Spettacoli

foto di Masiar Pasquali
foto di Masiar Pasquali 

'De infinito universo', l'esplorazione umana di Filippo Ferraresi è tutta un déjà vu

In scena al Piccolo di Milano fino al 13 febbraio lo spettacolo di teatro transdisciplinare ispirato al pensiero di Giordano Bruno è poco convincente

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Sarebbe il momento di riflettere su 'che teatro' vuole essere oggi il Piccolo di Milano, che per storia e prestigio, per la personalità dei suoi artisti, è sempre stato il cuore del teatro italiano, luogo di egemonia culturale, nonostante la sua influenza sia con gli anni inevitabilmente diminuita. A oltre un anno dall'avvio di un nuovo capitolo con la direzione di Claudio Longhi, dopo quelli fondanti di Strehler e poi di Ronconi-Escobar, non è però ancora chiaro quale sia l'orizzonte artistico in cui il teatro intende muoversi, se rispecchiare continuità o cambiamenti.

foto di Masiar Pasquali
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In questi giorni, per esempio, mentre è in scena la produzione maggiore di questa stagione, M, con la regia di Massimo Popolizio dal romanzo di Antonio Scurati, diciotto attori impegnati in una narrazione che intreccia Storia e interrogazione sul potere, molto in linea con le radici artistiche del Piccolo, nell'altra sala, al Teatro Studio, sarà per un tocco di contemporaneità l'aver scelto di produrre, col Théâtre National Wallonie, qualcosa di completamente diverso: la regia di un esordiente, De infinito universo, del 36enne Filippo Ferraresi, di cui si legge che ha collaborato con Franco Dragone, ex regista del Cirque du Soleil, e con Romeo Castellucci, uno dei 'grandi' che, peraltro, al Piccolo non si vedono.

foto di Masiar Pasquali
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De infinito universo (in scena fino al 13), intreccia la prospettiva immensa del cosmo con la finitezza umana in tre ambiti - scienza, natura, politica - che poi diventano tre quadri nello spettacolo: uno scienziato che descrive l'espansione dello spazio (sia pure con un'enfasi drammatica degna di Strindberg), il 'pastore errante' leopardiano col Canto notturno (ed è sempre l'attore Gabriele Portoghese a interpretarlo), per chiudere con una giovane (Elena Rivoltini) che scrive una lettera alla Von der Leyen per dirle quello che dovrebbe fare. Negli intermezzi, gli arzigogoli acrobatici del bravo Jérémy Juan Willi.

foto di Masiar Pasquali
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L'allestimento, nella grigia fortezza ideata da Guido Buganza, è curato ma non interessante: perfino un po' vecchio, déjà vu: soliti giochi di luci e fumo, ritmi lenti, immagini di forte presa simbolica, colonna sonora continua di Lucio Leonardi-PLUHM, canti ipnotici e un tono complessivamente oracolare del testo, con frasi tipo "la politica deve dire qual è il senso del mondo che abbiamo creato".... Sì, vabbè.

Filippo Ferraresifoto di Masiar Pasquali
Filippo Ferraresi
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