettiva: «Secondo Darwin – spiega de Tommaso – la risata è un segnale necessario per la comunicazione tra gli esseri umani, un tratto evolutivo che funziona a doppia via. Cioè sia nel soggetto che la provoca che in quello che la percepisce. Per di più, ridere segnala anche che si è abbastanza intelligenti da capire qual è il meccanismo comico, il sottotesto di una barzelletta, di una situazione o di una battuta». E non è un caso se lo scrittore britannico Jerome K. Jerome, uno che di umorismo se ne intendeva, incentra su questo meccanismo uno degli episodi più riusciti di Tre uomini in barca. I protagonisti ascoltano un artista tedesco, non ne conoscono la lingua e credono che canti una canzonetta comica, ma è una lirica drammatica. I tre fingono di ridere a crepapelle con esiti tragici. C’è altro? Sì: il rovescio della medaglia, come ci hanno insegnato il Joker interpretato da Joaquin Phoenix e il suo “Put on a happy face”, indossa una faccia felice: «La risata – dice Mazzeo – può talvolta essere la manifestazione di un disturbo psicologico, di solito dovuto a disadattamenti di genere sociale o a un passato traumatico, come per l’appunto nel caso del riso incongruo di Arthur Fleck/Joker». Un fenomeno simile può essere anche la spia di disturbi psichiatrici o cognitivi: «Nelle demenze, per esempio – spiega de Tommaso – si può assistere alle cosiddette crisi epilettiche gelastiche, scoppi di risa del tutto immotivati dovuti a scariche che attivano per errore i circuiti della risata». In tutti gli altri casi, ridete pure tranquilli. E se Jorge dovesse indignarsi, raccontategli una buona barzelletta.

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