Il Gusto

Cucina creativa? No grazie, nonne e camion parcheggiati fuori non si battono

La pasta e patate di Nino Di Costanzo
La pasta e patate di Nino Di Costanzo 
La sagra dei luoghi comuni che va in scena ogni volta che sui social appare la foto di un piatto gourmet
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La scena è di quelle che si ripetono spesso sui social: qualcuno, in questo caso il bravo (e incolpevole) pizzaiolo napoletano Vincenzo Capuano, posta con ammirazione un piatto d’alta scuola assaggiato in un ristorante stellato. Il risultato? Sparuti applausi e tante, tantissime, pernacchie virtuali. E a finire nel tritacarne dei tuttologi del Web non è solo il malcapitato postatore di turno, non solo lo sciagurato chef che ha osato proporre qualcosa di diverso, non solo lo specifico piatto, sbeffeggiato oltre ogni limite e trattato come immonda immondizia. No, a finire in discarica è un’intera idea di cucina. Chiamatela come volete, creativa, d’avanguardia, al limite novelle cousine (sic, rigorosamente con la grafia sbagliata): in ogni caso sarà gogna e disprezzo. 
 
Da parte di chi? Di colti gastronomi? Di chi quei piatti li ha provati e poi legittimamente bocciati? No, mai. Sempre e comunque di autoproclamati difensori della tradizione, di corifei dell’abbuffata, di cantori del “se magna tanto e se spenne poco”. Che, ovviamente, quel ristorante e quel piatto non lo hanno mai visto neanche con il binocolo, e le cui esperienze gastronomiche difficilmente sono andate oltre la trattoria Da Gigi, sotto casa. 
In questo caso specifico (ma gli esempi potrebbero essere mille), la malasorte è toccata allo chef Nino Di Costanzo, due stelle Michelin nel suo Danì Maison di Ischia. E al suo piatto simbolo: la pasta con patate. Un piatto straordinario per impatto visivo, intensità di gusto e intelligenza di concezione, come testimonia chiunque lo ha mangiato. Ma che, agli occhi degli odiatori gastronomici di professione ha non uno, ma ben due difetti capitali: la porzione è sotto i 200 grammi di pasta e, colpa forse ancora più grave, non è identica a come la faceva la nonna Antonietta nella rassicurante cucina di casa sua. 
 
E allora vai col commento salace e beffardo, da avanspettacolo illusoriamente originale ma di fatto banalissimo (quando non proprio con gli insulti personali, che evitiamo di riportare): “Che è sta roba orribile?”, Quella è la quantità di pasta che mia nonna mette nel piatto per vedere se è buona di sale”, “Ok le patate che possono essere quei quattro inguacchi colorati, ma la pasta dove sta? Nonna, scusali!!”, “Pasta e patate ai tempi del covid.. Anche la pasta si distanzia!”, “Ma una cosa voglio capire... come fa questa cacata ad essere un’esperienza unica? Forse perché ti intossichi na vot e pe semp?”, “Allora devo anche pensare che centinaia di migliaia di nonne hann cucinat a vacant? Questa foto è un’offesa ad un piatto tipico della tradizione napoletana, caf e senza gusto”. E così via, per centinaia di commenti, tutti dello stesso tenore. 
 
Le argomentazioni (se così le possiamo definire), in questo come in ogni altro caso in cui si abbia l’ardire di postare un piatto “diverso”, magari in versione ridotta perché parte di un menu degustazione da 12 portate, sono sempre le stesse, e attingono ad un reperorio ormai consolidato, trito e ritrito. Eccole: la nonna si rivolta nella tomba, sotto i 200 grammi è un assaggino, dopo si dovrà andare in pizzeria per saziarsi, prima di sedersi a tavola si dovrà immancabilmente accendere un mutuo. Fino all’immarcescibile indicatore unico e infallibile della qualità di un locale: i camion parcheggiati fuori. 
 
Un contraltare, a ben guardare, all’opposta piccola truppa dei gastrofanatici, per i quali viceversa la parola d’ordine è o avanguardia o morte. Due facce della stessa medaglia, due opposti fanatismi che non ammettono devianze dal loro credo. Due falangi (ma la prima è ben più oceanica e chiassosa) che schiacciano nel mezzo i neutrali, o meglio, i “normali”: quelli per i quali la trattoria è un approdo sicuro, le polpette al sugo della nonna una poesia. Ma che sanno, al tempo stesso, che la cucina può anche essere innovazione, esperienza, voglia di sperimentare sentieri non battuti. E che, grazie a questo equilibrio, possono prendere il meglio di un mondo e dell’altro.