Scienze

Circolazione invertita e trombosi: nuovi rischi per gli astronauti nello spazio

Dall'ecografia in orbita trovato un trombo della vena giugulare, la tessa nella quale si inverte o arresta il deflusso del sangue dal cervello. Un altro problema da risolvere per missioni spaziali di lunga durata
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Durante una passata missione, uno degli astronauti a bordo della Stazione spaziale internazionale ha sviluppato un trombo nella vena giugulare mentre si trovava nello spazio. Trattato subito con anticoagulanti, non ha riportato conseguenze. Tuttavia secondo un nuovo studio ha aggiunto nuove preoccupazioni per la salute degli astronauti (come se non ce ne fossero già abbastanza): stagnazione e circolazione invertita del flusso sanguigno nella giugulare sembrano poter essere un ulteriore problema da risolvere, in orbita attorno alla Terra e, ancor di più, in una spedizione lunare o verso Marte.

Il sangue va "all'indietro"

La trombosi sofferta da un astronauta sembrerebbe essere la prima documentata in missione. Rilevata al cinquantesimo giorno di permanenza nello spazio grazie a un programma di screening che ha monitorato l’equipaggio prima, durante e dopo il volo con ecografia a ultrasuoni anche a bordo della Iss. In tutto sono stati in undici a sottoporsi agli esami e, nonostante l’occlusione sia rimasta un caso (quasi) isolato, ben sei astronauti hanno mostrato segni di inversione o stagnazione della circolazione nella vena giugulare, quella che permette di far defluire il sangue dal cervello, per esempio mentre il corpo è steso (sulla Terra) oppure mentre fluttua in condizione di microgravità, quella di chi si trova in orbita o nello spazio.

I risultati sono stati pubblicati su Jama Network Open dal team internazionale coordinato da Karina Marshall-Goebel della Kbr di Houston. Con lei hanno lavorato esperti della Nasa e diverse università, istituti di ricerca e ospedali, compresi un ricercatore russo e uno francese, per approfondire le conseguenze sulla circolazione del sangue sul corpo di chi vive lavora nello spazio per mesi.

Gli effetti della microgravità

Quando una persona si trova sulla Terra, il sangue fluisce dalla testa verso il basso grazie anche alla forza di gravità. Nello spazio però non esiste “sopra” né “sotto” e la circolazione fatica a scorrere nella maniera più funzionale. Gli effetti sono visibili, per esempio, anche osservando i volti degli astronauti, che diventano più “paffuti” e le cui vene del collo si ingrossano. La ricerca ha constatato che questo può provocare seri danni se non monitorata in maniera costante. Danni che si aggiungono ai già ben noti effetti su un corpo che trascorre diversi mesi in ambiente di microgravità come l’atrofia dei muscoli e l’indebolimento delle ossa. Lo spostamento dei fluidi (come il sangue) verso la testa può inoltre provocare anche edema alla retina e influire sul funzionamento del sistema nervoso centrale che “galleggia” all’interno del liquido cefalo-rachidiano.

I risultati

Secondo lo studio, degli 11 partecipanti, definiti “sani”, quindi senza patologie particolari prima del volo, in sei è stata riscontrata una stagnazione o inversione della circolazione nella vena giugulare interna già dopo 50 giorni. Dunque il sangue si ferma o scorre nella direzione opposta. Nel già citato caso di trombosi, è stata rilevata una occlusione e una parziale occlusione in un altro membro dell’equipaggio (i nomi non sono stati resi noti per il rispetto della privacy). La conclusione dei ricercatori è che la trombosi (l’occlusione di vasi sanguigni) può essere una conseguenza dovuta all’alterazione della circolazione negli astronauti. Non solo: “Può avere conseguenze significative per il volo spaziale civile così come future missioni di esplorazione verso Marte” scrivono nel paper. Inoltre “la potenziale correlazione tra il deflusso cerebrale alterato nella vena e la sindrome neuro oculare associata al volo spaziale così come le performance neurocognitive devono essere indagate più a fondo”.

Gli effetti di un trombo possono portare anche a un embolo polmonare. In orbita attorno alla Terra i rischi sono ancora controllabili. Ma gli anticoagulanti, per esempio, espongono al rischio di emorragia e difficoltà di far rimarginare le ferite. Pensiamo a una rischiosa missione di esplorazione che può durare anni verso e su Marte, un ambiente ostile. Una condizione acuta può mettere a rischio, oltre alla vita dell’astronauta, anche l’incolumità di un intero equipaggio che deve fare fronte a un’emergenza imprevista.

Per quanto riguarda la circolazione, gli stessi scienziati suggeriscono che un metodo per favorire il flusso sanguigno verso la parte inferiore del corpo può essere quello di sigillarla in un dispositivo speciale, una specie di scatola a bassa pressione, per alcuni periodi di tempo. Un metodo che si sarebbe rivelato efficace nella maggioranza dei casi. Ma non in tutti. Marshall-Goebel avverte anche sui rischi delle pillole contraccettive che assumono le astronaute per bloccare il ciclo mestruale durante le missioni.

Il rischio trombosi va ad aggiungersi a una lista che continua ad allungarsi. Alcune delle molte conseguenze sul corpo umano che erano state riscontrate prima di questo studio sono pongono questioni tuttora non del tutto risolte. Come la visione sfocata e i problemi all’apparato vestibolare, quindi di equilibrio. Per non parlare della minaccia rappresentata dalle radiazioni cosmiche, che rischiano di far impazzire chi viaggia a lungo fuori dallo scudo del campo magnetico terrestre.